La vertenza di Mercatone Uno, in amministrazione straordinari dal 2015, ha vissuto fasi alterne. Nel luglio dello scorso anno la situazione sembrava aver trovato un esito felice con l’entrata in scena della Shernon Holding, interessata a rilevare l’azienda, per poi dimostrarsi, sostanzialmente, una “bufala”, senza risorse e un piano industriale per il rilancio della catena. E oggi a rischiare sono 1.800 lavoratori. Ne abbiamo parlato con Sabina Bigazzi della Filcams-Cgil, che ha seguito la vertenza fin dai suoi albori, per capire come mai si è arrivati a questa situazione e quali sono le chances per il rilancio dell’azienda.
Bigazzi la vertenza Mercatone Uno inizia nel 2015. Come si è sviluppata?
Mercatone Uno entra in amministrazione straordinaria con la ministra delle Sviluppo Economico Federica Guidi. Il piano della vecchia amministrazione la dismissione di 34 punti e la perdita del posto di lavoro per molti addetti.
Prima dell’entrata in scena della Shernon Holding ci sono state delle offerte?
Durante l’amministrazione straordinaria venne fatto un primo bando non vincolante, e si registrò l’interesse di una cinquantina di aziende. Poi ne vennero fatti un altro paio, dove si restrinse molto la rosa delle società interessate. Tuttavia le offerte al momento presentate non davano le giuste garanzie in termini di occupazione, investimenti e rilancio della compagnia.
E arriviamo a questo punto alla Shernon Holding.
Quando è arrivata l’offerta della Shernon la situazione era molto critica. L’amministrazione straordinaria era in difficoltà, considerate le esigue risorse rimaste. I commissari hanno valutato positivamente l’offerta, e anche noi come sindacato non abbiamo non potuto dare il nostro avallo all’operazione. Se non lo avessimo fatto Mercatone Uno sarebbe andato incontro al fallimento.
Non avete avuto dei dubbi sulla sua effettiva natura della Shernon?
Il sindacato ha manifestato fin da subito perplessità sull’effettiva capacità della Shernon di gestire una realtà come Mercatone Uno, anche se, come detto, non avevamo altra scelta se non quella di dare in nostro assenso all’accordo. I problemi non si sono manifestati sin da subito, e fino a fine 2018 l’attività è andata avanti, anche perché nei magazzini c’era ancora della merce. Le cose sono precipitate tra gennaio e febbraio, quando i fornitori non hanno più effettuato le consegne, perché non venivano pagati, e quando è emerso il rischio concreto che non venisse garantita la retribuzione ai lavoratori. Allora abbiamo capito che la Shernon era un cartonato, senza un piano e senza risorse.
A qual punto come vi siete mossi?
Abbiamo chiesto di essere convocati dal Mise. La convocazione è arrivata per lo scorso 2 aprile, poi posticipata al 18 perché la Shernon aveva chiesto più tempo per presentare una ricapitalizzazione da 20 milioni di euro. Una cifra insufficiente per porre rimedio alla situazione, e che ancora una volta ci ha dato la conferma dell’assoluta inconsistenza della Shernon.
Quali sono le prossime mosse da mettere in campo e quali prospettive future vi auspicate?
Prima di tutto mettere in sicurezza i lavoratori. I 55 punti vendita sono tornati in amministrazione straordinaria. Questo ci dà la possibilità di poter chiedere la cassa integrazione, e su questo punto il Mise si è dimostrato molto disponibile, e soprattutto abbiamo modo di poter trovare un nuovo acquirente.
La vertenza di Mercatino Uno è passata sotto la mano di tre ministri dello Sviluppo diversi e attraverso due esecutivi. Come valuta la gestione di tutta la situazione?
La vertenza è iniziata sotto la ministra Guidi, la quale, poco dopo, ha consegnato le dimissioni, quindi il suo operato è poco valutabile. Posso dire che nel Mise c’è stata una sottovalutazione diffusa delle pericolosità insite della vertenza, anche all’interno degli apparati tecnici.
Tommaso Nutarelli