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Home - Approfondimenti - Interviste - Megale, nel mezzo delle difficoltà, innovazione e tutele alle partite iva

Megale, nel mezzo delle difficoltà, innovazione e tutele alle partite iva

di Emanuele Ghiani
24 Febbraio 2017
in Interviste
Megale, nel mezzo delle difficoltà, innovazione e tutele alle partite iva

Il segretario generale di Fisac-Cgil, Agostino Megale, ha spiegato, al Diario del lavoro, quali sono stati i traguardi raggiunti con Abi, Intesa San Paolo e Unicredit e quanta strada c’è ancora da fare nel mondo dei bancari.


Megale, quali sono stati i risultati più rilevanti che avete raggiunto nell’accordo con Abi?
È la prima volta che, in Italia, si raggiunge un simile accordo. Un risultato che è stato possibile grazie all’esito positivo degli accordi definiti con i principali gruppi creditizi. Un punto importante è la creazione di regole che vietano atteggiamenti vessatori da parte dei banchieri nei confronti dei bancari.

Ad esempio?
I dirigenti non possono inviare continuamente ai lavoratori email, chat, fare ripetute telefonate, richiedere report individuali giornalieri, insomma mettere pressione sul lavoratore per vendere, vendere. Nell’accordo, infatti, è previsto che se il lavoratore non raggiunge gli obbiettivi di vendita quantitativi definiti dall’azienda, non può essere sottoposto a nessun provvedimento di carattere disciplinare. L’Europa dovrebbe prendere esempio.

In che senso?
Serve un accordo di linee guida in tutta Europa. Non si può avere una Unione Europa e una Bce che dettano le regole sul by-line, e non avere accordi sindacali conseguenti. Bisognerebbe costruire codici, etica di comportamento, partendo appunto dal nostro accordo.

La politica come dovrebbe muoversi nel mondo dei bancari?
Si dovrebbe partire dall’assunto che a norme contrattuali bisogna accompagnare norme legislative. Penso al ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che, attorno al tema del lavoro cosiddetto agile, immaginava una qualche discrezionalità nel superare gli orari giornalieri e settimanali e che invece vanno individuati, previsti e semmai, confermando le norme, rinviate poi alla contrattazione applicativa.

Passiamo a Intesa San Paolo. Anche qui raggiunto un accordo, qual è il suo giudizio?
L’accordo che abbiamo definito “protocollo per lo sviluppo sostenibile” è indubbiamente molto importante e positivo. Avviene  nella prima banca del Paese, l’unica che non ha proposto degli esuberi al sindacato. Ma paradossalmente, pur non essendoci esuberi, è stato un tavolo dove si è sviluppato il confronto più acceso. Anche in casa nostra.

Perché?
Perché per la prima volta ci siamo trovati di fronte a un progetto sperimentale rivolta ai promotori finanziari a partita Iva. Sono lavoratori che non sono sindacalizzati, sono alla stregua di agenti, spesso iscritti all’Enasarco, senza tutele contrattuali o legislative. In pratica, l’Azienda ha avanzato un progetto con cui costruire una figura con una forma contrattuale mista: metà con contratto a lavoro dipendente – a part-time o a tempo indeterminato -, l’altra metà come promotore finanziario a partita Iva.

E al sindacato non piaceva il progetto?
C’è stata la paura di una parte della categoria di sentirsi trasformata da lavoratori dipendenti in lavoratori a partita Iva. Ma la verità è che, in questo modo, arrivano anche diritti e tutele alle partite Iva che, per la prima volta, sono dentro a un processo di contrattazione. Insieme alle altre sigle sindacali abbiamo sviluppato una discussione e coinvolto la stessa Cgil Nazionale. Da qui è nata una proposta, avanzata alla controparte dal sindacato, che alla fine ha permesso di concludere l’accordo.

In cosa consiste la vostra proposta?
Ai lavoratori a partita Iva vengono inizialmente forniti, nei 24 mesi di sperimentazione, diritti quali la malattia, la maternità, l’infortunio, la previdenza integrativa e la sanità integrativa. Alla fine dei 24 mesi, se il lavoratore chiede il passaggio dall’assunzione a par-time  a quella a tempo pieno, l’Azienda deve accettare tale richiesta. Alla fine, Intesa ha accettato questa nostra impostazione.

Avete intenzione di allargare l’esperienza fatta con Intesa anche all’insieme del settore creditizio?
È chiaro che questo primo accordo pone un problema relativo all’intera categoria. Per questo motivo, abbiamo chiesto all’Abi di aprire un cantiere di riflessione, sulle partite Iva e sugli inquadramenti professionali, in preparazione del contratto nazionale che scade a dicembre del 2018. Dobbiamo prepararci a rilanciare l’idea di un contratto unico tra banche e assicurazioni, e immaginare una sezione speciale per le partite Iva. Ricordo che parliamo di qualcosa come 160.000 persone che finora non hanno nessuna rappresentanza. Ritengo che sia giunto il tempo di parlarci, di ascoltare cosa hanno da dire e di offrire loro una prospettiva contrattuale.

