La Fiom vive un clima di tensione alla vigilia del Comitato centrale in programma lunedì prossimo. Chiediamo a Fausto Durante, leader della minoranza Fiom, di spiegarci qual è la situazione all’interno del sindacato.
Durante cosa succederà lunedì?
Ascolteremo con attenzione la relazione del segretario generale, Maurizio Landini. Il momento è importante e delicato. Credo che siamo di fronte a una svolta della linea della Fiom.
In che senso?
Non può accadere che la Rsu firmi e il gruppo dirigente Fiom no. Non ha senso, è ambiguo. Questo è un punto di analisi che non può essere eluso nella sede del Comitato centrale. Il dibattito sarà acceso e questa discussione provocherà una scossa.
Lei che cosa sosterrà?
Che la Fiom, in quanto tale, doveva firmare. E’ la tesi che sostengo dal risultato del referendum di Pomigliano.
Ma questo vorrebbe dire accettare le condizioni imposte dalla Fiat col nuovo contratto?
Sì, è questo il nodo della questione. La strategia della Fiom deve cambiare. Io sono per una firma tecnica, con riserva, che ribadisca tutte le ragioni del dissenso, ne evidenzi le contraddizioni, ma ci permetta di stare dentro l’accordo e provare a fare il mestiere di sindacalisti. Dobbiamo scegliere se star dentro e provare a cambiare le cose oppure sperare nel giudizio di un tribunale.
Non c’è altra soluzione?
In questo momento il rapporto di forza tra impresa e lavoro è sbilanciato a favore dell’impresa. L’atteggiamento ragionevole è dire di sì a quell’intesa provando successivamente, quando la condizione sarà più favorevole per i lavoratori, a migliorare le cose.
Le Rsu stanno manifestando delle forti insoddisfazioni nei confronti della linea della Fiom.
La scelta dei lavoratori della Bertone è assolutamente condivisibile, risponde sia a una situazione peculiare, di una realtà aziendale chiusa da sei anni, sia a una logica di merito sindacale. Landini parla di una firma per legittima difesa. Io ritengo questa una formulazione sbagliata, meglio dire che è una firma tecnica. Finora la posizione della Fiom è stata ambigua, con comportamenti diversi difficilmente riconducibili a un filo di logica e coerenza.
Perché?
A Pomigliano non davamo indicazioni di voto, perché la Fiom considerava illegittimo quel referendum, però invitava i lavoratori ad andare a votare per evitare ritorsioni. A Mirafiori la Rsu Fiom era state invitata a costituire il comitato del no, a Melfi la Rsu prima ha firmato e poi la firma è stata congelata dal gruppo dirigente, alla Bertone la Fiom non ha firmato e la Rsu sì.
E questo cosa significa?
Che c’è qualche problema di tenuta nella maggioranza della Fiom. Questa vicenda Fiat sta evidenziando difficoltà nella strategia della federazione.
Cosa pensa delle critiche dei delegati di Melfi?
A Melfi la situazione è diversa rispetto a Pomigliano, Mirafiori e Bertone. Il mancato accordo ha sollevato giuste proteste, perché non contiene nessuno dei punti che la Fiom contesta. L’intesa introduce il modello Ergo Uas prevedendone una sperimentazione. La scelta di congelare la firma è incomprensibile e non motivata. Io sono assolutamente favorevole alla firma. Non possiamo continuare a rivolgerci solo ai tribunali.
Perché? Sono sbagliati questi ricorsi?
No, i ricorsi sono motivati perché il contratto del 2009 è stato uno strappo, non teneva conto che quel modello contrattuale non era condiviso dalla Cgil. Le sentenze dei tribunali che accolgono le richieste della Fiom dimostrano che si può affermare un diritto, ma questo non risolve il problema delle regole. Il tribunale non basta. Per questo proponiamo a Federmeccanica di chiudere con le carte bollate e sederci a un tavolo per definire un’intesa volta a far sì che non si ripeta lo scenario dell’accordo separato.
Le regole devono essere stabilite a livello di categoria o a livello confederale?
Il discorso delle regole non può riguardare solo i metalmeccanici. Regole specifiche al di fuori del livello confederale non sono efficaci. Sono un contributo necessario a superare un momento difficile, ma serve un’impalcatura complessiva per risolvere il problema.
E’ necessario un sistema di regole su come si fanno i contratti, sui rinnovi contrattuali nazionali e aziendali, sulla rappresentanza sindacale.
Quanto pesa il comportamento del governo in questa vicenda?
L’Italia è un paese senza politica industriale, che per mesi non ha avuto il ministro dello Sviluppo economico. Non ha un progetto industriale, non ha individuato i settori sui quali puntare e finora la politica del governo è stata solo quella di isolare la Cgil. Strategia che in un primo momento anche gli industriali hanno condiviso, perché credevano di trarne vantaggio. Ora invece è la stessa Confindustria a rendersi conto che il governo non sta facendo nulla, mentre negli altri paesi si investono ingenti risorse per rilanciare l’economia. Non c’è nessuna idea sulla chimica, la cantieristica navale, gli elettrodomestici.
E rispetto alla vertenza Fiat?
Il governo è assolutamente assente. Obama tratta con Marchionne ogni settimana, mentre il presidente del Consiglio l’unica cosa che è riuscito a dire è che Marchionne fa bene ad andar via se ai referendum vince il no. Una dichiarazione antinazionale. Lo stesso ministro Sacconi non ha rispettato il suo dovere istituzionale, che sarebbe quello di mediare tra impresa e lavoratori e cercare di incoraggiare l’azienda a rimanere nel paese, ma ha sposato in toto solo la posizione aziendale.
Francesca Romana Nesci