Dalla A di Abramo Customer Care Spa, azienda in amministrazione straordinaria con molte sedi al sud, che offre servizi di customer care e marketing, alla W di Whirlpool EMEA Spa, principale multinazionale di elettrodomestici al mondo. Sono 59 i tavoli di crisi aperti al Mimit, 37 attivi e 22 in monitoraggio, perché non attivi ai fini delle misure Inps. La fotografia scattata dal Ministero dell’industria risulta poi essere parziale perché non tiene conto di tutte quelle vertenze che coinvolgono realtà con meno di 250 addetti, ossia l’ossatura del tessuto produttivo, fatto di piccole e medie imprese. Secondo alcune stime sindacali i posti di lavoro a rischio sono oltre 70mila, 50mila dei quali tra i metalmeccanici.
La vicenda dell’ex Ilva, che in questi giorni popola le pagine economiche di tutti i quotidiani, è la vertenza più grande e datata, con 20mila lavoratori interessati, tra diretti e indiretti e i suoi 12 anni. L’ultimo capitolo vede gli avvocati di Invitalia e quelli di ArcelorMittal al lavoro per arrivare a una separazione, con l’acciaieria che ritornerebbe nelle mani dello stato. Coincidenza vuole che in Francia proprio il colosso indiano stia mantenendo il suo impegno per la rigenerazione del polo siderurgico di Dunkerque, con un investimento da due miliardi con il supporto del governo. Restando nel mondo della siderurgia, rimangono aperti i tavoli per la Jsw Steel Italy di Piombino e la SiderAlloys, cooperativa svizzera titolare dello stabilimento di Portovesme, della ex americana Alcoa.
A tenere banco anche il caso della multinazionale finlandese Wartsila, che ha deciso lo stop al contratto di solidarietà per lo stabilimento di Trieste, mettendo a rischio 300 posti di lavoro, più altri 600 del Service in tutta Italia. Una lunga lista, che vede, per l’aerospaziale Dema in Campania, la Treofan di Terni, la multinazionale dell’elettronica Jabil sita in provincia di Caserta, la Softlab e la QF, ex Gkn, di Campi Bisenzio, l’Ansaldo Energia di Genova, la Piaggio Aero Industries e Aviation, la Lear di Grugliasco, la Marelli di Crevalcore, l’Industria Italiana Autobus e la veneta Speedline, azienda dell’automotive, solo per citarne alcune.
A destare preoccupazione è anche il comparto dell’auto, che impiega nel paese quasi 300mila addetti. I sindacati denunciano da tempo l’assenza di una politica industriale e l’inconcludenza del tavolo di settore, alla luce del cambio epocale che porterà la transizione ecologica che non sarà di certo indolore.
E poi La Perla di Bologna, marchio storico e tempio dell’intimo, la Natuzzi, che ha stabilimenti nelle province di Bari, Matera e Taranto e dove sono a rischio 2mila posti di lavoro per l’assenza di un piano industriale. Infine Almaviva Contact, uno dei più grandi gruppi italiani di call center e telecomunicazioni: 42mila dipendenti divisi tra 15 società in tutto il mondo, 10mila solo in Italia. Quella che si definisce una vertenza di ritorno. La sua storia aziendale è legata a quello che viene considerato il più grande licenziamento collettivo degli ultimi 25 anni, quando nella notte tra il 21 e il 22 dicembre 2016 inviò 1.666 lettere ai dipendenti della sede di Roma.
Tommaso Nutarelli