È necessario “parlare strettamente del merito dei problemi”. Così il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, inizia la conferenza stampa per motivare il “no” della propria confederazione alla proposta di Confindustria sulla riforma del modello contrattuale. La posizione di corso Italia è chiara e si rifà a questioni di metodo e di merito. La Cgil chiede di rinnovare la contrattazione conservandone la dimensione generale, con regole universali, evitando tanti modelli separati che provocano “danni sociali” e giustificano le imprese a passare da un contratto all’altro sempre a seconda della loro convenienza. Un modello con settori separati: “è il far west, non ci sono regole generali, ognuno sceglie le più convenienti”, dice, ribadendo che in questo modo si andrebbe contro a quanto stabilito dalla piattaforma unitaria. Su questioni di merito la critica è diretta all’impostazione di fondo dell’impianto promosso dagli industriali. Per anni, dice Epifani, la Cgil è stata contestata per la sua rigidità ad aderire a sperimentazioni e incoraggiata a estendere al secondo livello, e ora dov’è nel testo di Confindustria questa estensione? La categoria degli industriali sembra aver detto no a qualsiasi tipo di sperimentazione, dall’estensione al secondo livello al contratto di filiera, di sito, di territorio. L’obiettivo sarebbe quello di avere meno contrattazione in assoluto, anche a causa del ricorso a forme di arbitrato. Viene a mancare la libertà di contrattare dentro le regole e la contrattazione perde valore a causa di un rafforzamento della bilateralità che, secondo la forma di Confindustria, arriva anche ad occuparsi di collocamento e certificazione dei contratti di lavoro. Epifani affronta poi la questione delle retribuzioni per l’aumento delle quali è fondamentale la scelta dell’indice di calcolo dell’inflazione. Va bene, a suo avviso, un indicatore previsionale per il prossimo triennio che non sia calcolato sull’inflazione programmata del Governo, la più bassa degli ultimi tempi pari circa a un terzo di quella reale, ma l’indicatore di Confindustria, dice, depurato dell’inflazione importata, causa un’ulteriore perdita ai salari, che diminuiscono strutturalmente. In questo modo, ad avviso della Cgil, emerge chiaramente la politica di Confindustria che intende salvaguardare le imprese da un problema oggettivo che interessa tutta l’Europa, quale il rincaro delle fonti energetiche, scaricandolo solo sul lavoro dipendente. Queste argomentazioni spiegano la posizione contraria della Cgil, che non esclude di invitare Cisl e Uil a un tavolo di confronto per affrontare e discutere le differenze di merito. Rispetto a un possibile accordo separato Epifani dice che questo sarebbe una complicazione per tutti e, su cosa farebbe in questo caso la Cgil, non si pronuncia. “Quello che può succedere – afferma – lo dirò il giorno dopo”.
2 ottobre 2008
Francesca Romana Nesci