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Home - Approfondimenti - La nota - Il “racconto del lavoro”, secondo Guido Baglioni

Il “racconto del lavoro”, secondo Guido Baglioni

28 Gennaio 2015
in La nota
Il “racconto del lavoro”, secondo Guido Baglioni

Ho avuto il privilegio di intervistare Guido Baglioni, in due occasioni e periodi differenti del suo lungo percorso di ricerca e di riflessione teorica sui problemi del lavoro, prima e dopo la sua nomina come professore emerito dell’Università di Milano Bicocca. Si è trattato di un privilegio, peraltro a disposizione di tutti, poiché quelle interviste non offrono solo la memoria di un importante protagonista della storia del sindacato e del lavoro negli ultimi cinquant’anni, ma soprattutto presentano questa storia non più come storia “minore” bensì come contributo fondamentale del progresso democratico del nostro paese.

Certo, la visione di Baglioni è di parte, come lui stesso ha sempre ammesso nei suoi libri, anche e soprattutto in quest’ultimo. E’ il punto di vista di chi ha iniziato a occuparsi dei temi del lavoro nella Cisl bresciana degli anni cinquanta e come tale ha difeso la scelta di campo delle elezioni del 18 aprile 1948, cui seguì la rottura dell’unità sindacale nella Cgil e la nascita della Cisl, quando “era in gioco il permanere o meno dell’Italia nell’area delle democrazie occidentali…” e “la sfida si è giocata sul piano dei valori e dell’ordinamento della società” (pag. 12). E’ la visione di chi rivendica il ruolo essenziale della Cisl nei processi di deruralizzazione, modernizzazione e democratizzazione del nostro paese. Una visione basata sul ruolo “autonomo” del sindacato “contrattuale” che ha accompagnato Baglioni in questi cinquant’anni, in costruttiva polemica con chi tendeva invece a misurarsi prevalentemente nell’arena “politica” (si veda in particolare: L’accerchiamento. Perché si riduce la tutela sindacale tradizionale, Il Mulino, Bologna 2008). Si tratta di una questione tuttora aperta, che nel tempo si è trasformata nella divisione del sindacalismo italiano su basi diverse rispetto al passato, ma pur sempre causa della minore capacità di tutela del lavoro rispetto ad altre esperienze di riformismo, soprattutto nella crisi. Baglioni ha avuto certamente il merito di porre tale dilemma del sindacalismo italiano, anche se la domanda di ricerca resta tuttora senza ipotesi o spiegazioni particolarmente convincenti.

Nel presentare il nuovo libro “Un racconto del lavoro salariato”, Baglioni sostiene che si tratta di un libro diverso dai precedenti, più focalizzati sulla tutela del lavoro e sui relativi modi garantiti dall’esperienza sindacale. Come si può leggere fin dalle prime righe, “questo libro si occupa del lavoro salariato, del posto e del rapporto di lavoro, delle condizioni economiche e sociali dei lavoratori, del rilievo del lavoro nella società e per gli stessi lavoratori, dei modi di tutelare e valorizzare il loro apporto, dei cambiamenti intervenuti dall’inizio dell’industrialismo” (pag. 7). Come pure “non riguarda esplicitamente il mercato del lavoro e i criteri di impiego del lavoro nell’impresa”, pur ammettendo che “sono numerosi i richiami ad essi, specie quando si parla delle figure lavorative” (Ibidem).

Scorrendo i vari capitoli del libro, queste intenzioni appaiono in buona parte realizzate. Si inizia con l’analisi del contesto ideologico in cui si svolge la “questione” del lavoro in Europa, da quello largamente compreso nella “soluzione socialdemocratica” a quello della dottrina sociale della Chiesa e del mondo cattolico. Secondo l’autore, in entrambi i contesti si sviluppano idee che puntano sul miglioramento graduale delle condizioni materiali e socio-politiche del lavoro salariato. Il dato complessivo che viene colto è infatti il “netto miglioramento, dopo il 1945, delle condizioni lavorative, sociali e simboliche di gran parte del mondo del lavoro” (8). Il capitolo sul ruolo delle “scienze sociali” è particolarmente importante. Il tema del lavoro salariato è stato e resta un tema fondamentale di tali scienze, pur differenziando il contributo della sociologia del lavoro da quello dell’economia, più orientata quasi esclusivamente all’aspetto salariale della regolazione del rapporto di lavoro e quasi per nulla all’aspetto normativo, e da quello degli stessi giuristi del lavoro. Merita soffermarsi pur brevemente sul diverso modo di operare della sociologia del lavoro, almeno come inteso da Baglioni. Si tratta infatti di una disciplina empirica “che ricerca le manifestazioni, le tendenze, i problemi e la regolazione del rapporto di lavoro dipendente”. E’ anche una scienza “cumulativa”, nel senso che aggiunge nuove acquisizioni, grazie all’intreccio tra concetti, dati empirici e teoria. Considera poi i “fatti”, le aggregazioni sociali, il funzionamento delle istituzioni nei loro vari aspetti di “regolarità”, ma anche nelle loro “variazioni” e diversità e secondo un approccio comparato.

