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Home - Approfondimenti - Analisi - Maresca, prime interpretazioni del decreto

Maresca, prime interpretazioni del decreto

29 Agosto 2011
in Analisi

Ha ragione il Ministro Sacconi quando afferma, replicando alla CGIL, che l’art. 18 Statuto lavoratori non è toccato dal decreto 138/2011.
Se, infatti, si esamina oggettivamente l’art. 8 del decreto si deve prendere atto che in esso non è espressamente prevista né l’efficacia erga omnes dei contratti aziendali né la possibilità di essi derogare alla legge o ai CCNL.
Quanto all’efficacia erga omnes dei contratti aziendali (per i quali non opera il divieto che l’art. 39 Cost. pone per i CCNL) il decreto avrebbe dovuto prendere una posizione netta se adottare il modello contenuto nell’accordo interconfederale 28.6.2011 firmato da Confindustria, CGIL, CISL e UIL (AI). Ciò sarebbe stato utile per stabilizzare e rafforzare la contrattazione aziendale consentendone così lo sviluppo generato dalle dosi di certezza e funzionalità che avrebbero potuto essere immesse nel sistema della contrattazione collettiva.
L’efficacia erga omnes viene, invece, prevista (v. art. 8, terzo comma) solo per gli accordi FIAT anche se tale efficacia opera per i lavoratori e non anche per le organizzazioni sindacali non firmatarie (FIOM) e le coalizioni spontanee. E’ una soluzione che il legislatore avrebbe fatto meglio, per coerenza e tenuta sistematica, ad adottare anche per il futuro e, indifferentemente, per il passato; all’interno, quindi, di un sistema complessivo e generalizzato di sostegno alla contrattazione aziendale.
In questa prospettiva si deve ricordare che l’unica ipotesi in cui opera l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi è quella della c.d. norma di legge in bianco. Vale a dire di quella disposizione che il legislatore lascia volutamente incompleta perché sia riempita dei contenuti stabiliti dalla contrattazione collettiva. In questo caso il precetto legale si perfeziona con l’accordo collettivo che, quindi, opera con la stessa efficacia generale della legge proprio perché essa produce effetti soltanto nel connubio indissolubile con il contratto collettivo. In tutti gli altri casi gli accordi collettivi non hanno efficacia erga omnes né quando integrano la legge per migliorala o derogarla (quando il legislatore espressamente prevede questa possibilità) né, più semplicemente, quando intervengono al di fuori di ogni previsioni legale.
Consapevole di ciò il legislatore avrebbe potuto attribuire forza di legge al meccanismo previsto dall’AI che estende l’efficacia dei contratti aziendali approvati dalla maggioranza dei componenti della RSU; in tal modo questo meccanismo sarebbe divenuto operativo anche al di fuori dell’ambito di applicazione dell’AI. La conseguenza della diversa scelta effettuata dal legislatore è che l’AI continuerà a produrre i propri effetti, ma solo per le imprese aderenti a Confindustria che, quindi, potranno stipulare i contratti aziendali previsti dall’art. 8 avvalendosi dell’AI e dei suoi effetti estensivi.
Per quanto riguarda il diverso tema della derogabilità qual è la scelta effettuata dal legislatore con l’art. 8 ? La risposta si trova nella sua rubrica che identifica la finalità dell’intervento legislativo nel “sostegno” alla contrattazione aziendale sul cui sviluppo lo stesso legislatore ha voluto opportunamente puntare delegando ad essa la regolamentazione di aspetti importanti del rapporto di lavoro.
Per comprendere la rilevanza di tale delega si deve ricordare che nel sistema della contrattazione collettiva, quella aziendale è vincolata, nel senso che – secondo quanto prevede anche l’AI – “la contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate … dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge”. La contrattazione aziendale, quindi, può intervenire a seguito di una delega della legge o del CCNL che individua le materie ad essa, di volta in volta, demandate. Sono, quindi, la legge o, alternativamente, il CCNL che abilitano il contratto aziendale ad operare.
L’art. 8, secondo comma si raccorda, quindi, con questa regola e produce l’effetto di sbloccare la contrattazione aziendale per tutte le materie indicate dal legislatore, anche in assenza di deleghe del CCNL che, quindi, vede – in questo caso sì – ridimensionato il suo ruolo di fonte di abilitazione della contrattazione aziendale. Contrattazione che, da subito, potrà intervenire su svariati temi: le mansioni, gli inquadramenti, gli orari di lavoro (sui quali, però, il d. lgs. n. 66 del 2003 aveva già provveduto), i sistemi informatici di controllo (già oggi attivabili con l’accordo delle RSA), i contratti di lavoro flessibili, le conseguenze derivanti dal licenziamento ed, infine, anche su argomenti – come le collaborazioni a progetto o ” le partite IVA” (per favore, il legislatore scelga una formulazione più tecnica !) – con i quali la contrattazione aziendale non si era finora misurata essendo estranei all’area del lavoro subordinato (si apre, però, un delicato problema relativo alla rappresentanza sindacale dei lavoratori autonomi).
