Il 35% degli occupati, più di un italiano che lavora su 3, svolge un lavoro che non ha alcuna relazione con il proprio percorso di studi. È il dato indicato dal ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, nel corso del convegno organizzato dal Mir “L’Università italiana nell’Europa di domani”.
Per Fedeli “questo è un problema nei settori di tipo specialistico e tecnologico”, ma d’altra parte “può essere addirittura un asset importante nei confronti delle discipline umanistiche che vedono così confermato il loro ruolo trasversale. È evidente l’impatto che una situazione di questo genere ha in termini di produttività del lavoro.”
A ciò è direttamente collegato il tasso di passaggio dal livello di istruzione secondario all’università, che è di circa il 50%. Nel 2016, infatti, sono stati 232.321 su 462.472 i diplomati che si sono iscritti al ciclo di istruzione terziaria. Nel dettaglio, l’Italia fa registrare il tasso di iscritti a studi del terzo ciclo rispetto al totale della popolazione del gruppo di età di riferimento più basso in confronto ai principali paesi: il 44,1% contro il 63,7% della Germania, il 72,4% della Spagna, il 61,2% del Regno Unito, il 63% della media dei paesi dell’Europa a 22 e il 68% della media dei paesi OCSE.
Inoltre, tra gli studenti iscritti all’università non tutti riescono a terminare il percorso avviato. Particolarmente sfavoriti sono gli studenti diplomati agli istituti professionali, per i quali l’abbandono è al 25,1% (pari a 3.844 studenti), seguiti dai tecnici con il 21% (pari a 12.544 studenti) e dai licei con il 6,9% (pari a 12.937 studenti). “Inutile dire che qui molto deve lavorare la nuova politica di orientamento su cui stiamo investendo in maniera significativa”, ha aggiunto Fedeli.
Nella fotografia dell’istruzione italiana non manca un approfondimento della questione di genere per cui, secondo Fedeli, “la parità tra donne e uomini è un diritto fondamentale, un obiettivo centrale dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, e una condizione necessaria per il conseguimento degli obiettivi UE in materia di crescita, occupazione e coesione sociale.”
Il percorso per soddisfare l’obiettivo di equità nell’ambito dell’università e della ricerca, pertanto, prevede un indispensabile intervento “su almeno due livelli: eliminare di stereotipi di genere nell’istruzione, nella formazione e nella cultura, che inducono donne e uomini a seguire percorsi educativi e formativi diversi, spesso portando le donne a posti di lavoro meno valutati e remunerati; promuovere le carriere delle donne nel mondo accademico e della ricerca, forti anche della consapevolezza che la partecipazione femminile in ambiti dove le donne sono attualmente sottorappresentate, come quelli scientifici e tecnologici, può contribuire ad aumentare l’innovazione, la qualità e la competitività della ricerca scientifica e industriale”.
“Se guardiamo alla situazione attuale del Sistema Universitario Italiano, vediamo che le donne rappresentano stabilmente ben oltre il 50% della popolazione di riferimento a tutti i livelli della formazione universitaria: dai corsi universitari ai dottorati di ricerca. “
Nel dettaglio dei numeri, si evidenzia una presenza massiccia delle donne nelle aree delle scienze umanistiche (75%) e delle scienze sociali (61%). La quota rosa diminuisce se si guarda agli ambiti di carattere più scientifico o tecnico, raggiungendo il minimo nell’area di ingegneria e tecnologia (31%).
E.M.