Mario Ricciardi – Docente di relazioni industriali all’Università di Bologna
(vedi il testo in Documentazione)
1. L’ipotesi di accordo del CCNL della dirigenza scolastica (o area 5^ della dirigenza pubblica, come la si definisce in buro-sindacalese) è stata siglata all’Aran il 10 gennaio 2002. Si è trattato dell’ultimo contratto di area dirigenziale stipulato nello scorso quadriennio, ma allo stesso tempo del primo contratto della dirigenza scolastica, istituita, durante la tredicesima legislatura, come corollario dell’attribuzione alle istituzioni scolastiche dell’autonomia. E’ infatti nella legge che definisce confini e caratteristiche dell’autonomia scolastica, che viene attribuita ai capi d’istituto la qualifica dirigenziale. Si trattava di un atto in qualche modo dovuto, considerando che i capi d’istituto si trovano, nel nuovo assetto, a governare istituti che hanno da 600 a 900 alunni, spesso composti da più ordini di scuole, e dovendo fronteggiare i nuovi compiti di programmazione e gestione didattica e amministrativa imposti dalla legge, ma soprattutto dai tempi nuovi.
2. Le trattative per il CCNL dei dirigenti scolastici si sono aperte formalmente ancor prima che la dirigenza entrasse effettivamente in funzione, il primo settembre 2000. Tuttavia, il negoziato è entrato davvero nel vivo nei primi mesi del 2001. Volendosi soffermare sul merito delle questioni, normative ed economiche, al centro della trattativa, occorre dire che essa si è venuta dipanando, per dir così, tra diversi ‘poli’ d’attrazione. Da un lato, infatti, non v’è dubbio che il conseguimento della dignità dirigenziale da parte dei dirigenti scolastici ne collocasse la disciplina, per dir così, nello spazio d’attrazione dei contratti dirigenziali (e in particolare di quello dei dirigenti della cosidetta ‘area uno’, in pratica i dirigenti statali), un’area il cui contratto è stato chiuso, dopo una lunga trattativa, proprio nei primi mesi del 2001. Come è ben noto, il contratto della dirigenza ministeriale è stato così travagliato perché ha dovuto assorbire, per dir così, le profonde trasformazioni introdotte nella disciplina della dirigenza a partire dal d.lgs. 80/1998. La riforma ha creato, per i dirigenti ministeriali, un unico ruolo articolato in due fasce, ma soprattutto ha introdotto meccanismi che tendono a collegare più strettamente la funzione dirigenziale al perseguimento di obiettivi e al raggiungimento di risultati. Così, lo status di dirigente viene distinto dall’incarico dirigenziale, che è a termine, e con l’attribuzione del quale al dirigente vengono indicati gli obiettivi da perseguire e i risultati da raggiungere. La retribuzione del dirigente è commisurata alla rilevanza dell’incarico assegnato, e al raggiungimento, soggetto a valutazione, degli obiettivi proposti.
Era evidente, che la disciplina contrattuale delle dirigenza scolastica avrebbe dovuto fare i conti con una tendenza all’assimilazione con quella della dirigenza ministeriale, ma anche che, nel definirla, si sarebbero dovute tener presenti le specificità di una dirigenza che opera in un contesto per alcuni aspetti analogo, ma per molti aspetti anche assai diverso, da quello ministeriale.
Che una specificità dovesse esservi, del resto, lo prevedevano già sia il d.lgs. 29-93, che il d.lgs. 59 del 1998, quello istitutivo, appunto, della dirigenza scolastica. Dal combinato disposto di tali norme, così come è ormai possibile leggerlo nell’art. 25 del nuovo ‘testo unico sul pubblico impiego, è possibile verificare, da un lato, l’acquisizione di una piena dignità dirigenziale del dirigente scolastico al quale (comma 2)’ spettano poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane’. Dalla legge stessa risaltano però alcune specificità che, anziché diminuire, arricchiscono la figura stessa del dirigente. Il dirigente deve infatti intrattenere stretti rapporti con gli organi collegiali, ai quali riferisce sui risultati dell’attività formativa, ed è non solo un decisore, ma anche un promotore e un sollecitatore, per dir così, delle risorse umane e strumentali a sua disposizione.