Si stimola così la fantasia dei negoziatori a livello aziendale che potranno prevedere, per fare solo qualche esempio, l’attivazione di strumenti per favorire la ricollocazione del lavoratore licenziato per motivi oggettivi (e che non intenda opporsi al licenziamento e sempre che non si tratti di licenziamenti odiosi come quello della donna a causa del matrimonio) o l’utilizzo sindacalmente condiviso di contratti di lavoro flessibili che in tal modo potrebbero svilupparsi.
L’intervento del legislatore riguarda, quindi, la delega alla contrattazione aziendale senza, però, attribuire ad essa anche la possibilità di derogare alle leggi ed ai CCNL.
Una possibilità certamente praticabile, ma che avrebbe dovuto essere espressamente sancita dal legislatore, trattandosi di capovolgere l’attuale assetto dei rapporti tra legge e contratto collettivo che vedono la prima dotata di una cogenza imperativa che si esplica nei confronti non solo del contratto individuale di lavoro, ma anche della contrattazione collettiva (tranne rare eccezioni espressamente stabilite dal legislatore, ad esempio in materia di retribuzione computabile per il TFR).
Privare le leggi vigenti della forza inderogabile di cui sono munite a favore della contrattazione aziendale è operazione tecnicamente possibile, ma tale spoliazione non può certo avvenire in modo implicito, con un non detto, perché si incide sulla norma legale modificandone non già direttamente il contenuto, ma attenuandone la forza precettiva.
Per quanto riguarda la modificabilità, anche definitiva, del CCNL da parte del contratto aziendale è già operativa, essendo prevista dall’AI che ne regola le modalità di attuazione, senza predeterminare particolari limitazioni.
Ciò consente, nell’ipotesi applicativa più estrema, che un’azienda convenga con la RSU di sostituire il CCNL applicabile con un accordo aziendale. Per questo aspetto, quindi, il decreto non poteva sostituirsi alle parti sociali sovvertendo le regole da esse già concordate che, semmai, potevano essere estese, dotandole di quell’efficacia erga omnes che solo la legge può attribuire.
E’ auspicabile che la legge di conversione chiarisca i delicati temi della derogabilità e dell’efficacia erga omnes della contrattazione aziendale per evitare incertezze che alimenterebbero il contenzioso giudiziario, vanificando l’opportuno sostegno alla contrattazione aziendale. Se così non fosse, non ci si potrà, poi, dolere dell’invasività dei tribunali del lavoro perché su di essi si verrà a scaricare la responsabilità di decidere sulle ambiguità in cui il legislatore ha deciso di rifugiarsi, evitando di scegliere in modo chiaro e risoluto una soluzione, rendendola così praticabile.
Non siamo e non dobbiamo essere, come ripeteva una canzone di qualche estate fa, il Paese di Pulcinella dove per i problemi seri si sceglie la mezza-soluzione: quella che non risolve la questione.
Passando dall’esame del decreto ai lavori in corso al Senato per la conversione del decreto, da osservatore della materia – e guardando agli aspetti meramente tecnici e non a quelli di politica legislativa – mi sembra rilevante il chiarimento che si rinviene nel parere espresso dalla Commissione Lavoro del Senato che, cercando di porre rimedio alle carenze del decreto, prevede di inserire nell’art. 8 la facoltà dei contratti aziendali e territoriali di derogare alla legge.
Tale facoltà riguarda anche la derogabilità del CCNL, anche se in quest’ultimo caso colpisce negativamente che il legislatore sovverta quanto convenuto tra le parti sociali con l’AI in relazione ai contratti aziendali modificativi del CCNL nei termini più sopra già ricordati.
Ma per l’effettiva funzionalità della norma – se la si vuole fare operare davvero senza creare false illusioni alle aziende esponendole ad un sicuro contenzioso giudiziario dall’esito incerto – sono necessarie almeno:
A) l’indicazione dei soggetti sindacali che possono stipulare i contratti aziendali in deroga. Il termine usato nel primo comma dell’art. 8 “rappresentanze sindacali operanti in azienda” non identifica con precisione che tali rappresentanze si esauriscono nelle RSA o nella RSU e, quindi, sembra legittimare l’accordo aziendale con una qualsiasi coalizione/aggregazione sindacale anche priva dei requisiti stabiliti dalla legge (art. 19 St. lav. per le RSA) o dall’accordo interconfederale 20.12.1993 (per le RSU). Con la conseguenza deleteria di consentire la creazione nei luoghi di lavoro di “rappresentanze sindacali operanti in azienda” diverse da quelle (RSA o RSU) tipizzate.
B) l’indicazione precisa e non generica delle norma di legge che diventeranno derogabili da parte degli accordi aziendali, altrimenti dovremmo attendere la giurisprudenza per capire quali norme legali sono davvero derogabili.

