In occasione della giornata internazionale della donna dell’8 marzo, la Fiom-Cgil nazionale presenta uno studio sui rapporti biennali sulla situazione del personale maschile e femminile nelle aziende metalmeccaniche con oltre 50 dipendenti. I rapporti sono stati introdotti dal Codice delle pari opportunità (Decreto Legislativo 198 dell’11 aprile del 2006), rivelandosi un prezioso strumento di monitoraggio, controllo e valutazione della situazione occupazionale maschile e femminile nell’azienda. In particolare, le disposizioni del decreto hanno a oggetto le misure volte ad eliminare ogni discriminazione basata sul sesso, garantendo la parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini che “deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell’occupazione, del lavoro e della retribuzione”. Lo studio delle Fiom-Cgil analizza 1.072 rapporti periodici relativi al biennio 2022-2023, per un totale di circa 450mila dipendenti, tra diretti (446.507) e in somministrazione (19.234). Occupazione e retribuzione sono i due focus dell’analisi, rivelando uno scenario sì in miglioramento, ma che presenta ancora molte criticità.
Nel dettaglio, considerato il periodo di riferimento l’occupazione nel settore metalmeccanico cresce sia per le donne sia per gli uomini: quella femminile aumenta del 4,94%, mentre quella maschile cresce del doppio in termini assoluti: 8.423 contro 4.504. In sostanza, un nuova assunzione su 3 è di una donna. Inoltre, l’occupazione totale nel biennio 2022-2023 nelle aziende analizzate cresce per tutte le categorie professionali, ma più per gli impiegati e meno per gli operai: si è passati da 43,25% di impiegati nel 2022 al 44,03% nel 2023, mentre gli operai sono passati dal 44,17% nel 2022 al 43,31% nel 2023.
Posta la crescita generalizzata di occupazione femminile nel settore metalmeccanico, va rilevato come la percentuale di donne sia più bassa tra i dirigenti e gli operai rispetto a quella tra i quadri e gli impiegati. Le dirigenti nel 2022 erano 15,7% e nel 2023 16,3%; tra i quadri si è passati da 21,5% nel 2022 a 22,0% nel 2023; le impiegate erano 29,8% nel 2022 e 30,2% nel 2023; infine le operaie registrano il 12,7% nel 2022 e il 12,8% nel 2023.
I lavoratori in somministrazione equivalgono al 4,31% dei dipendenti delle aziende metalmeccaniche analizzate. Ma la percentuale di donne che equivale al 23,4% è superiore al valore delle donne dipendenti che è 21,4%.
Ancora una volta è la forma del part-time a essere la prima cartina di tornasole del gender gap. Se il 3,5% dei dipendenti metalmeccanici ha un contratto part time, di questi gli uomini sono l’1,1%, mentre le donne sono il 12,2%. Una simile disparità si riscontra anche per il contratto di lavoro agile, per cui se vederselo applicato è il 28,7% dei dipendenti, di questi gli uomini sono il 25,6%, mentre le donne il 40,1% del totale.
Per quanto riguarda il salario, l’analisi ha scartato 31 rapporti che riportavano un totale o parziale oscuramento dei valori, per cui oggetto dell’indagine sono stati 1.041. Il gender pay gap nell’industria metalmeccanica risulta in aumento dello 0,6%, passando dal 13,5% nel 2022 al 14,1% nel 2023. In totale nel 2023 alle dipendenti (che sono il 21,4%) spetta il 18,9% del monte retributivo annuo lordo. Il gap aumenta ancora di più se si considera il salario accessorio (straordinari, superminimi individuali, premi di produttività e altro dove sono compresi i benefit aziendali, le indennità e i bonus). Questa parte di retribuzione è quella non contrattata collettivamente – a parte gli straordinari – ma decisa unilateralmente dalle imprese o contrattata individualmente dai lavoratori.