Nel confezionare il contratto nazionale, le parti hanno dovuto, infine, tener conto di numerosi fattori che si rifanno piuttosto a ragioni di opportunità, ma che erano non meno rilevanti per l’azione dei negoziatori. La più importante tra esse era il fatto che il CCNL della dirigenza scolastica si collocava temporalmente a metà inoltrata del secondo biennio contrattuale 1998-2001. Esso veniva ad assumere, cioè, oggettivamente il ruolo di un contratto ponte tra la disciplina del contratto del comparto scuola, che fino al 31 agosto 2000, e dunque per ben oltre la metà del quadriennio contrattuale, aveva disciplinato la materia, e il CCNL del nuovo quadriennio (2002-2005) che avrebbe per forza di cose rappresentato il primo vero contratto della dirigenza scolastica, per dir così, ‘a pieno regime’. Ma oltre che per una ragione d’ordine giuridico-contrattuale, il primo CCNL della dirigenza scolastica si poneva come contratto ponte per ragioni sostanziali. Innanzitutto, perché una dirigenza neo istituita non può non passare una sia pur breve fase per dir così ‘di rodaggio’, al termine della quale sarà possibile disegnare uno stato giuridico compiuto e stabile. In secondo luogo, perché il contesto in cui opera la dirigenza scolastica è in forte movimento. Da un lato, l’autonomia scolastica è ancora agli inizi, e i compiti del dirigente scolastico, sul versante didattico, organizzativo, di gestione del personale, si vengono definendo, non nell’astratto delle norme, ma nel concreto della vita queotidiana, proprio in questi mesi. D’altro canto, l’assetto stesso dell’amministrazione sta meglio definendosi con la sua regionalizzazione, che sta però anch’essa attraversando una fase di difficile rodaggio. Vi sono insomma più ragioni per considerare l’opportunità di una disciplina-ponte, che tenga conto, tra l’altro, della necessità di transitare certo definitivamente, ma in modo non troppo traumatico, tra una disciplina contrattuale che già nel contratto di comparto aveva anticipato alcuni tratti dirigenziali, e le caratteristiche della dirigenza.
Tutto ciò ha determinato, insomma, la costruzione di un contratto che è pienamente dirigenziale nel suo impianto, che preserva doverosamente aspetti di specificità rispetto alle altre dirigenze, e in particolare a quella ministeriale, e che ha altresì alcuni aspetti di sperimentalità, che potranno essere verificati e, se del caso, meglio definiti dal prossimo contratto che sarà stipulato nel quadriennio ormai in corso.
3 .Quali sono gli aspetti più rilevanti del CCNL? Va detto preliminarmente che si tratta di un contratto abbastanza complesso, perché si trattava di costruire partendo da zero l’intiera intelaiatura normativa. Ciò è stato fatto costruendo una struttura che ha una parte per dir così di dimensione sindacal-collettiva (le relazioni sindacali, fino all’art. 12) una parte individuale, composta di norme abbastanza standard per quanto riguarda la dirigenza (art. 13-22), e poi una parte che riguarda sempre il rapporto individuale di lavoro, ma nella quale si concentrano le disposizioni in cui si concentra il massimo di specificità della dirigenza scolastica rispetto alle altre dirigenze: il riferimento è alle norme che riguardano l’assegnazione e la revoca dell’incarico, la valutazione dei risultati, la cessazione e la risoluzione del rapporto. Infine, le disposizioni della parte economica.
