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Home - Fiom: sindacato o movimento? - Damiano, traiettoria sbagliata che nuoce ai lavoratori

Damiano, traiettoria sbagliata che nuoce ai lavoratori

20 Luglio 2011
in Fiom: sindacato o movimento?

Cesare Damiano, deputato Pd, ex ministro del lavoro, gia’ dirigente della Fiom negli anni Novanta, è preoccupato dalla piega che sta prendendo la contrapposizione tra Fiom e Cgil. Non ha mai creduto al sindacato come movimento, si è battuto contro questa trasformazione. Ora guarda con timore al succedersi dei fatti, ha paura che si arrivi a una rottura, a tutto danno dei lavoratori.

Damiano, sta cambiando strada la Fiom?
Non è una novità. Il sindacato dei metalmeccanici della Cgil ha imboccato questa deriva nel 96, quando l’ala riformista, di cui io facevo parte, è stata sconfitta, devo dire anche per mancanza di coraggio. Noi ci cullavamo nel mito dell’unità dell’organizzazione, non capivamo che l’involucro andava frantumato.

Era stato Claudio Sabattini a sviluppare l’idea della Fiom come movimento?
Non è facile parlare di chi non c’è più. Io non condividevo la linea politica di Sabattini, ma l’ho sempre considerato un uomo intelligente, capace di non valicare mai il punto di rottura con la Cgil. Fu lui comunque a prendere quelle scelte, che portarono all’apertura di una stagione di conflittualità e al ripudio della concertazione. Le scelte di oggi sono figlie di quella politica.

Si sta arrivando alla rottura con la Cgil?
L’ultimo episodio di differenziazione è piuttosto grave. Io credo che l’accordo interconfederale su contratti e rappresentanza di fine giugno sia il migliore possibile in questa situazione, un onorevole compromesso capace di chiudere questa stagione di accordi separati. La Fiom invece lo ripudia, come del resto aveva combattuto il protocollo del 2006 con il governo Prodi. Ma fino a prova contraria la Cgil è una confederazione di lavoratori, non di sindacati di categoria, come la Cisl, certe regole cvanno rispettate. E la rottura sull’accordo di giugno è tanto più grave in quanto inerisce alla questione della Fiat, specie dopo la sentenza di Torino.

Ma fin qui la rottura formale non c’e’ stata.
Sull’orlo del precipizio il sindacato di Maurizio Landini si è fermato, si sono trovare delle formule di convivenza. Ma la situazione sta in qualche modo peggiorando. La Fiom assume sempre più caratteristiche di un’organizzazione non sindacale. Le scelte sono chiare. La via giudiziaria, la celebrazione dei 110 anni, che ha avuto una grande risonanza mediatica, ma ha assunto una netta configurazione politica, l’adesione alla lotta dei No Tav in Piemonte. Segnali precisi.

Un cambiamento che può avere effetti sull’azione di difesa degli interessi dei lavoratori?
Il gruppo dirigente della Fiom pensa di coprire in questo modo uno spazio che la politica non è in grado di rappresentare. Ma così facendo corre il rischio di indebolire l’azione contrattuale e accrescere l’aspetto simbolico dell’ azione sindacale. Io credo che si tratti di una traiettoria sbagliata. Alla lunga porterebbe alla sovrapposizione tra azione sindacale e azione politica fino alla fondazione di un partito del lavoro o altrimenti alla sopravvivenza in una zona di ambiguità a cavallo tra una zona di contestazione sindacale e una rappresentazione tradizionale dei diritti del lavoro.

Se la Fiom diventa un movimento, può trovare uno spazio a sinistra o in quell’area c’è già troppo affollamento?
Gli spazi sono coperti, da Sel soprattutto, perché Rifondazione è più in ombra. Del resto i partiti politici cercano sempre un insediamento sociale di riferimento, e la Fiom questo lo può rappresentare. Semmai l’anomalia è l’Italia dei valori, che si dichiara né di destra, né di sinistra, e poi si fa interprete delle istanze dei metalmeccanici della Cgil.

E’ possibile che la Fiom perda la sua strada dopo tanti anni?
Io sono cresciuto nella Fiom delle persone che erano state espulse dalle fabbriche per rappresaglia o erano state rinchiuse nelle Osr dalla Fiat. Militanti che dopo la sconfitta del 1955 dicevano che non condividevano un accordo, ma lo firmavano per non dividere i lavoratori. Sono figlio di quella scuola, non credo che la divisione del sindacato giovi ai lavoratori. La posta in gioco è enorme, nell’immediato i 20 miliardi di Fabbrica Italia, più in generale lo stesso profilo delle relazioni industriali. Sembrerebbe naturale un atto di responsabilità prima di conseguenze nefaste, inimmaginabili.

Massimo Mascini

 

Tags: CgilMetalmeccanici
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