Faccio due soli esempi per chiarire meglio il concetto: 1) la formula “conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro” che si legge nell’attuale testo dell’art. 8, secondo comma potrebbe non riguardare la reintegrazione prevista dall’art. 18 St. lav.. Quest’ultima, infatti, non si applica al licenziamento, ma nel diverso caso di illegittimità del licenziamento identificandone l’apparato sanzionatorio che è cosa diversa dalle conseguenze che discendono dal recesso e che vanno identificate nell’effetto estintivo del rapporto di lavoro. Sul piano tecnico le conseguenze naturali del recesso sono (non quelle relative alla sua eventuale illegittimità, bensì) il preavviso (artt. 2118 e 2121 c.c.) ed il TFR (2120 c.c). Inoltre poiché il legislatore si riferisce al recesso (e, quindi, anche alle dimissioni) e non al licenziamento, il dubbio è maggiore. 2) Il riferimento “agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie” vorrebbe richiamarsi all’art. 4 St. lav., ma questa norma riguarda i controlli realizzati attraverso gli impianti audiovisivi. Se non si indica che sono derogabili i limiti legali vigenti in materia di controlli c.d. tecnologici, ma solo l’installazione degli impianti audiovisivi per di più collegati all’introduzione delle nuove tecnologie il rischio è di rendere la norma inutile, in quanto l’art. 4 potrebbe sopravvivere.