Ho richiamato questi obiettivi della sociologia del lavoro (analisi del contesto di riferimento, osservazione e spiegazione delle diversità e dei mutamenti) indicati dall’autore, poiché a me sembra che l’analisi sociologica della “diversità” del lavoro salariato costituisca la parte centrale e particolarmente innovativa del libro, insieme a quella correlata del lavoro che tende a “contare meno” nella vita quotidiana, un paradosso solo in apparenza.

Baglioni riconosce che la “diversità” esisteva anche tra lo stesso lavoro operaio salariato negli anni cinquanta. Ma oggi, pur essendo minori le distinzioni di ceto tra operai e impiegati (abbigliamento, alimentazione, arredamento, progetti per i figli), è soprattutto tra questi ultimi che la diversità tende all’infinito, innanzitutto per la loro grande diffusione in tutte le imprese e nei settori dei servizi. Al punto che ne risulta difficile una pur sommaria rappresentazione. C’è il mondo delle attività private del commercio, del credito e delle assicurazioni, dei professionisti, dei tecnici e degli specialisti, degli addetti alla cura e all’immagine del corpo, che sono frutto della divisione del lavoro sociale e  del maggior benessere. Vi è poi il mondo altrettanto variegato del lavoro privato domestico, svolto essenzialmente dalle donne, per la cura della casa e della famiglia, dei bambini e degli anziani, derivante dalla maggior partecipazione delle donne al mercato del lavoro e all’invecchiamento della popolazione. Vi è infine tutta l’area del lavoro pubblico, relativa da un lato ai servizi della sanità e della scuola e dall’altro lato ai rimanenti servizi di funzionamento della società e delle istituzioni (attività dei ministeri e delle strutture pubbliche decentrate, regioni, sistema giudiziario, ecc.).

Per quanto riguarda infine il valore del lavoro, viene giustamente osservato che negli anni cinquanta il lavoro è stato il germe del benessere nel nostro paese, restando centrale nella vita quotidiana dei lavoratori. Oggi, però, secondo Baglioni il lavoro resta centrale come prima per quanto riguarda il salario, gli aspetti normativi e lo stato sociale, ma ormai non è più “quasi tutto” come negli anni cinquanta e sessanta, quando oltre ai rapporti familiari e amicali  erano poche le altre cose al di là del lavoro di cui operai e contadini potevano interessarsi. Inoltre, la “sorpresa della crisi” sposta le preoccupazioni dal tema del rapporto di lavoro all’occupazione che non c’è.

Questo è davvero il “racconto” del lavoro salariato che, pur non trascurando gli aspetti comuni o simili, delinea un percorso di “diversità nel tempo e nello spazio”, grazie alla guida di una testimonianza di “esperienza diretta e coeva” dell’autore, che fa ricorso spesso ad uno stile colloquiale rivolto anche ai non specialisti.

Per queste ragioni, il libro è certamente diverso dai precedenti scritti da Baglioni, ma per fortuna non lo è del tutto se si osserva che il racconto del lavoro salariato pur comprende capitoli sull’esperienza sindacale (il quarto) e sulle relazioni industriali (il quinto) che richiamano in maniera essenziale idee e analisi che hanno caratterizzato da sempre il pensiero dell’autore e che insieme a quelle proposte in questo volume offrono una lettura originale e stimolante del secondo dopoguerra italiano. 

Serafino Negrelli (professore in Sociologia economica del dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Milano Bicocca)

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