di Giorgio Santini – Segretario Confederale CISL
La discussione sulla efficacia della L.30 e sulle sue prospettive future è più che mai aperta, dopo due anni dalla sua entrata in vigore e a pochi mesi dalla fine della legislatura. L’autorevole ed articolato intervento di T.Treu delle scorse settimane ha fornito contemporaneamente un primo bilancio sulla sua attuazione, mettendo in evidenza più le ombre che le luci, e precise indicazioni su come correggere le parti sbagliate ed integrare le lacune della legge stessa.
E’ tuttavia significativo che Treu sostenga anche, con una certa convinzione, che la legge va fatta funzionare, in particolare in quelle parti (e non sono poche) nelle quali rappresenta una evoluzione della precedente legislazione di metà degli anni 90, costruita anche in attuazione importanti intese concertative tra parti sociali e Governo (accordo del ‘93 e patto sull’occupazione del ‘96).
Criteri pragmatici ed oggettivi come quelli del buon funzionamento, della adeguata correzione e della necessaria integrazione consentono di non farci influenzare troppo dal velo di strumentalità che da più parti ha avvolto la valutazione di questa legge. Un enfasi eccessiva sia da parte dei sostenitori che ne sopravvalutano valore e risultati che da parte dei detrattori che ,sulla base di alcuni evidenti limiti, la ritengono tuttavia l’origine di tutti i mali del nostro mercato del lavoro. Appare equilibrato il giudizio di C. Dell’Aringa quando sostiene che eccessiva complessità e conflitto ideologico hanno gravemente compromesso l’incisività della legge. Anche la valutazione degli effetti sull’occupazione non aiuta a chiarire il contrasto. Le statistiche sull’occupazione fotografano un fenomeno anomalo già dal 2000: l’occupazione aumenta in misura maggiore rispetto alla crescita complessiva dell’economia.
Nonostante sia oggettivamente difficile collegare il fenomeno solo alla L.30, entrata in vigore da poco tempo, ed appaia abbastanza evidente l’incidenza della precedente legislazione (L.196 e bonus occupazione), nella polemica politica si tende ad accreditare un rapporto causa/effetto che in realtà è molto parziale. Considerando, poi, che sui dati del 2004 hanno inciso moltissimo le regolarizzazioni degli immigrati, fenomeno consistente e evidentemente non ripetibile, si comprende come siano fuori luogo i bilanci così positivi in materia di occupazione, vantati in particolare da alcuni esponenti governativi.
In realtà, l’andamento dell’occupazione è frutto di molti fattori: la flessibilizzazione dei rapporti di lavoro può avere effetti positivi, nel senso che permette la trasformazione in occupazione delle variabilità economiche e produttive, ma non è una condizione né esclusiva né risolutiva. Se manca o ristagna lo sviluppo, l’occupazione non si stabilizza. E su questo il problema è ancora del tutto aperto nel nostro Paese.
Sotto il profilo della qualità non si può trascurare l’incremento del lavoro a termine e l’incidenza del lavoro atipico. In proposito non può lasciare indifferenti il dato fornito nei giorni scorsi dal rapporto Isfol, secondo il quale a 31 anni ancora un quarto delle persone non lavorano e tra coloro che lavorano quasi la metà non hanno un lavoro stabile. La responsabilità non è imputabile tutta alla L. 30. Conviene dunque restare al merito dei problemi e alla loro gravità e vedere come si possono risolvere intervenendo sulla legge.
Il funzionamento
Alcuni temi sono particolarmente urgenti. In materia di gestione del mercato del lavoro le coordinate disegnate dalla legge appaiono in linea con quanto previsto negli altri Paesi europei. I cardini su cui dovrebbe scorrere la gestione del mercato del lavoro (i servizi pubblici per l’impiego, le nuove agenzie del lavoro, le rappresentanze delle imprese e del lavoro) rappresentano un indubbio arricchimento delle opportunità per una gestione più dinamica, che realizzi quelle politiche attive del lavoro necessarie per la promozione dell’occupazione e per la occupabilità. Rimangono però molti problemi: la mancata valorizzazione dei servizi per l’impiego e la loro difficoltà a svolgere un ruolo di regia e di interazione con le agenzie private, la carenza di risorse, la disparità tra Nord e Sud. Sono problematiche gestionali su cui dovrà crescere l’attenzione del Governo, delle Regioni /province oltre che delle parti sociali.
