Tanto tuonò che non piovve: si potrebbe riassumere così la vicenda della duplice e parallela consultazione – svoltasi sia nell’insieme della Cgil, che nelle imprese metalmeccaniche in cui è presente la Fiom – sull’intesa del 10 gennaio di quest’anno. Intesa con cui la stessa Cgil, assieme a Cisl, Uil e Confindustria, ha definito il Testo Unico sulla rappresentanza che completa l’accordo raggiunto dalle stesse organizzazioni il 31 marzo 2013.
Perché abbiamo detto “tuonò”? Perché, dopo la sigla dell’intesa, la maggioranza della Fiom – guidata dal segretario generale, Maurizio Landini – ha chiesto a gran voce di rinegoziare alcuni dei contenuti del Testo Unico, giudicati negativamente, e, preliminarmente, di sottoporre l’intesa alla consultazione dei lavoratori.
Dopo una discussione interna abbastanza aspra, in febbraio la maggioranza della Cgil, guidata da Susanna Camusso, decise di accogliere la richiesta di Landini, indicendo una consultazione che doveva terminare entro i primi di aprile. Sembrava la soluzione, almeno provvisoria, di un contrasto riapertosi improvvisamente all’interno di una Cgil che, fino a dicembre 2013, pareva incamminarsi unita verso il Congresso nazionale, fissato per i primi di maggio. Invece niente. Nel senso che la Fiom landiniana, non paga del risultato conseguito, annunciò che avrebbe indetto una sua consultazione, parallela ma diversa da quella della Cgil. Principale differenza: la Cgil avrebbe consultato solo i lavoratori iscritti alla Confederazione, mentre la Fiom dichiarava l’intenzione di consultare tutti i lavoratori della categoria, indipendentemente dal fatto che fossero o meno iscritti alla federazione.
La Cgil faceva allora presente alla Fiom che, per poter includere i voti espressi nella consultazione promossa dalla Fiom nel computo generale di quella organizzata dalla Cgil, la stessa Fiom avrebbe dovuto condurre la sua consultazione con urne separate, in modo tale da poter sapere, e quindi comunicare, quale fosse il risultato del voto tra i soli iscritti Fiom. Ma la Fiom non se ne è data per intesa, sostenendo che ciò che le interessava era sapere qual era l’opinione non degli iscritti Fiom, ma dei metalmeccanici. Un dato, peraltro, difficile da costruire in assenza di un accordo unitario con Fim e Uilm.
Insomma, un dialogo tra sordi, che si è trascinato per un paio di mesi. Finché oggi, profittando di una conferenza stampa convocata per illustrare le iniziative unitarie organizzate con Cisl e Uil per il Primo Maggio, nonché i programmi relativi all’ormai imminente Congresso nazionale, la Cgil ha fornito i dati, evidentemente non sommabili, delle due consultazioni.
La Cgil ha dunque dichiarato che alla sua consultazione, svoltasi in tutte le categorie interessate dall’intesa del 10 gennaio (e quindi industria e servizi privati), meno i metalmeccanici, hanno partecipato 447.614 iscritti. Di questi, 422.335 si sono espressi in favore della scelta compiuta dalla Cgil firmando l’intesa, mentre 21.983 si sono espressi contro. Il totale delle schede nulle e bianche è risultato infine pari a 3.346.
La stessa Cgil ha poi ritrasmesso alla stampa i risultati dell’altra consultazione, comunicati dalla Fiom. Qui avrebbero partecipato al voto 237.220 lavoratori. Di questi 31.106 si sono espressi in modo favorevole all’intesa, mentre 201.757 in modo contrario. Si tratta in tutta evidenza, per usare il linguaggio che abbiamo udito dai nostri insegnanti di matematica quando andavamo a scuola, di grandezze non omogenee. Qui iscritti Cgil di diverse categorie, lì lavoratori di una sola categoria (metalmeccanici) e non necessariamente iscritti alla Cgil. E gli stessi insegnanti ci ripetevano che le grandezze non omogenee non sono comparabili. Comunque sia, nel corso della conferenza stampa è stato sottolineato che, anche compiendo questa somma impropria, i favorevoli all’intesa risultano essere 453.441, e quindi, avendo raggiunto il 66% del totale (matematicamente inconsistente, aggiungiamo noi), ben più dei contrari, pari a 223.740.
Questi i risultati delle due consultazioni in termini di cifre. Ma qual è il risultato politico? Per la Cgil, ha detto Susanna Camusso, la fase della consultazione sull’intesa del 10 gennaio è conclusa. Di qui due messaggi. Il primo agli altri sottoscrittori dell’intesa. Forte del consenso maggioritario ottenuto tra i propri iscritti, la Confederazione intende adesso passare alla fase attuativa dell’intesa stessa. Il secondo messaggio è invece rivolto all’interno dell’organizzazione: “Non faremo – ha scandito Camusso – un Congresso sul Testo Unico”.
E Landini? Non è difficile prevedere che il recentissimamente riconfermato leader della Fiom dirà il contrario. E cioè dirà quel che ha detto in chiusura del Congresso della sua organizzazione, conclusosi a Rimini il 12 aprile. Ovvero che considera che la maggioranza di no al Testo Unico uscita dalla consultazione condotta nella categoria impegni il gruppo dirigente della Fiom a continuare ad operare per cambiarne il testo.
Insomma, siamo punto e daccapo. Le due consultazioni parallele, essendo appunto due e non una, non hanno sciolto nessun nodo. Per restare all’immagine iniziale del nostro ragionamento, non ha piovuto.
Al contrario di ciò che ha oggi auspicato Camusso, al Congresso Cgil (Rimini, 6-8 maggio), Landini tornerà forse a riproporre i temi della rappresentanza come uno dei punti principali che segnano le accresciute distanze fra Cgil e Fiom. Quanto alla categoria, le cose sono ancora più ingarbugliate. Perché non è chiaro quando e come, o addirittura se, potrà qui iniziare l’attuazione dell’intesa del 10 gennaio. Logicamente, infatti, tale attuazione dovrebbe iniziare con i rinnovi unitari delle Rsu; rinnovi da effettuarsi seguendo le regole fissate appunto nel Testo Unico. Cioè in quel testo che la Fiom intende modificare, mentre Fim e Uilm intendono mantenere così com’è. In conclusione, siamo di fronte a un intreccio di problemi che – se non cambia qualcosa nel quadro dei rapporti tra Fiom e Cgil, da un lato, e tra Fiom e Fim/Uilm, dall’altro – è, almeno apparentemente, insolubile.
Fernando Liuzzi