Non c’è niente di più idoneo della fumosità ideologica per oscurare il contesto e impedire di distinguerne gli elementi. E’ quanto accade con l’Art. 8 relativo al “sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità” del Decreto Legge n. 138 del 13 agosto 2011 contenente la manovra bis di stabilizzazione finanziaria, con il quale si dispone, secondo quanto dichiarato dal Ministro del lavoro, l’ingresso dello “Statuto dei lavori” nella normativa italiana, accanto e in parte sovrapposto, allo Statuto dei lavoratori, quale nuova frontiera della regolazione delle materie del lavoro attraverso il rafforzamento della contrattazione decentrata in deroga ai Ccnl e alle leggi.
Nel primo dei tre commi dell’articolo si afferma che i contratti collettivi a livello aziendale o territoriale sottoscritti dalle Organizzazioni sindacali rappresentative sul piano nazionale, “ovvero” dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda, possono realizzare “specifiche intese” finalizzate ad affrontare crisi aziendali e occupazionali e programmi di investimenti. L’ambito di riferimento è simile a quello delle cosiddette “deroghe al Ccnl” previsto dall’Accordo interconfederale del 28 giugno scorso stipulato tra Cgil-Cisl-Uil e Confindustria, e a quello dei Ccnl dei metalmeccanici del 2010 firmato da Fim e Uilm e dei chimici del 2007, sottoscritto dai tre sindacati di categoria di Cgil Cisl e Uil. Tuttavia, a differenza dell’Accordo interconfederale, il Decreto del Governo non richiama il quadro delle “materie delegate” dal Ccnl stesso e dalla legge, di cui al punto 3, né quello dei “limiti e procedure” previste dal Ccnl, di cui al punto 7, prefigurando perciò una sorta di liberalizzazione degli spazi e delle materie delle specifiche intese.
Quanto alla rappresentanza, l’Accordo interconfederale, al punto 7, prevede la possibilità che nella fase transitoria e in attesa delle procedure nazionali, gli accordi aziendali contenenti le intese modificative possano essere stipulati dalle rappresentanze aziendali, ma “d’intesa” con le organizzazioni sindacali territoriali di Cgil-Cisl e Uil. Il testo del Decreto legge, invece, pone nella medesima fattispecie l’alternativa tra le organizzazioni sindacali nazionali e quelle costituenti la rappresentanza “operante in azienda”. Anche in questo caso siamo di fronte all’ampliamento della possibilità derogatrice dell’azione contrattuale, ma da parte di una molteplicità di soggetti di rappresentanza aziendale non necessariamente raccordati con le Organizzazioni sindacali nazionali.
Il secondo comma dell’art. 8 del decreto legge 138 contiene l’elencazione nel dettaglio delle ampie materie su cui possono intervenire le specifiche intese aziendali: dagli impianti audiovisivi alle mansioni e inquadramento professionale, dalle diverse tipologie contrattuali all’orario di lavoro, fino alle modalità di assunzione, alla disciplina del rapporto e alle conseguenze del recesso, con l’eccezione relativa ai licenziamenti discriminatori e a quelli della lavoratrice in concomitanza del matrimonio. Il dibattito pubblico si è concentrato sulla possibile derogabilità dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che prevede la tutela reale e non meramente indennitaria, con reintegrazione nel posto di lavoro nel caso di licenziamento illegittimo, qualora sia riconosciuto sprovvisto di giusta causa o giustificato motivo. A differenza di quanto emerso, tuttavia, il Decreto non tocca solo l’art. 18 dello Statuto, che peraltro protegge esclusivamente i lavoratori delle aziende con più di 15 dipendenti, ma interessa diverse e altrettanto importanti normative.