Il sistema non può funzionare se non si integrano tutti i soggetti e le loro azioni. Non si può consolidare uno schema secondo il quale le agenzie gestiscono la parte dinamica del mercato del lavoro, lasciando i servizi per l’impiego in una logica residuale ad occuparsi delle fasce deboli, mentre le nuove esigenze di politiche qualitative, selettive, dedicate rimangono sempre trascurate. L’esempio della Borsa continua del lavoro, più volte annunciata e tuttora scarsamente attiva, dà la misura della distanza degli obiettivi ancora da realizzare.
In questo quadro ci sono poi le responsabilità delle parti sociali per cogliere pienamente tutte le opportunità della legge, non solo con l’impegno di ogni singola organizzazione per politiche attive del lavoro, ma anche costruendo attraverso Enti bilaterali contrattualmente definiti e allocati su base territoriale/regionale, strumenti di intervento attivo sul mercato del lavoro (incontro domanda-offerta, transizioni, out placement) che sappiano interagire con i servizi per l’impiego e le agenzie del lavoro. Qualche esperienza di questo tipo è gia in corso (nel settore edile) ed appare particolarmente feconda perché si può integrare con gli aspetti decisivi delle politiche formative e della gestione degli ammortizzatori sociali.
Ancora più urgente è la piena attuazione della nuova normativa in materia di apprendistato. Le nuove tipologie delineate dalla legge 30 (apprendistato per l’obbligo formativo, professionalizzante, alta formazione) danno una collocazione organica dell’istituto che, nei fatti, diventa il principale canale di accesso al lavoro, mantenendo e rafforzando con la causa mista l’esigenza della formazione.
L’attuazione della nuova normativa è stata ed è molto faticosa, in particolare per l’apprendistato professionalizzante, con grandi incertezze da parte del Governo e delle stesse Regioni e una lunga fase di carenza della regolazione contrattuale .Diventa allora imprescindibile, da un lato, realizzare al più presto i contratti collettivi di lavoro, e dall’altro, completare la legislazione regionale sulla formazione e i profili professionali. Si potrà, allora, valutare l’effettiva portata di questo nuovo strumento, come dice giustamente Treu, in ragione della effettività della formazione ( interna e/o esterna), dell’acquisizione delle competenze professionali e la loro certificazione, dello sbocco (da consolidare) verso il successivo lavoro a tempo indeterminato.
La maggior durata temporale dell’apprendistato professionalizzante ne aumenterà l’incidenza relativa e porterà con sé nuove esigenze in materia di tutela dei lavoratori, in particolare sulla malattia e sulla necessità di poter utilizzare, se necessari, gli ammortizzatori sociali (come già avveniva per i contratti di formazione lavoro). Queste esigenze, già emerse in sede di contrattazione collettiva, hanno bisogno per essere soddisfatte di adempimenti normativi ed amministrativi da parte delle istituzioni competenti.
Il contratto di inserimento in questo nuovo quadro di un apprendistato pienamente funzionante, dovrebbe essere esclusivamente dedicato al reinserimento al lavoro delle persone che lo perdono in età critica e in questo modo allargare le opportunità di reimpiego soprattutto nelle aree a più alta tensione occupazionale.
Infine, in materia di certificazione dei rapporti di lavoro la situazione si presenta molto articolata, per cui appaiono urgenti iniziative in via pattizia per regolare meglio la materia. Sarebbe molto utile la costituzione di un Osservatorio tra istituzioni e parti sociali sia per il monitoraggio che per la raccolta di esperienze e materiale di valutazione.Sono altresì necessarie convenzioni tra gli Enti bilaterali, le istituzioni, le Università per l’elaborazione di criteri ed indici di quantificazione delle tipologie dei rapporti di lavoro.