Per quanto riguarda le relazioni sindacali, l’atto d’indirizzo inviato dal governo all’Aran era molto preciso, e delimitava con chiarezza il campo d’azione. Massima trasparenza rispetto alle tematiche che riguardano l’assegnazione degli incarichi, i criteri della valutazione, gli aspetti retributivi, ma anche massimo rigore nel mantenere separate le competenze che la legge riserva, per i dirigenti, all’azione unilaterale dell’amministrazione, a partire dall’affidamento degli incarichi. Così, tali materie sono escluse dalla contrattazione, che insiste invece, com’è opportuno che sia, sugli aspetti retributivi che stanno per dir così ‘a valle’ delle decisioni dell’amministrazione, come i criteri per l’assegnazione della retribuzione di posizione e di risultato, la determinazione dei compensi per gli incarichi aggiuntivi, o questioni pure normative ma che sono di vitale importanza per il mantenimento e l’aggiornamento professionale, come la formazione. Su alcune questioni, peraltro, si è creata, come nella generalità dei contratti del lavoro pubblico, una sorta di amplificazione delle informazioni, cui è stato dato il nome di ‘concertazione’; si tratta, in pratica, di alcune materie nelle quali, una volta ricevuta l’informazione, le parti danno vita a un confronto temporalmente delimitato, che porta alla stesura di un verbale nel quale le parti registrano le rispettive posizioni. Essa si svolge, per questo contratto, su alcune materie anche cruciali, come la definizione dei criteri generali per l’articolazione delle posizioni dirigenziali, o della valutazione stessa dei dirigenti.
Trascurando la parte più standard del contratto, è il caso di soffermarsi invece sugli articoli (dal 23 al 34) sui quali maggiore è la specificità normativa della dirigenza scolastica rispetto alla generalità dei dirigenti
Per quanto riguarda l’art.23 (affidamento dell’incarico dirigenziale) il problema era quello di affermare anche per la dirigenza scolastica quella che è stata, come si è detto, forse la maggiore novità introdotta dalle recenti riforme nello stato giuridico dirigenziale; la separazione cioè tra status di dirigente e incarico, e quindi la temporaneità dell’incarico, e la rotazione su più incarichi. Si tratta com’è noto di un’esigenza che è stata anche discussa, ma che si propone di stimolare nuove esperienze, la circolazione delle esperienze stesse, e dunque l’innovazione nella pubblica amministrazione Naturalmente vi era la necessità di stabilire delle garanzie, per far sì che questa nuova dinamicità sia in qualche modo controllata. A ciò servono alcune garanzie contenute nell’art. 23: intanto che vi sia trasparenza per quando riguarda affidamento, murtamento e revoca degli incarichi (comma 8). Che siano chiari fin dall’inizio, nell’assegnazione dell’incarico i vari aspetti organizzativi ed economici dell’incarico stesso. Poi, che qualora la valutazione del dirigente sia positiva, allo stesso venga riconfermato l’incarico, o comunque gliene venga garantito uno equivalente. Che, nel caso di modifica o soppressione dell’ufficio dirigenziale, si tenga conto, nell’assegnazione di un nuovo incarico, delle preferenze dell’interessato.Infine, che l’incarico sia comunque prolungato al dirigente che vada in pensione entro i successivi due anni dal termine del precedente incarico.
Sempre collegato al tema dell’assegnazione degli incarichi è il successivo articolo 24 sul mutamento di incarichi. Qui si è prodotta un’eccezione piuttosto consistente sia rispetto al parallelo contratto della dirigenza ministeriale, sia rispetto all’ispirazione generale della nuova normativa dirigenziale. L’ispirazione generale è infatti quella che l’incarico dirigenziale, proprio perché collegato al perseguimento di specifici obiettivi, vincoli, per il tempo predefinito, e salvo casi clamorosi di inadempimento da parte del dirigente, per tutta la durata dell’incarico stesso. L’art. 24 prevede invece che nell’ambito del 15 per cento dei posti, a richiesta del dirigente possa essere disposto un mutamento d’incarico anche in pendenza di contratto individuale. Si tratta di un’eccezione operata in parte per la già ricordata natura di ‘ponte’ di questo contratto a partire una normativa precedente che lasciava ampi spazi alla mobilità da posto a posto, in parte per la considerazione che una piena equiparazione normativa si raggiungerà quando anche l’equiparazione economica sarà completata. Si tratta comunque di una norma che è opportuno, considerare appunto transitoria, e destinata a revisione con il consolidamento normativo che avverrà con il prossimo contratto.