In particolare, con il comma in questione, si opera una sorta di rinvio generale, su diverse e rilevanti materie, direttamente dalla legge alla contrattazione decentrata, bypassando disinvoltamente la contrattazione nazionale e la stessa negoziazione tra le parti sociali (il Protocollo del 2009 stipulato da Cisl e Uil e il susseguente accordo interconfederale del 28 giugno 2011, che vede la firma delle tre Confederazioni)
Il Governo, interviene così in modo deciso sul punto delicato che riguarda il rapporto tra legge e contratto, con una scelta fortemente discutibile, che amplia in modo pressoché illimitato gli spazi di deregolazione, più che di regolazione, della via contrattuale aziendale/territoriale. In tal modo, si rischia così di sovvertire il nostro sistema di diritto sindacale e del lavoro basato sulla derogabilità in melius della legge ad opera della contrattazione collettiva e della limitata possibilità di derogare in peius o “ri-regolare” alcuni istituti attraverso i rinvii legislativi (pensiamo ai criteri di scelta dei lavoratori o alle novazione di inquadramento professionale nelle situazioni di crisi o nelle procedure concorsuali, ecc.,) o le intese modificative contrattuali. Dalle modifiche che il Decreto apporta in materia, si fatica a riconoscere il novero dei diritti cosiddetti fondamentali, inderogabili e assistiti da elementi forti di tutela, a causa proprio dell’ampliamento a dismisura delle possibilità di deroga in peius rispetto alla legge. Inoltre, vengono in evidenza nel decreto diversi diritti e tutele assolutamente qualificate, spesso sorrette da quadri normativi complessi e articolati che sono frutto di negoziazione con e tra le parti sociali, tra cui la tutela obbligatoria o reale contro il licenziamento secondo le classi dimensionali di impresa, il diritto e la tutela della professionalità, il diritto al rispetto della dignità e riservatezza e il correlato divieto di controllo a distanza, il diritto alla stabilità del lavoro e il divieto di abuso delle flessibilità tipologiche dei contratti a termine, in somministrazione o delle collaborazioni.
Con il terzo e ultimo comma si salva l’efficacia generale degli accordi aziendali stipulati prima dell’entrata in vigore del Decreto (ad esempio gli accordi Fiat di Pomigliano, Mirafiori, Melfi e ex Bertone), purchè sorretti dalla approvazione della maggioranza dei lavoratori. Un intervento questo che può contribuire a ricostituire un quadro di certezze nella vicenda Fiat e che toglie all’azienda gli alibi residui posti a motivo dell’intento di uscita dal sistema contrattuale.
Sul significato dell’insieme delle disposizioni, il Ministro del lavoro ha giustificato la scelta di modificare l’impianto dello Statuto dei lavoratori, in quanto lo stesso sarebbe riconducibile ad un presunto “centralismo regolatorio di matrice pubblicista e statualista” degli assetti produttivi della “vecchia economia”. A parte il connotato fortemente ideologico di tale affermazione, non si comprende la “necessità e l’urgenza” di intervenire sulle materie del lavoro attraverso un decreto legge finalizzato alla stabilizzazione finanziaria.
Non è appropriato, altresì, che si intervenga per legge su materie che toccano l’autonomia negoziale delle parti sociali, tanto più se si forzano le determinazioni contrattuali che le stesse parti sociali hanno raggiunto sui medesimi argomenti, così come è avvenuto con il recente Accordo interconfederale.
Emerge qui limpidamente il senso e la validità dell’avversione storica della Cisl agli interventi autoritativi della legge sui temi sindacali e del lavoro, mentre il compito del legislatore dovrebbe essere indirizzato piuttosto a sostenere e favorire la qualificazione delle relazioni industriali.
Un passaggio fondamentale in tal senso è avvenuto con il recente accordo interconfederale con Confindustria e, mentre lo stesso pone al riparo il sistema confindustriale dalle modifiche legislative previste dal decreto legge, paradossalmente il decreto rischia di sortire l’effetto di incentivare l’uscita delle imprese dal sistema, alla ricerca di condizioni contrattuali più favorevoli, in palese contraddizione con gli intenti espressi dalle parti sociali.
Infine, non è condivisibile il carattere semplicistico e sbrigativo delle nuove disposizioni, suscettibili di minare o alterare gli “equilibri di sistema” tra diritti fondamentali e diritti protetti con intensità da tutele legislative e contrattuali, riconoscibili, gli uni e gli altri, nella Costituzione e nell’evoluzione del diritto nel nostro Paese, oltre che nella Carta dei diritti dell’Unione europea. Si evidenzia così il rischio che, in assenza di regole o con regole ultraflessibili e depotenziate, in combinazione con la marginalizzazione del ruolo del sindacato Confederale, la necessaria tutela del lavoratore nel rapporto di lavoro possa risultare ancora più ardua o addirittura venire strutturalmente indebolita.
Nicola Alberta
Segretario generale Fim-Cisl Lombardia

























