Che cosa si aspettano i sindacati all’incontro che avranno lunedi con Carlo Bonomi? Non molto di buono, a sentire l’aria che tira. Il neopresidente di Confindustria, del resto, fin dal suo insediamento, a fine maggio, non ha mancato un giorno di mettere le dita negli occhi ai rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil. Ultimo episodio la lettera che Bonomi ha inviato agli imprenditori nei giorni scorsi (nella sezione Documentazione del Diario del Lavoro la pubblichiamo in versione integrale), nella quale, stando all’interpretazione che ne danno i sindacati, si legge una sostanziale disdetta del Patto della fabbrica. Ma oltre ai sindacati nel mirino della Confindustria bonomiana c’è anche il governo, bersaglio di critiche ancora più esplicite e feroci. Forse in parte non del tutto immotivate, certo; ma resta che quando Bonomi accusa il governo di “non aver fatto niente”, viene da chiedersi cosa abbia fatto, nel frattempo, la sua Confindustria: a parte, appunto, criticare.
“Bonomi è come Bartali, il suo slogan è “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”, ironizza un sindacalista di rango del settore industria. Che poi, accantonando l’ironia, sottolinea: “e la prima volta che un presidente di Confindustria esonda in questo modo, come nemmeno Antonio D’Amato faceva nelle questioni politiche”. In pratica, è l’analisi di alcuni, Bonomi fa a se stesso un upgrade politico, avanzando critiche al governo non solo sulle questioni sue competenza, quelle economiche, ma ad alzo zero, sulle politiche generali del paese. E attacca piu duramente su quei provvedimenti che è stato il sindacato a sollecitare. Proprio in questa aggressività un po’ sopra le righe i rappresentanti dei lavoratori leggono una incongruenza non lieve: da un lato, spiegano, attacca sindacati e governo, dall’altro si si propone come l’uomo che raccoglie attorno a se tutte le parti sociali e politiche per realizzare un Patto sociale per il paese. Ma in queste condizioni, si osserva nelle centrali sindacali, è difficile intravvedere gli estremi per un qualunque patto. Piu facile una rottura.
Nell’attivismo diciamo così politico della Confindustria c’è chi legge un obiettivo basico: mettere in crisi il governo, che gia dopo il voto del 20 settembre potrebbe traballare vistosamente, puntando su un governo istituzionale o tecnico, ma soprattutto, puntando a un cambio della guardia al Mise, dove far sedere una persona di maggiore “fiducia” per la Confindustria rispetto all’attuale titolare. In ballo c’è la gestione delle risorse che arriveranno col Recovery Fund, e che Confindustria sostiene vadano destinate soprattutto alle imprese. “Giusto, ma come, sulla base di quali progetti?”, si chiedono i sindacati. Al momento, non se ne vede traccia. A meno che non si voglia chiamare progetto quella raccolta di saggi economici, edita dalla Nave di Teseo, che lo stesso Bonomi ha consegnato al Governo nel corso degli Stati generali di giugno, e che il presidente di Confindustria continua a citare come base per la ripartenza del paese.
