Da oltre Oceano, ci giunge notizia di un accordo fatto fra General Motors e Unifor, il sindacato canadese che organizza i lavoratori dell’industria dell’auto, oltre a quelli di altri settori. Accordo grazie al quale, scrive il Globe and Mail nella sua edizione di martedì 20 settembre, la produzione di auto nello stabilimento di Oshawa, Ontario, ha davanti a sé “un futuro che va oltre il 2019”.
L’accordo ci pare interessante sia per i suoi contenuti specifici, sia per qualche confronto che potremo fare con le vicende sindacali italiane.
Partiamo dalla notizia. Quando in Italia era già notte inoltrata, e sulla costa orientale del Canada stava per scoccare la mezzanotte di lunedì 19 settembre, General Motors e Unifor hanno raggiunto un’intesa di massima, che dovrà essere adesso sottoposta all’approvazione dei lavoratori interessati iscritti al sindacato. L’intesa che, a quanto pare, deve essere ancora perfezionata in alcuni dettagli, ha peraltro consentito al sindacato di disdire in extremis uno sciopero già annunciato e che doveva cominciare proprio alla mezzanotte di lunedì.
Ciò che aveva spinto Unifor ad assumere un’iniziativa di lotta era l’incerto destino dell’impianto di Oshawa, sito nei pressi di Toronto. In questo stabilimento, infatti, sono attualmente in produzione diversi modelli che, secondo i piani della General Motors, non dovrebbero avere una vita industriale ancora molto lunga. La Cadillac XTS, la Chevrolet Impala e la Buick Regal dovrebbero uscire dalla produzione nel 2019. Il Suv Chevrolet Equinox, invece, dovrebbe uscire di produzione già a luglio del 2017.
Questi piani produttivi hanno ovviamente allarmato i lavoratori che si sono chiesti che fine avrebbe fatto lo stabilimento di Oshawa, qualora i modelli destinati a uscire dalla produzione non fossero stati rimpiazzati da nuovi modelli. Timori, peraltro, rafforzati da elementi di contesto, ovvero dal fatto che, come scrive Tom Krisher della Associated Press, “l’industria canadese dell’auto ha visto di recente varie produzioni spostarsi verso impianti siti negli Stati Uniti e in Messico”.
Ebbene, in una conferenza stampa svoltasi a Toronto nelle prime ore di martedì, Jerry Dias, il Presidente di Unifor, ha affermato che “i nostri timori” relativi a una possibile chiusura di Oshawa nel 2019 sono “superati” e che, anzi, l’impianto torna ad avere un futuro. Sulla stessa linea la General Motors che, in un suo comunicato, ha dichiarato che l’accordo porterà “investimenti, nuove tecnologie e nuovi prodotti” non solo allo stabilimento di Oshawa (2.500 addetti), ma anche a un altro stabilimento parimenti sito nell’Ontario, quello di St. Catherines (1.500 addetti), dove vengono fabbricati motori.
Non si sa ancora quali modelli saranno messi in produzione a Oshawa. Tuttavia, Dias ha detto che questo diventerà il solo stabilimento della General Motors in cui saranno fabbricati sia camion che autovetture. Inoltre, la costruzione di motori a St. Catherines si amplierà, perché la General Motors riporterà in Canada dal Messico alcune produzioni. Sempre secondo Dias, quindi, GM effettuerà nello Stato dell’Ontario investimenti per centinaia di milioni di dollari e cercherà di convincere il Governo a concedergli, in tale ambito, degli incentivi.
Ma non è tutto qui. La prima conseguenza tangibile dei nuovi programmi produttivi di GM in Canada saranno delle assunzioni, o meglio, delle stabilizzazioni. L’Azienda ha infatti dichiarato che, se l’accordo sarà ratificato dal voto degli iscritti al sindacato, 700 lavoratori con contratto a tempo determinato saranno assunti a tempo pieno. Inoltre, l’accordo assicura degli aumenti retributivi: un pagamento una tantum per tutti, e incrementi salariali per i lavoratori con una maggiore anzianità aziendale.
Nell’accordo, comunque, anche il sindacato ha dovuto rinunciare a qualcosa. I piani pensionistici aziendali per i nuovi assunti non saranno più del tipo chiamato nel gergo previdenziale anglo-americano a “defined benefit”, ovvero a “prestazione definita”. Detto in altri termini, per noi più familiari, non saranno più basati sul criterio retributivo, che lega la prestazione pensionistica alle paghe ricevute nell’ultima parte della carriera lavorativa del dipendente. Ai nuovi assunti saranno offerti piani pensionistici del tipo a “defined contribution”, ovvero, come noi diremmo, basati su uno schema contributivo, meno oneroso per l’impresa.
