Ha quarant’anni, vive in Italia da diciotto, ha più figli di un imprenditore italiano, una discreta formazione scolastica (oltre 12 anni di studio nel paese d’origine) ed è titolare dell’impresa, nella quale assume soprattutto personale italiano. Questo l’identikit dell’imprenditore immigrato in Italia, secondo un’indagine del Cnel, che mette in evidenza come gli imprenditori stranieri siano “molto diffusi sul territorio nazionale, non solo nei distretti industriali del Nord, e ben integrati con le piccole imprese italiane”. Gli immigrati inoltre, “sono motivati e propensi al rischio, assumono personale e collaboratori italiani e soprattutto hanno voglia di crescere”.
Il peggioramento delle condizioni economiche nel paese di provenienza è la causa principale dell’emigrazione, secondo il sondaggio condotto su 200 imprenditori immigrati, la maggior parte dei quali ha avviato in Italia una propria attività per essere autonomo, guadagnare di più e per valorizzare le proprie capacità. La maggioranza degli stranieri imprenditori, inoltre, è titolare dell’impresa, che ha avviato auto-finanziandosi, nella quale impiega circa 5 addetti prevalentemente italiani. La maggior parte degli imprenditori immigrati considera il rapporto con gli italiani più importante rispetto alle relazioni con i connazionali e con i familiari. Clienti e fornitori sono soprattutto italiani (con differenze significative a seconda dei comparti), così come i consulenti. Sul fronte dell’occupazione, il 22,2% degli intervistati propende ad assumere personale italiano.
Le imprese di immigrati hanno gli stessi problemi dell’impresa italiana: “troppo piccole di fronte alla crisi”, osserva il rapporto del Cnel. “Se si chiede che la piccola impresa contribuisca allo sviluppo economico si deve chiedere agli imprenditori immigrati quello che si chiede agli italiani: crescere. Altrimenti la presenza degli imprenditori immigrati rischia di innescare una competizione al ribasso e a risentirne sarà la produttività del sistema”. (LF)
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