Il 14,1% di gender pay gap sul totale della retribuzione è costituito dal 10,6% dal salario strutturale (contrattato collettivamente, che rappresenta il 75,9% del totale per gli uomini e del 79,1% per le donne, con una differenza del 3,2%) e dal 25,3% dal salario accessorio. Si evince, dunque, che la contrattazione collettiva riduce il gender pay gap, fatto dimostrato anche dai dati risultanti dalla scorporazione per ruolo professionale: per i dirigenti il 19,1% di gender pay gap sul totale della retribuzione è costituito dal 14,3% dal salario strutturale e dal 29,2% dal salario accessorio; per i quadri l’11,0%% di gender pay gap sul totale della retribuzione è costituito dall’8,7% dal salario strutturale e dal 15,1% dal salario accessorio; per gli impiegati il 17,8% di gender pay gap sul totale della retribuzione è costituito dal 12,9% dal salario strutturale e dal 34,7% dal salario accessorio; per gli operai il 19,2% di gender pay gap sul totale della retribuzione è costituito dal 16,1% dal salario strutturale e dal 33,7% dal salario accessorio.
L’analisi punta l’attenzione anche sul gender pay gap per settore produttivo. Nella siderurgia e nell’impiantistica – dove la presenza femminile è ampiamente sotto la media con il 7,3% e il 10,6% della forza lavoro – il gender pay gap è annullato ed è addirittura a favore delle donne. Ma in altri settori, la disuguaglianza salariale è alta: nell’automotive è del 15,1% come retribuzione strutturale e del 22,6% come salario accessorio, nell’elettrodomestico il gender gap è 24,7% come retribuzione strutturale e 39,3% come salario accessorio, nell’informatica 18,7% come retribuzione strutturale e 29,7% come salario accessorio.
Una situazione “inaccettabile”, commenta in conferenza stampa il segretario generale della Fiom-Cgil, Michele De Palma, che si combatte innanzitutto attraverso il contratto, “il primo strumento con cui combattere le diseguaglianze tra uomini e donne”. Se dal punto di vista salariale in Italia si registra un gender gap così forte, bisogna assumere definitivamente che ciò accade “perché quando c’è il salario unilaterale da parte delle imprese gli uomini vengono premiati più delle donne”.
Ed è per questo che i sindacati non cedono un passo sulla battaglia per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici – scaduto a fine giugno 2024, che riguarda circa un milione e mezzo di lavoratrici e lavoratori – come dimostrato anche nella conferenza stampa congiunta di Fim-Cisl-Fim-Cgil e Uilm-Uil per sbloccare la trattativa con Federmeccanica-Assistal. “Bisogna rinegoziare e costruire il contratto nazionale delle metalmeccaniche e dei metalmeccanici perché è l’unico che garantisce giustizia e uguaglianza tra uomini e donne perché lo stesso salario viene dato sulla base dell’inquadramento”. Ma non solo: “Il contratto nazionale dei metalmeccanici – aggiunge De Palma – è stato il primo che ha introdotto tre mesi in più per le donne vittime di violenza. Una questione che deve riguardare innanzitutto gli uomini, quindi è evidente che discuterne prova a determinare un cambiamento”.
L’impegno del sindacato in tal senso, quindi, si articola su tre livelli: contrattuale, attraverso il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro; ma anche informativo, con la richiesta rivolta al mondo delle imprese di accesso ai dati in maniera più capillare, e infine legislativo con la richiesta alla rappresentanza politica e parlamentare di recepire la direttiva europea 2023/970 sulla trasparenza salariale. Ed è proprio su quest’ultimo punto che il segretario generale della Fiom fa una notazione: l’Italia non ha ancora recepito la normativa sulla trasparenza salariale ed è necessario “che il governo la recepisca rapidamente”. Dal sindacalista arriva quindi un appello all’esecutivo a “fare chiarezza su questo tema e a trovare soluzioni, insieme alle parti sociali, per non dico risolvere ma almeno affrontare il gender gap. Va aperta anche una discussione con le parti sociali. Bisogna denunciare e cambiare quello che non va”.
Elettra Raffaela Melucci