di Marigia Maulucci – segretario confederale Cgil
Dimenticare Caserta, e pure in fretta. L’unico momento in cui i ministri sono riusciti a guardare tutti nella stessa direzione è stata la foto di gruppo: come obiettivo unificante non è un gran che. Comunque sia, pur nella confusione, l’esigenza di individuare nella priorità della crescita l’obiettivo centrale sul quale concentrare gli sforzi dovrebbe essere stato introiettato. E questo è intanto un primo passo.
Credo davvero che dovremmo rimettere insieme le condizioni della concertazione tra le parti che ci permetta di affrontare l’emergenza dell’aumento della produttività e del ruolo dei singoli soggetti rispetto a questo obiettivo. Non sono particolarmente interessata, adesso, a esercitarmi sulla differenza, formale e istituzionale, se questo comporti un tavolo grande di confronto, gerarchicamente preordinato rispetto alle altre sedi negoziali di questa fase:vorrei evitare ulteriori e defatiganti involuzioni metodologiche che hanno il solo significato di rimandare il peso di decisioni sul merito dei problemi da affrontare. Mi limito a costatare che le questioni della previdenza e del mercato del lavoro non potrebbero che trarre beneficio da un quadro generale che veda crescere il Pil e la competitività del nostro sistema produttivo.
In fin dei conti, adesso come nel ’95, ai tempi della riforma Dini, il tema vero è come si rafforza il sistema previdenziale pubblico aumentando la buona occupazione, così come per le pensioni dei giovani il tema vero è come si rafforzano i contributi versati – anche attraverso interventi di solidarietà nel sistema – cosa che riporterebbe la discussione sulla revisione dei coefficienti alla sua vera natura, costruendo su piani più propri le tutele adeguate alle prospettive previdenziali dei giovani lavoratori.
Per quanto riguarda poi la questione degli strumenti di accesso al lavoro, è del tutto evidente che sarebbe molto meglio occuparci di come aumentare quantità e qualità dell’occupazione: di questi spezzettamenti di lavoro in aree residuali e non competitive dell’economia i giovani pagano il prezzo più salato, ma complessivamente è tutta l’economia del Paese che ne soffre.
Non vedo altra sede per affrontare la questione della crescita che non sia quello del patto di politica dei redditi: prima che iniziasse tutto il tormentone della legge finanziaria, il Governo ci aveva persino convocato per proporci, al termine del percorso della legge di bilancio, l’attivazione di questo tavolo che avrebbe dovuto realizzare la convergenza e l’intesa sull’obiettivo prioritario dello sviluppo e sui necessari strumenti per realizzarlo. Voglio far finta che il Governo mantenga gli impegni e mi esercito su quanto dovrebbe, secondo me, essere al centro di questo confronto: cosa intendiamo per produttività e come si rafforzano, qui e ora, le dinamiche salariali.
Non credo proprio che sia ipotesi particolarmente avanzata, e nemmeno sostanziata da evidenze empiriche, che la produttività coincida con aumento e/o flessibilizzazione dell’orario di lavoro. Soprattutto non credo che sia di qualche utilità pensare che queste modalità di lavoro possano essere oggetto di concertazione nazionale, a prescindere dalle condizioni materiali del loro esercizio. Materie come questa sono oggetto di contrattazione di categoria, ed è giusto che sia così perché fanno parte dell’impianto generale di un negoziato, come abbiamo sempre fatto, da che mondo è mondo.
Credo invece che occorra ragionare su quanto sia centrale immettere innovazione nei prodotti e nei processi, assumendo il tema dell’organizzazione del lavoro, della sua formazione e riqualificazione come davvero l’asse portante e strategico di un’impennata del nostro Pil. Occorre poi concentrare e ottimizzare gli investimenti, far crescere la produttività generale dei fattori, connettere in questo quadro le scelte sull’infrastrutturazione materiale e immateriale.
In questo quadro, non è irrilevante parlare delle liberalizzazioni nella misura in cui esse siano potenzialmente efficaci per un modello di specializzazione produttiva che voglia davvero evolvere verso l’economia della conoscenza. La liberalizzazione dei servizi a rilevanza industriale, il terziario, gli ordini professionali: insomma quella concorrenza buona che dinamizza l’economia creando nuovi soggetti industriali e riduce i prezzi. Mi auguro solo che i ministri competenti lo siano davvero e lavorino sul merito dei problemi, fuori da schieramenti precostituiti e da furie di riformismo parolaio. Furia per furia, non mancano certo ideologi della guerra senza se e senza ma alle liberalizzazioni e privatizzazioni.
L’altro tema, per noi centrale, è quello delle dinamiche dei salari e delle retribuzioni ,ancora in sofferenza: abbiamo, com’è noto, valutato positivamente la riforma fiscale contenuta nella Finanziaria perché ha provato a ristabilire progressività e redistribuzione in basso. Non abbiamo mai detto che sarebbero arrivate palate di soldi, abbiamo sempre saputo che il complesso degli interventi della manovra di bilancio avrebbero o pareggiato o persino ridotto quei risultati. Ciò non toglie che il segno era un segno positivo, a maggior ragione tale, per quanto mi riguarda, se inserito in un contesto dinamico di politica dei redditi che potrebbe valutare, con interventi di compressione di prezzi e tariffe e dentro un quadro di relazioni con tutte le articolazioni dello Stato, gli effetti combinati delle tassazioni nazionali e locali.
Il rafforzamento delle dinamiche salariali passa attraverso interventi fiscali e tariffari ai quali aggiungere gli effetti della contrattazione: mi sembrerebbe intanto un fatto altamente positivo che la ripresa del confronto sui temi della produttività si misurasse con il suo immediato contraltare, vale a dire come, quanto dove ridistribuire al lavoro quote di quella produttività che il lavoro stesso ha contribuito a formare. E’ evidente, per quanto mi riguarda, che la sede giusta è la contrattazione aziendale come livello aggiuntivo rispetto all’insostituibilità del contratto nazionale: impossibile però non vedere quanto l’estensione ridotta di queste sedi penalizzi una massa consistente di lavoratori. Occorre trovare il sistema per estendere questi livelli negoziali, per esempio, ma non solo, esentando il salario variabile dall’Irap.
Comunque sia, sarebbe utile ricominciare a discutere di queste cose. Le elaborazioni sindacali potrebbero registrare un grado importante di convergenza. Molto meno forse con Confindustria, come appare dalle dichiarazioni alla stampa, ammesso che si possano verificare davvero le condizioni di un confronto dalle pagine dei giornali, senza guardare in faccia il tuo interlocutore. Sarebbe invece utile che in una sede “neutra” fosse possibile organizzare un reale approfondimento, sindacati e Confindustria, sulle condizioni oggi da realizzare e/o rivendicare per aumentare la produttività e la competitività. Un seminario, cioè, non ancora un confronto. Magari non a Caserta.