Centrella come state vivendo la crisi?
Male. Ma temo che la situazione peggiorerà. L’Italia è sempre più povera, i cittadini sono sempre più poveri. Può darsi che con la politica di Monti il bilancio si riassesti, ma ci troveremo con un problema serio sul territorio e non sarà facile gestirlo. In regioni come quelle meridionali, dove non c’è nulla, quando perdi il posto di lavoro resti a terra, per mangiare devi piantare pomodori.
I cittadini sono stati lasciati soli?
Totalmente soli e questo non doveva accadere.
Anche il sindacato ha lasciato soli i lavoratori?
Il sindacato è in crisi, non riesce a difendere fino in fondo i lavoratori. Basta guardare ai provvedimenti varati dal governo. Il sindacato cosa è riuscito a fare? Nulla, se non fare il notaio. E in più si divide, quando invece oggi dovrebbe più che mai stare unito.
La Ugl ha fatto spesso appelli alle altre confederazioni per marciare assieme.
I miei amici e compagni di Cgil, Cisl e Uil non ascoltano, ma i lavoratori questo vogliono.
Perché questa crisi del sindacato, dove ha sbagliato?
Tutto è cominciato qualche anno fa, quando ha lasciato da parte la difesa dei lavoratori, il motivo per cui è nato, e ha cominciato a fare “politica”. Ora siamo in difficoltà tutti, dobbiamo riprendere in mano gli strumenti classici del sindacalismo, che sono stati lasciati da parte, e che sono un po’ arrugginiti.
I lavoratori però si iscrivono.
Perché siamo bravi a dare servizi. Ma in un momento di crisi come questo che stiamo vivendo la percentuale di iscritti dovrebbe essere molto più alta. Io giro l’Italia, visito le aziende, sto tra i lavoratori e loro dicono che il sindacato è lontano dai loro problemi. Non è bello che sia così.
L’organizzazione sindacale andrebbe rivista?
Dovremmo cambiare sistema, da romanocentrici diventare territoriocentrici, riportare il sindacato dove è nato, nei luoghi di lavoro e dare più importanza alla base invece che al vertice.
La concertazione resta uno strumento valido?
Sì, ma deve andare di pari passo con la partecipazione.
Che non ha però vita facile nel nostro paese.
Lo so.
Lei pensa che si possa ripartire con la partecipazione, che abbia un futuro?
Oggi c’è l’humus adatto per avere una concertazione e una partecipazione forti.
I lavoratori lo vogliono?
Quello chiedono.
Le aziende sono di diverso avviso.
Sì, ma dovranno adeguarsi.
E’ possibile svolgere normalmente la stagione contrattuale, anche in questo periodo di crisi?
Credo di sì. Dai rinnovi può partire un rilancio del sindacato e l’avvio dell’azione che ci porti tutti fuori dalla crisi?
In che senso?
Noi finora non abbiamo messo nulla di nostro, abbiamo solo guardato cosa faceva il governo. Con i rinnovi contrattuali possiamo dimostrare che il sindacato e le aziende hanno capito quale deve essere il loro ruolo e possono attivarsi per il rilancio della crescita.
E’ circolata l’idea di una tregua sindacale, una moratoria per allontanare i rinnovi.
Sarebbe un errore, con i contratti noi possiamo decidere tutto, ma dobbiamo gestirli, non rinviarli.
Intervenendo sull’organizzazione del lavoro, per aumentare la produttività?
Come è normale che si faccia.
Lei dice che la situazione economica del paese è grave. Ma ci sono speranze di una ripresa?
Servirebbe una riforma fiscale vera che detassi il lavoro, per mettere in tasca dei lavoratori un po’ di soldi, perché riprenda la domanda interna, quindi la produzione, crescano i posti i lavoro, arrivi così la ripresa economica. Ma non basta, perché non possiamo continuare ad avere due Italia, centro Nord e centro Sud, profondamente differenti. Al Sud non ci sono autostrade, non ci sono strade ferrate, non ci sono reti mediatiche, non c’è nulla. Manca una politica energetica. Ma se resta tutto così nessuna azienda investirà mi nel Mezzogiorno.
Nel nostro paese manca una politica industriale.
C’è sempre stata solo politica assistenziale, con finanziamenti a cascata, che non sono serviti a nulla, certo non a rendere appetibile il Mezzogiorno.
Al Sud c’è la criminalità organizzata, un vero freno.
Ma se non c’è lo Stato la criminalità organizzata non scompare.
Massimo Mascini