Uno cita Papa Bergoglio, l’altro risponde col Patriarca di Mosca. E’ un duetto di assonanze quello che si e’ svolto tra Maurizio Landini e Giulio Tremonti, ospiti della fondazione Don Sturzo per un confronto che fin dal titolo prometteva bene: A come Acciaio, B come Banche. L’ex ministro e il sindacalista, però, sono spiriti troppo indipendenti per lasciarsi ingabbiare da un titolo. E dunque, a turno, hanno illustrato a ruota libera il loro pensiero sull’economia; italiana, ma anche americana e globale. Trovandosi in perfetta sintonia.
Se e’ abbastanza scontato che sia comune a entrambi il giudizio negativo sulla globalizzazione (Tremonti e’ stato tra i primi ad accusarne i limiti e i rischi, Landini, come capo della Fiom, ne ha osservato sul campo gli effetti) più insolito e’ ritrovare l’esponente del sindacato e l’ex ministro d’accordo sugli effetti nefasti del Fiscal Compact: le cui basi, tuttavia, sono state gettate proprio ai tempi del governo Berlusconi, di cui Tremonti era titolare dell’Economia. Ma, a rifletterci, alla fine tutto torna. Per esempio, e’ abbastanza logico che per entrambi la data spartiacque, quella da dimenticare, sia il 2011: anno horribilis in cui l’Italia, per gli errori del governo Berlusconi, faceva i conti con lo spread alle stelle e quindi con la lettera della Bce, che segnava la fine di quel governo aprendo le porte a Mario Monti, che curò il paese con l’odiata legge Fornero, che e’ ancora oggi nel mirino dei sindacati. Tutto torna, sempre.
Sintonia tra i il professore e il sindacalista anche nel ritenere che il passaggio di importanti attività industriali italiane a proprietà estere non sia un ‘’investimento’’, ma più che altro uno ‘’shopping’’ con tutti i rischi del caso. Tremonti elenca i settori che abbiamo abbandonato, o abbiamo lasciato andare altrove, ed e’ un lungo elenco: dalla chimica al cemento, dai cantieri alle tlc, fino alla moda. “Se anche un’attività resta in Italia ma la proprietà va fuori sei meno ricco. La strategia va fuori, la tesoreria va fuori, la ricerca va fuori. È evidente il cedimento della nostra economia con il trasferimento della proprietà all’estero”. E chiosa: “Tra un po’ ci porteranno via anche il materasso e le mutande’’.
Anche Landini lamenta la perdita di tessuto industriale, e ricorda che ormai anche il 90% degli appalti per rinnovare bus e treni premia aziende straniere, perché in Italia ormai non se ne producono praticamente piu’. ‘’Negli altri paesi, almeno, si pongono dei vincoli, per esempio che almeno una quota della produzione debba essere in loco. Non e’ protezionismo questo, ma un principio di politica industriale seria, quella che ci servirebbe’’.
Pare di capire che nessuno dei due simpatizzi per il ministro Carlo Calenda, oggi in grande spolvero come uno dei politici piu’ apprezzati del paese. Tremonti invece lo accusa di voler essere nel contempo ‘’mercatista e colbertista’’, e ne irride le disavventure con la cantieristica in Francia e con l’acciaio dell’Ilva in Italia: “unico caso in cui un governo fa una gara, la perde e poi dà l’acciaio agli indiani che non comprano l’azienda, ma comprano il suo mercato, per poi produrre dove dicono loro”. Aggiunge Landini: “ma come è possibile che fai una gara, ci sono due soggetti che partecipano, in una c’è la Cdp, e perdi la gara? Io ho fatto ‘’scuole basse’’, ma proprio non lo capisco”.
Della Cdp Tremonti vanta addirittura una sorta di paternita’: “l’ho reinventata io come uno strumento di politica industriale, l’idea iniziale era proprio per l’acciaio e per la grande industria”. Musica per le orecchie di Landini: “Noi abbiamo chiesto che Cdp entri nella società che rileva Ilva perché ci sia un minimo di controllo pubblico che possa verificare cosa viene fatto e che non venga portata via la produzione. Sono 6 anni e mezzo che chiediamo un tavolo nazionale per discutere dell’acciaio, ma nessuno dei tanti governi che si sono avvicendati ce lo ha mai concesso”.
Preoccupazione esprime il sindacalista anche per il destino di Fca, che e’ ormai con la testa, e molto di piu’, all’estero, e che quest’anno fallirà l’obiettivo della piena occupazione promessa da Sergio Marchionne. Questa volta a concordare e’ Tremonti, che la Fca, ai tempi, aveva addirittura sognato di statalizzarla. Sfumature differenti emergono invece sul tema del fisco: con Tremonti che plaude alla riforma di Trump, ”che cambiera’ il capitalismo mondiale”, ricordando che ”anche in Italia c’era una legge che detassava gli utili reinvestiti dalle imprese, la legge Tremonti”; e con Landini che, invece, replica: “sono ben poche le imprese italiane che reinvestono”, mentre “l’85% dell’Irpef e’ ancora tutto a carico di lavoratori dipendenti e pensionati”.
Pieno accordo, infine, ed e’ perfino inutile dirlo, sulla spaventevole involuzione del sistema di potere mondiale, nel quale un tempo dominava la politica, indicando i percorsi all’economia, e la finanza seguiva; e che ora si e’ del tutto ribaltato, a favore di una finanza che comanda sulla politica, indirizzando dove meglio crede (spesso nell’abisso) l’economia reale. ‘’E’ Creso che batte l’Imperatore’’, sintetizza il professor Tremonti. L’uomo della Cgil, convinto, annuisce.
Nunzia Penelope