L’analisi comparata dei programmi presentati da Vincenzo Boccia e Alberto Vacchi per la presidenza di Confindustria è un esercizio interessante. A prima vista, le analogie colpiscono più delle differenze. Tanto che si potrebbero definire, per molti versi, fotocopie l’uno dell’altro. In molti casi, addirittura, ricorrono le stesse terminologie, gli stessi modi di dire. Anche le idee e le strategie sono sostanzialmente identiche. Quello che li distingue profondamente è però lo spirito di fondo. Vacchi, infatti, muove una critica pressoché totale all’attuale Confindustria, usa un linguaggio freddo, manca totalmente di empatia, chiede con determinazione “discontinuità”, “cambiamento”. Boccia, al contrario, parla da uomo del sistema, rifiuta l’uso del termine “discontinuità” (“non lo userò mai, sarebbe offensivo per chi ci ha preceduti”), apre il discorso con “cari amici” e lo chiude con un affettuoso riconoscimento a Giorgio Squinzi, alla sua “abnegazione e sacrificio personale” negli ultimi due anni (accenno delicato alle condizioni di salute non ottimali del presidente uscente), sottolinea la stima per gi altri candidati (Bonometti, Regina e lo stesso Vacchi) concludendo con una frase addirittura romantica: “la nostalgia del futuro ci guiderà ogni giorno”.
Differenza non da poco, certo. E del resto, non a caso, i due sono stati presentati, appunto, come l’uomo della continuità e quello della rottura con l’attuale sistema. Ma se i toni sono diversi, i contenuti alla fine sono gli stessi. Sulle relazioni industriali, per esempio, entrambi prendono come riferimento il modello Federmeccanica. Nel dettaglio: sia Boccia che Vacchi vogliono un contratto nazionale che sia solo cornice per diritti di base e per un salario minimo; tutto il resto deve essere demandato alla contrattazione aziendale, che dovrà essere inoltre defiscalizzata per quanto possibile. Boccia immagina che la contrattazione in azienda possa prevedere “deroghe al contratto nazionale”, mentre quest’ultimo può essere l’ultima istanza per quelle imprese che non se la sentono di fare contrattazione interna. Inoltre, Boccia chiede il “pieno rispetto” degli accordi interconfederali del 2011 e 2013, e respinge l’ipotesi di un intervento esterno, leggi governativo, nella riforma di rappresentanza e contratti, materia che attiene “alle forze sociali”. Vacchi è più duro, parla di “respingere veti, superare resistente e rifiuti”, non fa alcun cenno agli accordi interconfederali già realizzati, afferma che “al centro dei contratti deve esserci l’ esigenza delle imprese di recuperare competitività”, e immagina la Confindustria come il fornitore di una “cassetta degli attrezzi” nella quale ogni azienda possa scegliere il modello di contrattazione che meglio le si addice. “Cassetta degli attrezzi”, tra l’altro, è anche il termine che ricorre nel discorso di Boccia.
Entrambi prendono atto del fatto che il paese è a crescita zero, e identificano nelle filiere la via per ridare competitività al sistema industriale; entrambi puntano su digitalizzazione, industria 4.0, riforma della giustizia e della pubblica amministrazione, chiedono un ulteriore passo avanti sul fisco (dopo la delega fiscale che già molto ha dato alle imprese), e insomma le solite cose. Vacchi sollecita una sorta di autocritica (“non possiamo dirci estranei al degrado generale”) chiede “un cambio di mentalità”, afferma che troppo spesso la vita associativa è utilizzata come trampolino per carriere personali; poi invita a cercare “alleanze invece che conflitti costosi”, e immagina una Agenda per “salvare l’Italia”. Boccia a sua volta propone una Agenda per la competitività, punta a una Confindustria “di proposta e di progetto”, sottolinea che il sistema associativo ‘’rappresenta solo un costo se non funziona adeguatamente’’. Una “agenda” serve anche sui temi europei, molto sviluppati nel programma di Boccia, che afferma: “non c’è alternativa all’Europa”, indietro non si torna, ma occorre un rinnovamento. Vacchi liquida la questione con poche battute, ma entrambi, comunque, concordano sul ruolo chiave che dovrà svolgere la sede di Confindustria a Bruxelles.
E ancora, mentre Boccia cita come positivo il Jobs act, Vacchi nemmeno lo cita; Boccia afferma che la “sua” Confindustria appoggerà il governo Renzi nel suo grande sforzo sulle riforme, Vacchi invece rivendica che “una leadership rinnovata del mondo dell’impresa, lontana dalla politica” (di cui da’ un giudizio molto negativo, ndr) è “indispensabile per guidare il paese” e afferma: “siamo chiamati a tenere in piedi una Nazione’’.
Sia Boccia che Vacchi lamentano poi il solito mantra della “cultura anti industriale’’ che permea la società, e si propongono di rimediarvi. Come? conducendo una forte campagna di ‘’sensibilizzazione’’ per far capire al colto e all’inclita che l’industria, l’impresa, è il motore di tutto. Entrambi puntano in primo luogo sui giovani e sulla scuola: che dovrà essere più consona alle esigenze delle imprese, e quindi potenziare gli istituti professionali, istituire addirittura “lauree professionalizzanti’’, seguendo le precise indicazioni del mondo industriale. “Putroppo i giovani non vedono più nella fabbrica una prospettiva di vita’’, dice Vacchi (e un po’ sembra di risentire l’eco degli anni Settanta, e “Contessa’’, e “oggi anche l’operaio vuole il figlio dottore”). Quindi, secondo l’aspirante presidente, ‘’occorre orientare le scelte dei giovani’’ e ‘’la cultura tecnica deve diventare priorità nazionale’’ . Identica posizione, con toni appena più sfumati, per Boccia.
Anche il Sole 24 ore, ovviamente, rientra nella campagna per fare dell’industria il centro del mondo. Vacchi lo dice apertamente: “sul Sole occorre fortemente incidere, come editore, per qualificare a tutto tondo l’immagine del fare impresa, identificandolo come principale motore della crescita’’. Boccia, a sua volta, afferma che il quotidiano confindustriale dovrà essere “sempre più portatore della cultura economica e industriale del paese”, rafforzandone inoltre l’indipendenza economica.
Quanto al Centro studi, a sua volta dovrà avere un ruolo di peso in questa partita per il rilancio della cultura industriale. Boccia annuncia che terrà per sé la delega relativa, e che il Csc avrà un “ruolo potenziato, per dare fondamento economico e scientifico alle nostre linee politiche’’; Vacchi non specifica, limitandosi a sottolinearne il ruolo centrale nelle attività confederali, ma si dice che nel caso di una sua vittoria la delega per il Csc dovrebbe essere affidata a Gianfelice Rocca, suo primo sponsor e grande elettore.
Nunzia Penelope