La correzione
Le esigenze di correzione sono molte e significative, in particolare sulle tipologie dei rapporti di lavoro. Innanzitutto c’è l’esigenza di semplificare e ridurre la eccessiva proliferazione che la legge ha introdotto. La contrattazione collettiva ha già individuato il nucleo dei rapporti di lavoro maggiormente utilizzati dalle imprese: la somministrazione a tempo determinato, che ha sostituito il lavoro interinale, l’apprendistato, che sostituirà i Cfl, le collaborazioni coordinate continuative, in larga parte divenute collaborazioni coordinate a progetto, il part-time, con le sue potenzialità e le nuove criticità. Il lavoro a termine, già previsto dalla L.368, completa la tastiera degli strumenti più utilizzati, naturalmente in costanza di utilizzo degli appalti. Non hanno avuto impatti significativi le forme più articolate quali il lavoro a chiamata e il lavoro ripartito, mentre l’utilizzo del distacco in modo eccessivamente disinvolto rende necessario reintrodurre la clausola del consenso del lavoratore per poter essere attivato.
Si pone allora l’esigenza di una maggiore regolazione contrattuale delle diverse tipologie nei rapporti di lavoro ma soprattutto emerge la vera questione: come finalizzare queste diverse tipologie alla stabilizzazione del lavoro per le persone. La legge va quindi corretta nel senso di riaffidare alla contrattazione tra le parti in modo non residuale ma costitutivo, il compito di regolare e stabilizzare le diverse flessibilità, anche con il supporto di incentivi/disincentivi sul piano fiscale e contributivo.
La contrattazione dovrebbe poter definire:
– i tetti massimi dell’utilizzo dell’insieme degli strumenti di flessibilità nelle singole imprese, anche con percentuali differenziate sulla base delle esigenze organizzative e produttive;
– la stabilizzazione dei rapporti di lavoro. Si può costruire un percorso, senza automatismi ma che porti ad individuare tra le parti un arco temporale massimo (tre o quattro anni) di durata dei rapporti di lavoro flessibili o temporanei in capo alla stessa persona, che matura alla fine del periodo un diritto di precedenza per un lavoro a tempo indeterminato, se possibile nell’azienda in cui ha prestato la sua opera oppure nel bacino territoriale, sulla base delle esigenze occupazionali e dei profili professionali richiesti. Ciò richiede una gestione congiunta delle parti sociali del mercato del lavoro in sede territoriale e il funzionamento degli strumenti di conoscenza delle necessità del mercato del lavoro, quali la Borsa del lavoro;
A questo fine va scoraggiato l’utilizzo oltre il termine definito dei contratti flessibili e temporanei da parte delle aziende attraverso un incremento della contribuzione, destinando queste risorse al finanziamento degli amortizzatori sociali;
– la contrattualizzazione del lavoro a progetto, per stabilire, anche con modalità contrattuali innovative, le necessarie tutele normative in materia di malattia/infortunio, retribuzione diretta e differita, continuità /discontinuità del rapporto di lavoro, tutele previdenziali. A questo proposito la modifica alla legge 30 realmente necessaria riguarda la parificazione dei contributi previdenziali del lavoro a progetto ( al pari di tutte le altre forme di lavoro autonomo o parasubordinato) con le aliquote del lavoro dipendente. In questo modo verrebbero meno le forti convenienze che rendono questo tipo di rapporto di lavoro praticato ancora in modo non conforme alle modalità che pure la legge ha introdotto:
– la ricontrattualizzazione piena dell’utilizzo del lavoro a part-time, soprattutto in materia di clausole elastiche e flessibili, salvaguardando in modo più equilibrato il rapporto tra esigenze produttive e condizione del lavoratore.
Se, come è giusto, si intende incentivare la crescita del part-time per portarlo a raggiungere gli standard europei vanno messi in campo strumenti più forti come ad esempio una riduzione del costo fiscale di questo tipo di lavoro.
– Favorire la dimensione territoriale della contrattazione delle politiche del lavoro, prevedendo, ad esempio, corsie privilegiate in via amministrativa ai progetti di formazione e di stabilizzazione del lavoro che siano frutto di accordi tra le parti sociali o di azioni degli Enti bilaterali. Ciò riguarda l’apprendistato, in tutte e tre le tipologie, il contratto di inserimento, la certificazione dei rapporti di lavoro, i percorsi di stabilizzazione del lavoro a tempo indeterminato, la gestione degli amortizzatori sociali.
Staff –leasing e appalto di servizi – Sono due tipologie di lavoro che insistono sulla stessa problematica, il rapporto tra attività tipiche dell’impresa (il core -business) e le attività complementari e di servizio, in genere oggetto di esternalizzazione. Lo staff-leasing ha sollevato molte diffidenze senza peraltro che ci fossero motivazioni reali, in quanto la legge individua chiaramente le garanzie retributive e normative secondo criteri di omogeneità con i lavoratori tipici dell’azienda in cui si svolge lo staff-leasing, aggiungendo anche il versamento del 4% per amortizzatori sociali e formazione. Finora, comunque, è stato poco praticato e ne viene chiesta l’abolizione ( anche da Treu).
