In merito all’ipotesi dell’introduzione, tra i prossimi decreti attuativi al Jobs Act, di una legge per il salario minimo, Cgil e Cisl si trovano d’accordo: è il contratto nazionale a dare le maggiori garanzie, anche dal punto di vista retributivo, ai lavoratori, ed è questo l’istituto da rafforzare.
Per il segretario confederale della Cgil, Fabrizio Solari: “in Italia, a differenza di altri paesi europei, esiste un istituto che si chiama contratto nazionale di lavoro. Questo oggi ha minimi più alti di quelli di cui si discute. Questa è la realtà. Il tema dovrebbe essere quindi di dare attuazione all’articolo 39 della Costituzione, quello che prevede la possibilità di estendere a tutti la cogenza del minimo contrattuale. Solo così –ha precisato Solari- avremmo la certezza della tutela dei lavoratori con minimi sensibilmente più alti rispetto a quelli ipotizzati e, comunque, determinati dalla contrattazione”.
Il sindacalista ha poi spiegato tale posizione con un esempio: “Oggi un lavoratore dipendente di un’azienda che non fa parte di un’associazione imprenditoriale che ha firmato contratti, non ha la certezza del diritto dell’applicazione del contratto nazionale, se non attraverso un’eventuale sentenza favorevole. Ecco perché bisogna dare attuazione all’articolo 39, per questa via non ci sarebbe bisogno di alcun intervento legislativo e, soprattutto, per avere un minimo contrattuale più alto di quello ipotizzato”.
La contrarietà alla proposta del salario minimo del segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan, è motivata dalle stesse considerazioni: “Nei paesi europei dove esiste, il salario minimo di legge non supera il 50% del salario medio percepito dai lavoratori, ma in Italia la situazione sindacale e contrattuale è ben diversa: da noi esiste un sistema di salari minimi fissato dai contratti collettivi nazionali che copre circa l’80% dei lavoratori italiani. Il sistema è sicuramente migliore dei salari minimi di legge in quanto offre una soglia di garanzia decisamente più elevata ed è più aderente agli specifici contesti in quanto fissato per settori e per singole qualifiche professionali”.
“La quota di lavoratori non coperti dai contratti collettivi è da ascrivere soprattutto al lavoro autonomo, vero o mascherato. La strada allora è quella di ricondurre nell’ambito del lavoro subordinato il lavoro autonomo mascherato, non di introdurre un salario minimo, che, peraltro, rischia di offrire una sponda ai contratti ‘pirata’. Va inoltre ricordato –ha puntualizzato Furlan- che la Magistratura del lavoro ha sempre indicato nei minimi fissati dai contratti collettivi il riferimento da adottare in tutti i casi di contenzioso derivati dall’applicazione di salari diversi”.
Dissimile, invece, è stato il riferimento al Jobs act. Mentre il segretario della Cisl ha affermato che: “In una fase in cui i decreti attuativi del Jobs Act stanno via via rivalutando il ruolo della contrattazione, invitiamo Governo e Parlamento a non cambiare strada”, Solari ha dichiarato: “la spiegazione da parte del governo dei provvedimenti intorno al Jobs Act sembra un format: si continuano a propagandare misure che sembra abbiano l’aspetto di essere inclusive, di allargare i diritti e di migliorare la condizione delle persone. Quando in realtà, in questo caso, la preoccupazione della è che “attraverso il salario minimo si finisca per pagare meno i lavoratori”.