Un’altra importante norma riguarda gli incarichi aggiuntivi. Anche in questo caso, ad un’impostazione per dir così ‘standard’ che prevede l’onnicomprensività della retribuzione dirigenziale, si è dovuto aggiungere qualche specifico problema. Qui si è tenuto conto del fatto che vi sono incarichi, come la maggior parte di quelli elencati nel primo comma, per i quali già esistono norme di legge che stabiliscono la retribuzione. Per quanto riguarda gli incarichi che non rientrano in tali tipologie, la retribuzione confluisce, come per tutti gli altri dirigenti, nel fondo regionale per la retribuzione accessoria. Qui si è deciso di stabilire la quota che spetta comunque al dirigente per remunerarne l’impegno, in una percentuale che può raggiungere il 30 per cento della somma che confluisce nel fondo, ed è la stessa di quella che spetta alle altre categorie dirigenziali. Un trattamento a parte è stato deciso per gli incarichi che usufruiscano di finanziamenti esterni deliberati dagli organi scolastici competetenti. L’obiettivo è infatti quello di incentivare l’iniziativa del dirigente sacolastico per procurare alla scuola programmi che portino tali finanziamenti, e dunque la percentuale è stata innalzata fino all’80 per cento.
Veniamo poi all’art. 27, che disciplina la materia della valutazione, e che è stato, naturalmente quello più controverso durante la trattativa Il mondo della scuola, se è abituato alla quotidianae informale valutazione che viene dagli allievi, dalle famiglie, dagli utenti,è disabituato all’adozione di criteri di valutazione che abbiano pretese di oggettività, e che incidano perfino sulla retribuzione. Bisogna d’altro canto ricordare che esperienze recenti di valutazione nella scuola hanno determinato reazioni molto negative nel personale: il riferimento è non solo al ‘concorsone’ degli insegnanti, ma anche ad alcune recenti esperienze di valutazione dei capi d’istituto. Tutto ciò ha determinato una norma contrattuale particolarmente tormentata e involuta perfino nella forma.
I principi che valgono per l’insieme della dirigenza (trasparenza e pubblicità dei meccanismi, partecipazione del valutato, diretta conoscenza dell’attività del valutato da parte del valutatore) ispirano anche l’accordo della dirigenza scolastica, con qualche peculiarità di tipo organizzativo, inerente cioè non tanto ai principi o ai criteri che devono ispirare la valutazione, ma alle modalità concrete della stessa. In effetti, la regionalizzazione dell’amministrazione scolastica ha per certi aspetti allontanato l’autorità territoriale superiore rispetto al dirigente scolastico. Si tratta insomma di creare un sistema in cui vi sia un’effettiva possibilità per il dirigente regionale di effettuare una valutazione non formale e non soltanto cartacea. Il meccanismo che l’art. 27 del CCNL ha elaborato, ha appunto questo scopo. C’è la valutazione effettuata dal dirigente designato dal dirigente regionale; tale valutazione deve essere effettuata in base a meccanismi analoghi a quelli già ricordati per la generalità della dirigenza. La peculiarità scatta quando il valutatore ritiene che la valutazione possa dar luogo ad esiti negativi. In tal caso egli deve avvalersi dell’apporto di due esperti, almeno uno dei quali proveniente dal settore pubblico, i quali procederanno ai necessari accertamenti ed approfondimenti delle verifiche già effettuate. Tale ulteriore accertamento deve avvenire attraverso modalità che portino i valutatori a contatto con l’istituzione scolastica diretta dal valutato. La valutazione finale spetta comunque al dirigente regionale, il quale, nel caso di valutazione difforme da quella di prima istanza deve motivarla congruamente.