Quest’ultimo riferimento evidenzia che restano aperti, su un piano più generale, i problemi del coordinamento della nuova norma con le derogabilità già previste nel nostro ordinamento, ad esempio, dal d. lgs. 66/2003 per gli orari di lavoro e dal secondo comma dell’art. 4 St. lav. per i controlli tecnologici.
Affidarsi ad abrogazioni tacite è sempre pericoloso, perché si potrà dire che le norme vigenti non sono state abrogate e, quindi, continuano ad operare, in quanto la nuova norma è generale e, come tale, non modifica – secondo i principi generali – le precedenti norme speciali che già prevedevano regimi di derogabilità.
Con riferimento a queste esigenze di chiarimento, si deve ricordare che il Presidente della Repubblica si è già espresso con il messaggio alle Camere del 31 marzo 2010 relativo al c.d. Collegato Lavoro nel quale con riferimento alle iniziative assunte dal legislatore si affermava che “si tratta pertanto di un intendimento riformatore certamente percorribile, ma che deve essere esplicitato e precisato”. Aggiungendo con specifico riferimento ai temi della derogabilità delle tutele legali che “decisivo resta il tema di un attento equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale. Solo il legislatore … può e deve stabilire quali siano i diritti del lavoratore da tutelare con norme imperative di legge e quali normative invece demandare alla contrattazione collettiva. A quest’ultima, nei diversi livelli in cui si articola, può inoltre utilmente affidarsi la chiara individuazione di spazi di regolamentazione integrativa o in deroga …”.
Le considerazioni fin qui rapidamente svolte nascono dallo stupore per come l’opinione pubblica è stata fin qui informata da tutta la stampa che si è uniformata sull’affermazione che l’art. 8 abbia previsto davvero l’efficacia erga omnes e la derogabilità della legge da parte dei contratti aziendali. Un’affermazione che viene data per scontata senza la benché minima verifica, alimentando, invece, un vivace dibattito sulle conseguenze politiche, sindacali e sociali di tali (inesistenti) previsioni (forza manipolatrice dei media capaci di trasformare il nulla in un evento storico, almeno per il diritto del lavoro !).
L’effetto concreto e paradossale è che sul punto si rischia di aprire (anzi si è già aperto con la proclamazione dello sciopero generale) un aspro conflitto tra gli oppositori (CGIL) ed i fautori di una soluzione che (allo stato) non c’è. Con il rischio di creare tensioni sociali e, magari, di mettere in discussione la firma della CGIL all’AI faticosamente raggiunto (e questa è una cosa concreta che c’è ed è meglio preservare con cura), ma sul quale ancora pende la riserva formale della CGIL.
Uno scontro di questo genere potrebbe forse anche essere accettabile (anche se in un momento delicato come questo la coesione sociale ha un valore indiscutibile) se ci fosse, effettivamente, in ballo una vera modifica radicale del diritto del lavoro con tutte le sue conseguenze positive e negative, molte delle quali sono degne del massimo interesse.
Invece rischiamo di trovarci le macerie di un nuovo scontro sociale, le imprese illuse da soluzioni impraticabili che una pubblicità ingannevole ha indotto a perseguire stipulando accordi sindacali, magari onerosi, che rischiano di cadere inesorabilmente di fronte ai giudici del lavoro.
Allora perché non fare una cosa utile da parte dei media specializzati per fare chiarezza ed aiutare anche il lavoro parlamentare che si svolgerà in tempi rapidissimi ? perché non si avvia una raccolta di opinioni/impressioni sul tema ? E’ meglio approfondire per favorire un chiarimento o fare come se nulla fosse ? E’ meglio perfezionare la norma per farla funzionare o lasciare che esplichi solo un illusorio effetto-annuncio di una innovazione che non c’è, anche se potrebbe essere opportuno che ci fosse ? Interessa di più l’illusione dell’effetto-annuncio o il funzionamento del sistema normativo ?
La vera modernizzazione del diritto del lavoro e delle relazioni sindacali passa e si misura sulla funzionalità delle norme, sulla loro semplificazione e sull’eliminazione (per quanto possibile) delle incertezze applicative che danneggiano i lavoratori, le imprese, le organizzazioni sindacali, alimentando un contenzioso giudiziario del quale, proprio, non abbiamo bisogno, nemmeno gli avvocati giuslavoristi.

Arturo Maresca, professore di diritto del Lavoro alla Sapienza

 

 

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