“L’operaio è un mestiere terribile, occupiamoci del diritto alla sicurezza e della libertà dei lavoratori”: questa frase di Bruno Ugolini è stata il fulcro della cerimonia per la consegna del premio intitolato al giornalista scomparso, che si è svolta a Roma il 1° dicembre. Ad aprire i lavori, presso la Sala Zavattini di via Ostiense, è stato il giornalista Pietro Spataro, che dedicato le prime battute per rendere omaggio e rievocare la memoria Ugolini, grande firma del servizio sindacale del quotidiano l’Unità. Spataro ha ricordato come il giornalismo di Ugolini fosse caratterizzato da “concretezza e radicalismo”, con la volontà di interpretare il mondo partendo dalla classe operaia e dagli ultimi. Ugolini, ha detto, “sentiva un forte senso di appartenenza a una comunità dove prevaleva il “noi” sull'”io”.
La frase scelta come ‘’chiave’’ della giornata era stata pronunciata da Ugolini nel 2018, ma rappresenta ancora oggi la dolorosa attualità delle morti sul lavoro, argomento del dibattito che si è svolto in occasione della premiazione. Non a caso il vincitore dell’edizione 2025, il giornalista di Radio Popolare Massimo Alberti, lo ha meritato proprio per il suo podcast “Morire di Lavoro: Le Storie di Chi Resta”: un prodotto giornalistico che va oltre il racconto empatico, fornendo anche un’analisi legale e assistenziale completa.
Presentando il vincitore, Michele Colucci, ricercatore del CNR, ha evidenziato i meriti dell’autore, legati alla sua capacità di narrare le componenti emotive e drammatiche senza mai cadere nel banale, curando metodicamente le interviste e le relazioni con i soggetti che hanno vissuto in prima persona questi drammi, come la perdita di una persona cara.
Sul tema della sicurezza sul lavoro è intervenuta anche la segretaria confederale della Cgil Francesca Re David, che ha lanciato un forte allarme sulla drammatica emergenza degli infortuni e delle morti, sottolineando la necessità di un’azione immediata e di una revisione radicale del modello d’impresa. I dati presentati nel corso del convegno sono del resto preoccupanti: si registrano in media 3-4 morti al giorno (secondo le rilevazioni INAIL, che escludono categorie come i Vigili del Fuoco). La denuncia più grave riguarda la crescente periodicità delle “stragi” sul lavoro, che si verificano anche in grandi realtà aziendali, come Eni ed Esselunga, dove la sicurezza dovrebbe essere prioritaria. Un altro capitolo doloroso riguarda le 25 vittime registrate nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro, che dovrebbe essere un metodo di introduzione al lavoro e non di sfruttamento. Per queste giovani vite spezzate, si sottolinea la mancanza di un adeguato sostegno alle famiglie, spesso negato perché i ragazzi non percepivano reddito.
Re David ha evidenziato l’importanza cruciale del supporto ai familiari delle vittime, affermando che la Cgil progetta la creazione di un’associazione nazionale per l’aiuto reciproco. Tra le attività di sostegno previste vi sono il patrocinio gratuito (per equilibrare la potenza economica tra singola famiglia e azienda) e il sostegno psicologico. Secondo la sindacalista, la radice del problema risiede nel modello d’impresa italiano, dove maggiore precarietà equivale a più morti sul lavoro. Senza un cambio di paradigma che anteponga la vita al profitto, ha sottolineato, il fenomeno non può essere arginato. Re David ha citato l’esempio della Germania, dove le aziende con oltre cinque dipendenti prevedono responsabili della sicurezza per ogni comparto, a dimostrazione che una migliore organizzazione è possibile. La sua visione finale si riassume nello slogan: “Libertà nel, non dal, lavoro”, un invito esplicito a intervenire sulle condizioni di lavoro per renderle dignitose e sicure.
A sua volta, Massimo Alberti, ritirando il premio, ha sollevato un’inquietante riflessione sulla sicurezza sul lavoro. Partendo dalla sua esperienza personale di figlio di operai, e dai dati allarmanti che emergono quotidianamente, ha spiegato di aver utilizzato lo strumento del podcast per farsi “tramite e mezzo per combattere e divulgare” questa emergenza. La domanda provocatoria che sta alla base della sua analisi e del suo podcast è stata: “A un’impresa conviene uccidere un lavoratore?”. E la risposta, secondo Alberti, è tragicamente affermativa. Un paradosso che, ha spiegato, si fonda sulla seguente osservazione: in Italia vi è un ‘assenza di magistrati esperti in questo specifico ambito che rende i processi complessi e lenti. Proprio per questo è difficile dimostrare in modo inequivocabile il nesso causale tra la morte del lavoratore e una responsabilità diretta del datore di lavoro o dell’azienda. Infine, i risarcimenti in caso di morte sono spesso così contenuti che “correre il rischio” conviene all’impresa, la quale, in un’analisi costi-benefici, riesce al massimo a pareggiare i costi che avrebbe dovuto sostenere per garantire la sicurezza massima.
Alberti ha evidenziato altre criticità che acuiscono il problema: dai controlli inesistenti, all’assenza di investimenti adeguati che possano garantire sicurezza, sino ad arrivare alla carenza delle leggi e la quasi totale mancanza di ispettori del lavoro. Inoltre, l’aumento delle morti dei lavoratori in-itinere è sintomatico del peggioramento delle condizioni generali di lavoro (come orari o distanze più pesanti). Anche la figura chiave del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) si è fortemente indebolita: gli RLS hanno paura di svolgere appieno il loro ruolo imponendo regole stringenti, temendo ritorsioni. E lo stesso sindacato fatica a mappare la loro presenza effettiva.
L’obiettivo finale del premio Bruno Ugolini e del lavoro di Alberti, è trasmettere forza e tutela ai lavoratori che spesso rischiano di perdere il posto se si rifiutano di accettare condizioni non sicure, rafforzando la sensibilità pubblica su un sistema che va urgentemente ricostruito.
Emidio Fornicola

