Ma al di là delle questioni e degli scenari di fantapolitica, c’è intanto qualcosa di molto concreto da affrontare ed è la stagione dei rinnovi contrattuali ormai alle porte. Bonomi ha affermato di voler fare contratti “rivoluzionari”, ma nella lettera sopra citata i sindacati intravvedono invece, semplicemente, i podromi di una disdetta del Patto delle Fabbrica. O quanto meno di una sua sostanziale revisione. Scelta singolare, visto che tutte le piattaforme predisposte per i rinnovi sono state costruite sulla base di quel patto. E c’è da chiedersi quanto le federazioni di categoria aderenti a Confindustria possano essere entuasiaste all’idea di ricominciare daccapo, dalla ridiscussione di un accordo interconfederale, prima di poter sedere al tavolo con le controparti. Inoltre, Bonomi rispolvera in pratica una vecchia idea fissa di Confindustria, quella che il salario si distribuisca tutto in azienda; trascurando il fatto che la maggior parte delle piccole imprese vive, invece, di contratto nazionale. Anche per questo, nei decenni, Confindustria non è mai riuscita a portare al tavolo una proposta davvero forte: divisa tra chi vuole la contrattazione nazionale e chi l’aziendale, è sempre stato un susseguirsi di mediazioni, di cui il Patto della fabbrica è l’ultimo e migliore esempio. Firmato da Camusso e Boccia, nel 2018, dopo una trattativa iniziata vari presidenti e segretari generali prima, e raggiunto dopo mille stop and go da quella che è ormai ex segretaria generale di Cgil ed ex presidente di Confindustria, c’è forse oggi da chiedersi se gli attuali titolari delle cariche citate, Landini e Bonomi, lo riconoscano come proprio, o meno. Di Bonomi si è detto, punta a una revisione; ma forse anche Landini, tutto sommato, potrebbe non essere particolarmente entusiasta di quel patto lontano di cui non ha la paternità diretta, preferendo le mani libere per una battaglia salariale al rialzo e senza vincoli.
Sta di fatto che ancora una volta Confindustria sembra tenere un piede di qua e uno di là. Perché alle uscite di Bonomi, che sembrano mirare alla disdetta del Patto, ha fatto eco, un paio di giorni fa, un comunicato ufficiale di Viale dell’Astronomia che riportava un commento del vicepresidente Maurizio Stirpe (cui spetta la delega per le relazioni industriali), che sembrerebbe in qualche modo smentire il presidente. Dice infatti sostanzialmente Stirpe, commentando alcune dichiarazioni della segretaria Cisl Anna Maria Furlan in una trasmissione radio del mattino: Confindustria non ha alcuna intenzione di bloccare i contratti, né tanto meno di smantellare il Patto della fabbrica, dal quale anzi occorre ripartire per un confronto serio, eccetera eccetera eccetera (anche la dichiarazione di Stirpe si può leggere integrale sul Diario del Lavoro). Ma i sindacati non si sono affatto rasserenati, leggendo anche la posizione di Stirpe nel solco di una forse non totale disdetta, ma certamente revisione profonda del Patto, che punterebbe a spostare tutta la remunerazione della produttività solo a livello aziendale. Con un duplice rischio. Perche spostando tutti gli aumenti di produttività al livello aziendale, oltre a creare un discreto caos nelle trattative, è evidente che si aprirebbe la strada al salario minimo di legge. Cioè qualcosa di totalmente alternativo alla contrattazione nazionale, che potrebbe serenamente prepararsi alla pensione.
Queste sono, più o meno, le incognite che pendono sull’appuntamento di lunedi. Che vede la Cgil pronta allo scontro, la Uil leggermente più attendista (il neo segretario Bombardieri, fresco di elezione, vuole capire prima che aria tira davvero con Bonomi) e la Cisl che non chiude le porte del tutto, attratta dall’ipotesi di un nuovo grande Patto alla Ciampi 1993. Ma tutte e tre le confederazioni sono pronte ad alzare le barricate di fronte a un attacco reale ai contratti. C’è da dire, per concludere il quadro, che solo a fine settembre Carlo Bonomi presenterà il vero programma di Confindustria, quello che il presidente in genere espone nella sua prima relazione all’assemblea annuale. Fissata a fine maggio, e saltata causa Covid, è stata riprogrammata per il 29 settembre. Sarà la prima vera uscita ufficiale del neo presidente. C’è da chiedersi se davvero voglia arrivarci con già sulle spalle una rottura – addirittura preventiva – con i sindacati. C’è da scommettere di no, ma non si sa mai. Tanto più che in mezzo ci sono pur sempre le elezioni regionali e un referendum, con tutte le incognite che si portano dietro.
Nunzia Penelope