Non solo i sindacati o le opposizioni. Il Decreto Lavoro del governo Meloni, entrato in vigore lo scorso 4 giugno, solleva perplessità anche tra i direttori del personale. A dimostrarlo è un sondaggio condotto dall’AIDP, l’Associazione Italiana per la Direzione del Personale, che ha lanciato una survey – curata dal Centro Ricerche guidato dal prof. Umberto Frigelli -, con 400 rispondenti tra i propri professionisti delle risorse umane aderenti, per cogliere l’opinione dei direttori del personale sul Decreto e per intervenire in modo costruttivo con il proprio punto di vista nel percorso di riforma in atto. In breve, il nodo della discordia riguarda i contratti a termine e la richiesta, in tal senso, è più semplificazione. Spiega Matilde Marandola, Presidente Nazionale AIDP: “Il Decreto Lavoro del Governo in carica, seppur spinto da intenzioni condivisibili, ad oggi evidenzia una serie di criticità soprattutto sui contratti a termine che la nostra survey ha ben evidenziato. Chiediamo che nel processo di conversione in atto si tenga conto delle esigenze di semplificazione di applicazione del contratto a termine e delle criticità da noi evidenziate, così come sempre chiesto dalla nostra Associazione, anche ai Governi precedenti”.
Entrando nel dettaglio dell’indagine, il 50% dei rispondenti considera la norma di proroga dei contratti a termine, che prevede tre nuove causali alle quali far riferimento in caso di rinnovo dopo i primi 12 mesi, poco chiare e applicabili. Il 30%, al contrario, esprime un parere positivo e il 20% non esprime un’opinione. Il rimando alla contrattazione collettiva per la “normalizzazione” successiva dei contratti a termine, non è realistica nei modi e nei tempi previsti dal Decreto Lavoro per il 72% dei professionisti delle risorse umane. Inoltre, nel caso in cui la contrattazione nazionale non dovesse intervenire sui contratti a termine e si tornasse di fatto alle vecchie regole, per il 77% ci sarebbe un grande rischio di aumento del contenzioso giudiziario tra aziende e lavoratori. L’aver ampliato, poi, la possibilità di proroga dei contratti a termine con queste modalità, per il 47% dei rispondenti non faciliterà la gestione degli organici in azienda, mentre è convinta del contrario il 44%. Su questo punto i direttori del personale sono divisi quasi equamente. Per il 42% le semplificazioni introdotte per alleggerire la burocrazia non hanno migliorato la situazione attuale. Il 38%, al contrario, esprime un parere positivo e il 20% non ha espresso un’opinione.
“Al contrario – spiega ancora Marandola – gli interventi sull’innalzamento della soglia di esenzione dei fringe benefit, seppur da migliorare, quello sul cuneo fiscale e contributivo oltre al potenziamento del Fondo Nuove Competenze sono condivisibili e, dalla nostra survey, emerge che sono in linea con il parere della maggior parte dei nostri associati. L’obiettivo da perseguire in tema di riforma del lavoro è la semplificazione nell’ambito di un rinnovato e giusto equilibrio tra le esigenze dell’azienda e quelle della persona”.
Infatti, la survey rileva che il 66% dei rispondenti esprime pare favorevole sulla norma che innalza la soglia di esenzione dei fringe benefit a 3.000 euro, mentre il 27% si è espresso in modo contrario. Ma il 54% ritiene la norma in questione ancora complicata dal punto di vista della gestione amministrativa. Inoltre, il 77% non ritiene corretta la norma sui fringe benefit, laddove prevede la soglia dei 3.000 euro valida solo per i lavoratori dipendenti con figli e non per coloro che non hanno figli. Il 58% ritiene che gli incentivi alle assunzioni dei percettori di assegno di inclusione e dei Neet non porteranno a nuove assunzioni tra queste categorie. Il 12%, al contrario, esprime un giudizio positivo.
Quanto al Fondo Nuove Competenze per favorire l’aggiornamento professionale e la transizione digitale e ecologica, il 67% esprime un giudizio positivo sul suo incremento. Parere favorevole per il 78% dei rispondenti al taglio del cuneo fiscale e contributivo per 6 mesi e con un intervento aggiuntivo di 4 punti per i lavoratori con retribuzioni lorde sino a 35.000 euro l’anno. Ma l’83% chiede che tale intervento sul cuneo fiscale dovrebbe diventare strutturale.
e.m.