Ora, nota ancora Tom Krisher, dato che il 75% dei dipendenti dello stabilimento di Oshawa sono idonei per il pensionamento, quello che ci si aspetta è che l’azienda incentivi le loro uscite, risparmiando sugli accantonamenti pensionistici totali grazie al fatto che quelli relativi ai prossimi assunti, come si è visto, peseranno meno sulle casse della General Motors.
Ed ecco qualche considerazione.
Primo, l’occupazione. Ogni tanto qualche accigliato Solone ci spiega che i sindacati italiani fanno male a incaponirsi a difendere i posti di lavoro nelle aziende che minacciano di chiudere, e che nei felici paesi in cui regnano culture più avanzate che hanno brillantemente superato le nostre biasimevoli abitudini mentali mediterranee, i sindacati si preoccupano non dei posti di lavoro esistenti, ma della occupabilità dei lavoratori, a partire dalla loro formazione professionale. Ovviamente, in questa tesi qualcosa di vero c’è, perché, nell’epoca di continue trasformazioni produttive in cui viviamo, la continuità dei processi di formazione professionale dei lavoratori è cosa certo importante, anzi decisiva. Ci pare tuttavia interessante notare che un sindacato di un grande Paese occidentale, industriale e progredito come il Canada, per l’intanto, continui a comportarsi alla vecchia maniera. Ovvero difendendo i posti di lavoro che ci sono. E cercando di assicurare un futuro sia alle fabbriche già esistenti, sia ai lavoratori in esse occupati.
Secondo, la politica industriale. Ogni tanto qualche accigliato Solone ci spiega, dalle colonne dei nostri maggiori quotidiani, che solo il mercato potrà assicurare un futuro al nostro sistema produttivo e che dobbiamo liberare anche il nostro linguaggio quotidiano da un’espressione obsoleta come “politica industriale”. Bene Ora nessuno ha mai sostenuto che la Ceo di General Motors, Mary Barra, sia una pericolosa socialista. Tuttavia, a quel che pare, l’ipotesi di poter ottenere qualche incentivo fiscale volto a sostenere gli investimenti della sua azienda non deve sembrarle poi così bislacca.
Terzo, le pensioni. Dell’Italia, si parla sempre come un paese arretrato. Ora, a parte il fatto che, seguendo lo schema europeo, da noi c’è un sistema pensionistico pubblico che, per quello che si sa, offre una maggiore sicurezza alle prospettive previdenziali dei lavoratori, va anche detto che, in Italia, il passaggio dal criterio retributivo a quello contributivo è stato impostato con la riforma Dini del lontano 1995.
Quarto, i giovani, gli anziani e il lavoro. Dopo la riforma Fornero, che ha elevato in modo significativo l’età in cui un lavoratore può andare in pensione, e che ha fatto ciò nel bel mezzo di una grave crisi economica e occupazionale, si è acceso un dibattito in cui c’è chi sostiene che sarebbe forse utile dotare il nostro paese di una flessibilità nei pensionamenti, in modo da consentire ai lavoratori anziani di ritirarsi e di lasciare così liberi dei posti di lavoro che potrebbero essere utilmente ereditati da giovani disoccupati. Non so perché ma, leggendo le notizie sull’accordo canadese di lunedì notte, tutto questo mi è tornato in mente.
Quinto, la democrazia sindacale. Sulla stampa nordamericana di lingua inglese, statunitense o canadese che sia, si dà per scontato che, quando sindacati e aziende siglano un accordo, l’intesa debba essere poi ratificata dal voto dei lavoratori (iscritti al sindacato). Insomma, sull’altra costa dell’Atalantico nessuno pensa che un referendum fra i lavoratori sia uno “stanco rito sindacale”. Chissà come mai.
Sesto, l’informazione sindacale. Stiamo parlando di un accordo di gruppo, realizzato certo con una grande multinazionale, la General Motors, che di per sé fa notizia, ma pur sempre relativo, nell’immediato, a due stabilimenti e a 4mila lavoratori. Ebbene, il già citato “Globe and Mail”, nella sua edizione on line, ha dedicato al fatto più di un pezzo in poche ore. La “Associated Press” ha collocato il citato articolo di Tom Krisher in una sezione denominata The Big Story; insomma qualcosa di simile al nostro In primo piano, o giù di lì. Sui nostri giornali, invece, si cercano con difficoltà notizie relative alla vertenza per il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici. Un contrattino che riguarda, più o meno, un milione di persone.