Venerdì scorso il ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti durante il suo intervento “Dalla Scala Mobile al Jobs Act” organizzato dall’Aiel all’università Luiss di Roma, ha inserito nel dibattito lo sganciamento della retribuzione dall’orario di lavoro.
“Oggi le tecnologie ci consegnano un po’ più di libertà – ha dichiarato – Probablmente possiamo guadagnare qualche metro di libertà nella costruzione di una logica anche di esistenza individuale più coerente con i nostri cicli biologici. Dobbiamo essere capaci di immaginarci ad esempio, il cambiamento del contratto di lavoro che non abbia più come essenziale parametro di riferimento l’orario di lavoro, perché se quello rimane l’unico riferimento che siano otto, che siano sette, che siano sei sarrono sempre ore di lavoro.”
Secondo il Ministro, nel mondo del lavoro odiero, quello che conta non sono solo le ore effettivamente lavorate ma il risultato che si ottiene: “come si misura il dato finale del lavoro? Io credo che questa sia una bella domanda per i giuslavoristi, per i sociolgi e per gli economisti del lavoro: come facciamo a fare questo passaggio? Perché se noi ci teniamo un attrezzo vecchio che è la misurazione per orario di lavoro, in un mondo che invece cambia molto da questo punto di vista, noi avremo un freno che ancora una volta, frena la nostra capacità di fare i conti con l’innovazione.”
Ma il tema è più ampio di quello esclusivamente legislativo infatti, Poletti continua dicendo “che questo è un primo tema su cui noi dobbiamo ancora lavorare non è solo un tema di legge, è un tema di cultura. Ripensare ed immaginare, una dinamica sociale ed economica capace di incorporare questo tipo di fenemonologia”
Le dichiarazioni trovano anche l’approvazione del Partito Democratico “Il Pd condivide – dichiara il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei in un’intervista a QN – ed intende presentare all’inizio dell’anno due disegni di legge, quello sul lavoro autonomo (Jobs Act degli autonomi) e quello sul cosiddetto lavoro agile (smart working)”.
“Slegare il lavoro da orari e luoghi non vuol dire farlo indistintamente – continua Taddei – le forme di tutela del lavoro hanno bisogno di un aggiornamento perché è cambiato il modo in cui il lavoro si svolge. Ci sono contesti in cui una mansione si espleta entro un orario e in un luogo di lavoro e finisce in questo ambito. Ma ci sono professionalità per cui il lavoro, ahimè o per fortuna, va anche al di fuori di questi canoni. Prendiamo un tecnico che deve essere reperibile a chiamata, per esempio. Il concetto di orario di lavoro classico può bastare? La novità normativa deve ricordare queste specificità. Una parte dello stipendio può essere riproporzionato sulla base della produttività, come già succede in molti casi.”
Pronte anche le reazioni dei sindacati. Molto critica il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso che dichiara “L’idea che emerge è quella di un ministro che non conosce com’è fatto il lavoro e vuole apparire come Ufo robot, per risolvere tutti i problemi. Ma le condizioni non vanno che peggiorando. Per qualche ora – continua la Camusso – ci siamo augurati che fosse uno scherzo e che quindi sarebbe arrivata una smentita, ma non è stato così. A questo punto restano solo due ipotesi – conclude – o il ministro non sa cosa vuol dire il lavoro oppure ha deciso che i lavoratori non debbano avere più né una giusta retribuzione né diritti contrattuali.”
Più accondiscendente sembrano invece le reazioni del segretario generale della Fim-Cisl, Marco Bentivogli in un’intervista a La Stampa in cui dichiara di non essere totalmente in disaccordo con il ministro Poletti.
“Solo chi gira a largo delle fabbriche non sa che per molti lavoratori italiani la dimensione spazio temporale di quella che si chiamava ‘prestazione lavorativa’ è già radicalmente cambiata – sostiene Bentivogli – c’è stata un’alzata di scudi che per me non ha senso, perché cosi si perpetua solo una sensazione di stato d’assedio al limite del ridicolo. Quanto al contratto nazionale – dice – è chiaro che rischia di difendere solo pezzi residuali del lavoro, mentre tutto il lavoro è cambiato, sarebbe un errore non modificarlo. In questa situazione le 8 ore rischiano di essere più un problema per il lavoratore, anziché una tutela”