La Confindustria a Bergamo conferma a stragrande maggioranza la validità dell’accordo del 2009 sulla struttura contrattuale. E il suo vicepresidente destinato a presiedere proprio l’area del lavoro, Alberto Bombassei, afferma che le relazioni industriali non sono più centrali, alle imprese conta e preme ben altro. Parallelamente la Cgil vara a grande maggioranza una proposta di riforma della contrattazione che nei suoi piani dovrebbe andare a sostituire quella del 2009. Che rapporto esiste tra queste diversi fatti? C’è spazio ancora per un avvicinamento tra il più grande sindacato e la rappresentanza dell’industria? Lo spirito del convegno di Genova del settembre scorso è ancora vivo?
Apparentemente bisogna rispondere di no. Perché agli industriali sembra non interessare la ricerca del consenso dei sindacati. A parte il fatto che si può cercare (e ottenere) il consenso dei lavoratori, come ha insegnato a tutti Marchionne, quello che interessa maggiormente agli imprenditori è innovare i prodotti, aggredire i mercati esteri, cercare semmai nuove aggregazioni tra imprese dopo che i distretti e le filiere hanno mostrato la corda. La Cgil è in ritardo? Resti indietro, alle imprese interessa assai poco recuperarla, come hanno fatto sempre in questi ultimi decenni.
Però una risposta così rischia di essere un po’ rozza, sbrigativa su fenomeni che tutto sommato hanno ancora un peso. E un buon imprenditore non può permettersi di snobbare uno dei suoi stakeholder, quale che esso sia, perché dall’esito del rapporto con questo può dipendere alla fine il successo o meno della sua impresa, anche nel caso in cui si tratti del sindacato. Del resto, nell’insegnamento di Marchionne c’è anche questo, perché è vero che ha saltato in qualche maniera il sindacato, ma il consenso gli interessa, l’ha cercato, ha voluto anche contarlo.
E la Cgil non può essere snobbata dalle imprese, il suo consenso può non essere indispensabile, ma può essere importante, come del resto proprio gli industriali hanno affermato a chiare lettere a Genova. Si tratta, allora, di capire quanto costa questo consenso, perché spendere in termini di energia e di tempo in questa impresa più di tanto può non valere la pena. Insomma, Confindustria è chiamata a valutare se valga ancora la pena rincorrere il consenso del sindacato e in particolare quello della Cgil.
Per farlo, la cosa più facile e forse anche più opportuna in questo momento è quella di guardare più da vicino il mondo della Cgil e soprattutto la sua proposta che è stata formalizzata in questi giorni. Questa va certamente incontro alle indicazioni che vengono dalla Confindustria. Non dà via libera alle deroghe, che sono il piatto forte per gli industriali, ma consente “adattamenti normativi per rispondere meglio alle esigenze specifiche delle imprese al livello di contrattazione aziendale”: non sembra ci siano molte differenze se non semantiche. In più, la Cgil si dice favorevole all’estensione erga omnes della validità dei contratti e apre all’esigibilità dei contratti, che resta la radice degli accordi Fiat. Ancora, chiede meno contratti, ma questo è scontato o banale, ma, e qui invece il terreno diventa più importante, è a favore di contratti nazionali meno prescrittivi per favorire l’estensione dei contratti di secondo livello.
Tanto, poco? Deve deciderlo la Confindustria, ma sicuramente c’è materia per un ragionamento non sbrigativo, dato che le tesi avanzate dalla Cgil non sembrano poi molto dissimili da quelle portate avanti dagli industriali.
In più c’è da tener conto del clima interno alla Cgil, che è poi uno dei punti nodali dell’intera questione, perché i ritardi e le incertezze della Cgil sono per lo più dovute a ritardi e incertezze della minoranza di sinistra, che esprime radicalità e frena i riformisti. Bene, anche qui c’è da prendere atto di due cose. La prima è che quella minoranza mostra la corda, se perfino il gruppo dirigente della Fiom ha dovuto registrare al suo interno una frattura che ha isolato il gruppetto legato a Giorgio Cremaschi, sempre contrario a tutto e a tutti. La seconda è che il direttivo della Cgil non ha esitato a mettere ai voti il documento sulla proposta della contrattazione, che pure era inviso alla minoranza: insomma, l’unanimità a tutti i costi non è più necessariamente di casa in Cgil e questo dovrebbe consentirle di andare più in fretta.
Insomma sembra che esistano elementi atti a favorire una ripresa del dialogo tra imprese e tutto il sindacato in vista di un sistema che trovi consensi generalizzati mettendo fine alle divisioni. Anche questo può essere un aiuto non indifferente a ritrovare la via della crescita. Proprio in questi giorni un convegno di Confindustria Energia ha indicato il percorso, non facile, ma percorribile, per far crescere la produttività delle imprese con strumenti di relazioni industriali. Insomma, la via è segnata, bisogna avere la forza e il coraggio di percorrerla senza incertezze.
Massimo Mascini