Il settore della siderurgia in Italia dovrebbe chiudere il 2020 con un calo della produzione del 17% circa. Lo ha dichiarato il presidente di Federacciai, Alessandro Banzato, nel corso di un briefing con la stampa in occasione dell’assemble annuale dell’associazione.
“Il recupero è in corso, speriamo di chiudere l’anno con il – 17%”, segnato nei primo otto mesi, “testimonianza di come il settore abbia una vitalità molto forte”. Per il 2021, o almeno per il primo trimestre del prossimo anno, “siamo cautamente ottimisti”, ha detto Banzato, “se si dovesse confermare quello che ci si pone davanti da qui a fine anno”.
“Per il nostro settore già il 2019 si era chiuso con segnali recessivi, con volumi produttivi in calo del 5,2%, ma il 2020 si era aperto con piccoli segnali di ripresa che lasciavano ben sperare, poi è arrivato il Covid e la produzione è scesa del 40% a marzo e del 30% ad aprile – ha spiegato Banzato – A partire da maggio è iniziato un lento recupero che ci ha permesso di riassorbire una parte delle perdite precedenti arrivando a segnare ad agosto un aumento mensile del 9,7%. Il dato progressivo dei primi otto mesi segna un – 17%”.
Complessivamente l’Italia sta andando meglio rispetto alla media europea che nei primi otto mesi dell’anno ha perso il 18,6% della produzione. Fuori dal contesto europeo, la Cina prosegue invece la sua marcia trionfale verso l’obiettivo di superare il miliardo di produzione annua. Con 689 milioni di tonnellate nei primi otto mesi segna un più 3,7% e rappresenta oggi il 58% dell’intera produzione mondiale.
“Crediamo ormai imprescindibile, come più volte dichiarato, la definizione di un piano industriale nazionale per la siderurgia”, ha proseguito il presidente Branzato
E’ necessario “istituire un tavolo nazionale che avvii con il governo e le parti sociali una riflessione sulla siderurgia italiana. Un tavolo dove si possa discutere apertamente e con franchezza, trovare soluzioni che aiutino il settore a rilanciarsi e, se necessario, a consolidarsi”, ha spiegato. “La Germania, Paese con la prima siderurgia in Europa, l’ha già fatto, insieme all’associazione degli imprenditori: perché l’Italia, Paese manifatturiero con la seconda siderurgia europea sta ancora aspettando?”.
“C’è un problema di sovraccapacità produttiva mondiale ed europea, ma in alcuni casi anche nazionale – ha proseguito Banzato – C’è una contrazione strutturale di alcuni mercati di sbocco per alcune tipologie di prodotto. C’è l’esigenza di avere strumenti normativi e fiscali che accompagnino eventuali processi di specializzazione e consolidamento in una logica di rafforzamento del tessuto produttivo nazionale. In un mondo che vedrà la Cina arrivare nel 2020 a produrre più di un miliardo di tonnellate di acciaio o ci si specializza, o ci si consolida, o si diventerà facili prede”.
Parlando della proposta della Commissione di revisione del sistema di salvaguardia sull’acciaio, Banzato ha osservato: “sappiamo che va a scadere a luglio 2021, quello cui noi puntiamo, anche come Eurofer, è che si vada verso una riconferma della salvaguardia tout court come era stata congeniata in origine, precedentemente”.
Lo stabilimento dell’ex Ilva di Taranto è un asset necessario e strategico per tutta la filiera: bene quindi l’intervento dello Stato in qualità di traghettatore ma non di imprenditore, ha continuato il numero uno di Federacciai. “La manifattura italiana ha ancora bisogno di Taranto, una qualsiasi soluzione va trovata. Ci sono negoziazioni in corso nelle quali non entro – ha precisato, parlando nel corso di un briefing – vediamo come si sviluppano, per il momento attendiamo di sapere cosa succederà da novembre”.
“C’è da parte nostra la consapevolezza che ci sono momenti in cui se si considerano strategici certi asset e se l’effetto combinato di perdite e investimenti per il rilancio sono insostenibili per un investitore privato, il ritorno dello Stato è possibile e necessario – ha sottolineato il numero uno di Federacciai – La presenza dello Stato deve servire per proteggere il turnaround, ma poi deve essere valorizzata prevedendone una uscita. Siamo quindi dell’idea che lo Stato possa fare il traghettatore, ma non l’imprenditore”.
“Detto questo va però chiarito che è necessario salvaguardare ciò che è veramente strategico e non le attività che sono ormai fuori mercato – ha sottolineato – Nel caso dei prodotti piani, ad esempio, dal 2012 al 2019 la produzione di coils a Taranto si è dimezzata da 9,3 milioni di tonnellate a 4,5 milioni. Con un consumo aumentato di 2,2 milioni di tonnellate nello stesso periodo le importazioni sono passate da 5,6 milioni di tonnellate a 9,6 milioni. Questa è la dimostrazione, numeri alla mano, che per tutta la filiera Taranto è un asset necessario e strategico”.
“Non è ancora chiaro quale sarà il piano industriale per Taranto e quali saranno le strade che verranno prese per la sua progressiva decarbonizzazione – ha concluso Banzato – Ribadisco però la disponibilità delle acciaierie italiane a sedersi intorno a un tavolo e a discutere le condizioni di fattibilità tecnica ed economica di un impianto di produzione di preridotto ed HBI a Taranto, la cui capacità in eccesso potrebbe essere utilizzata nelle acciaierie del nord per migliorare la qualità della carica e avere una alternativa all’utilizzo del rottame che in Italia scarseggia”.
TN