Il problema non si risolve con l’abolizione ma chiarendo il rapporto dello staff-leasing con l’appalto di servizi, utilizzato largamente per le stesse attività di servizio da parte delle aziende, che presenta condizioni molto più elastiche, sia per poter essere instaurato, sia per le condizioni retributive, normative e di sicurezza dei lavoratori. Se a ciò si aggiunge la disciplina particolarmente flessibile in materia di trasferimento di ramo d’azienda il quadro che attiene alla regolazione delle terziarizzazioni e delle esternalizzazioni appare particolarmente friabile.
Sono pertanto necessarie robuste correzione della legge. Innanzitutto allineando le condizioni di tutela del lavoro nell’appalto di servizi con i livelli che la L.30 ha stabilito per lo staff-leasing. La normativa definita dal decreto correttivo n. 251, di solidarietà stringente tra committente e appaltatore per gli obblighi inerenti i rapporti di lavoro nel settore delle costruzioni, va nella giusta direzione e può essere estesa a tutti i settori.
Inoltre va chiarita sul piano legislativo la definizione giuridica di impresa, che in questi anni nelle diverse disposizioni legislative è apparsa variegata e contraddittoria. Che logica comune hanno le disposizioni in materia di trasferimento di ramo d’azienda (L.30) con la successiva incentivazione alla concentrazione di aziende (L.80/2005), con le normative sui distretti industriali previste in Finanziaria, che configurano l’unità fiscale e amministrativa di imprese diverse? Nessuna. Serve allora un riordino legislativo che rafforzi la struttura di impresa e, per quanto riguarda il lavoro, sancisca la considerazione unitaria della posizione dei lavoratori pur all’interno di gruppi di aziende diverse ma in qualche modo collegate (filiere, appalti, terziarizzazione).
Il completamento – La mancanza della riforma degli ammortizzatori sociali e della loro estensione ai settori non coperti e ai nuovi lavori rappresenta il limite politico più forte della legge 30. Pertanto, un provvedimento legislativo che colmi questa lacuna s’impone nei tempi più rapidi possibili, con caratteristiche innovative rispetto a quello arenatosi in Parlamento( 848 bis) ed anche a quanto previsto, alquanto maldestramente, all’interno della legge 80/2005.
La riforma degli ammortizzatori sociali dovrà tenere collegata la legislazione alla mutualità contrattuale, così da contemperare il vincolo delle risorse necessarie. Formule già sperimentate in alcuni settori, che prevedono di cumulare la indennità di disoccupazione con una quota contrattualmente definita e messa a disposizione dagli Enti bilaterali possono diventare la base su cui costruire un assetto di ammortizzatori esteso a tutti i settori ma anche responsabilizzante le parti, per finalizzare il sostegno al reddito al rapido reimpiego del lavoratore con la pronta attivazione di tutti gli strumenti di politica attiva del lavoro in materia di riqualificazione professionale e ricollocazione al lavoro.
Infine va realizzato il c.d. Statuto dei lavori, quanto mai necessario a fronte delle trasformazioni del lavoro e alle sue nuove articolazioni. Esso va costruito sulla base di una progressiva e graduale estensione e modulazione delle tutele in capo ai diversi rapporti di lavoro e si potrà articolare su alcuni punti fermi:
– i diritti e le tutele del lavoratore per l’accesso al lavoro e la garanzia del rapporto di lavoro pur nelle diverse tipologie contrattuali;
– l’estensione degli ammortizzatori sociali per il sostegno al reddito in tutti i settori del lavoro dipendente ed atipico;
– il diritto soggettivo di ogni lavoratore all’accesso alle politiche attive del lavoro e alla formazione continua come imprescindibili modalità di esercizio del diritto al lavoro e alla qualificazione;
– la progressiva parificazione della contribuzione previdenziale per le diverse tipologie lavorative, così da scoraggiare l’utilizzo speculativo dei rapporti di lavoro e di realizzare una tutela adeguata sul piano previdenziale.
