Si tratta, come si vede, di un meccanismo in cui il diritto-dovere di valutazione dell’operato del dirigente è temperato da molti contrappesi, ed è notevolmente garantista. Se da un lato è opportuno che la valutazione sia legata a criteri per quanto possibile obiettivi, e il dirigente sia in certa misura tutelato contro il rischio di troppa discrezionalità, o addirittura di arbitrio, da parte dell’amministrazione, è tuttavia inopportuno che un eccessivo numero di filtri renda difficile una valutazione equa e rigorosa Ciò soprattutto se si intende dare cittadinanza vera e non solo formale al principio della valutazione nel sistema scolastico, e se si vuole legittimare un ruolo dei dirigenti scolastici nel processo di valutazione del personale docente e non docente. Bisogna peraltro sottolineare che è previsto che questo sistema di valutazione sia oggetto di monitoraggio (dalle parti), e che dunque esso potrà essere eventualmente rivisto in sede di rinnovo se esso non si rivelasse per qualche aspetto efficace.
Infine, la parte retributiva, che è quella su cui ovviamente la trattativa si è più lungamente soffermata, e anche quella su cui vi è stato il massimo delle polemiche, tra le parti ma anche tra le stesse organizzazioni sindacali. I termini del problema sono noti. L’acquisita dignità dirigenziale dava ai dirigenti scolastici la legittima aspettativa di essere equiparati alle restanti dirigenze pubbliche non soltanto sul versante dei diritti e dei doveri, ma anche su quello retributivo. Per questo la finanziaria del 2001 aveva stanziato 200 miliardi, senza sapere, però, che il CCNL della dirigenza ministeriale che è stato stipulato nella scorsa primavera avrebbe innalzato le retribuzioni dei dirigenti, di prima e seconda fascia, oltre le previsioni. Da quel momento in poi, il problema cruciale della trattativa è diventato quello di reperire le risorse per raggiungere l’equiparazione. Compito difficile, perché l’anno del contratto è stato caratterizzato da evvenimenti per certi aspetti eccezionali. E’ stato l’anno delle elezioni, e di un cambiamento non solo di legislatura, ma di maggioranza politica. Inotre, nell’autunno la congiuntura economica è peggiorata anche a seguito dei ben noti, tragici avvenimenti internazionali. Nonostante questo, in autunno vi è stato uno sforzo, da parte del governo, e anche da parte dell’Aran, per reperire nuove risorse, al fine di concludere finalmente la trattativa. Alla fine, ai 200 miliardi si sono aggiunti altri 40 miliardi che erano già stati previsti dal secondo atto d’indirizzo del governo Amato, più altre risorse che erano state accantonate in quanto non utilizzate per la valutazione. Decisivo, per raggiungere l’equiparazione almeno del tabellare, è stato il conglobamento dell’indennità di direzione soppressa, che avrebbe dovuto, a rigore, essere inclusa nel fondo per la posizione e il risultato.
Alla fine, si è deciso anche di prevedere l’inserimento dal 2002, nel fondo di posizione e risultato, delle risorse che saranno stanziate dalla nuova finanziaria, e che saranno di 40 miliardi pro anno per il prossimo triennio. E’ evidente che in questo modo si è raschiato, per dir così, il fondo del barile, compiendo uno sforzo davvero molto intenso. Il problema dell’equiparazione piena con la restante dirigenza resta, peraltro, affidato all’eventuale reperimento, nel prossimo quadriennio, di ulteriori nuove risorse.
Che dire, complessivamente, del contratto? Si può dire che il grande sforzo negoziale sia stato utile, da un lato, per rintracciare le risorse che hanno consentito di avvicinare le retribuzioni a quelle delle restanti dirigenze, dall’altro a dare alla dirigenza scolastica un completamento dello stato giuridico che consenta ai dirigenti di svolgere il loro compito nella chiarezza dei diritti e dei doveri, e con uno riconoscimento anche delle particolarità del loro lavoro. Con il contratto della dirigenza, si completa un quadriennio contrattuale che ha visto l’insieme del mondo della scuola compiere diversi passi avanti verso la modernizzazione delle condizioni di lavoro.