Ma è vero che Intesa sta pensando alla acquisizione di Generali?
Per ora disponiamo solo di informazioni prese dai giornali. Questa è la ragione per la quale non abbiamo espresso nessun giudizio di merito. Poiché non ci è stato comunicato nessun progetto né finanziario né industriale, da parte nostra sarebbe improprio esprimere giudizi. Quel che è certo è che, in vista dell’assunzione di decisioni strategiche, tutto il sindacato deve essere informato.  

Anche in Unicredit avete raggiunto un accordo. Qual è qui la situazione?
Unicredit ha avviato la più grande iniziativa di ricapitalizzazione, puntando a raccogliere 13 miliardi; un’operazione che si chiuderà nelle prime giornate di marzo. D’altra parte, il 2016 si è chiuso con 11,8 miliardi di perdite. L’Azienda risponde con 3.900 esuberi. E va tenuto presente che, se si guarda al complesso del periodo 2014-2019, gli esuberi assommano a un totale di circa 9.000 dipendenti.

Quindi, di fronte a tali esuberi, qual è il suo giudizio?
È evidente che ogni volta che si negoziano esuberi è un problema. Ma il giudizio è di un ottimo accordo, proprio per il fatto che, contemporaneamente, l’Azienda scommette su 1.300 nuove assunzioni e 600 stabilizzazioni. In sostanza, ogni 3 uscite c’è un nuovo assunto. Inoltre, tutti gli esodi sono unicamente volontari. Un altro punto importante è che l’Azienda si impegna, per la prima volta dall’inizio della crisi, ovvero da 8 anni a questa parte, a non aprire per i prossimi 3 anni alcuna altra procedura sul piano occupazionale. Aggiungo che si è configurato una riforma degli inquadramenti e anche un riconoscimento del premio aziendale. Insomma, pur nel mezzo delle difficoltà connesse a una ricapitalizzazione così imponente, l’Azienda ha scelto di considerare le relazioni industriali, l’accordo sindacale e il ruolo della parti sociali come un valore aggiunto, invece di aprire uno scontro sui costi.

È stato recentemente approvato il decreto salva-banche. Cosa comporta per Monte Paschi?
Avevamo chiesto, già agli inizi del dicembre scorso, l’esigenza di un intervento pubblico per mettere in sicurezza Monte Paschi, la terza banca del nostro Paese. Il Governo e il Parlamento, con l’intervento da 20 miliardi, hanno accolto la nostra esigenza. In questo modo si creano le condizioni per il risanamento, il rilancio e la prospettiva non solo di Monte Paschi ma anche delle due banche venete in crisi. Comunque, nessuno può più chiedere a Monte Paschi altre drammatizzazioni occupazionali.

I 5 Stelle affermano che sono soldi che vanno ai banchieri,  e che lo Stato interviene per garantire coloro che hanno portato al dissesto le banche.
Beh, diciamo che di balle e di populismo ne è pieno il mondo, ma di bugie non si può più vivere. Il Movimento 5 Stelle dovrebbe sapere che se tutti i Gruppi parlamentari avessero seguito la loro indicazione e se, quindi, il decreto non fosse passato, quella banca avrebbe dovuto chiudere e, con ciò, si sarebbero persi tra i 28.000 e i 30.000 posti di lavoro. Se la sarebbero poi presa loro questa responsabilità? L’intervento pubblico non è un salvataggio, ma un intervento di politica industriale finalizzato a rimettere la banca sul mercato nelle condizioni di efficacia e di efficienza.

Quali altri elementi porta il decreto?
Un fatto importante è che il decreto prevede, per la prima volta, che i compensi dei top-manager non possono più essere milionari, ma possono ammontare a non più di 15 volte lo stipendio medio di un lavoratore italiano. In altre parole, non potranno superare i 400.000 euro.

Cosa ne pensa del Jobs Act?
I soldi spesi in relazione al Jobs Act potevano essere investiti meglio. Per fare occupazione, servono investimenti. Per fare investimenti, serve che le banche si liberino dei crediti deteriorati che superano i 200 miliardi. Per liberarsi dai crediti in sofferenza, servirebbe una Bad bank di sistema o europea. Da qui l’idea che abbiamo lanciato, cioè di un intervento, anche nell’ambito dei 20 miliardi previsti dal decreto salva-banche, che consentisse, soprattutto nelle banche in maggiori difficoltà, di liberarsi di tutte le sofferenze, istruendo una sorta di “Atlante tre” in grado di affrontare tali problemi.

L’innovazione tecnologica sta sostituendo molte figure di lavoratori. Che futuro hanno i bancari in questa ottica?
In linea di massima,  nessuno può immaginare il futuro di una banca senza bancari. Questo pur considerando che le nuove generazioni non vedono più l’esigenza di una presenza fisica nelle filiali e nelle sedi. Adesso avviene tutto on-line. Questo sicuramente comporta un ridimensionamento, ad esempio, del numero dei cassieri. Contemporaneamente, però, cresce la necessità di altre figure e la banca stessa si trasforma. Per esempio, Banca Intesa ha avviato al proprio interno una società immobiliare che ha già occupato 800 persone che svolgono le attività tipiche di questo settore e cui, peraltro, viene applicato il contratto dei bancari. Inoltre, le banche dovrebbero tendere ad offrire nuovi servizi.

Quali servizi?
Per esempio, attivare dei veri e propri sportelli di consulenza dove la piccola impresa artigiana del commercio viene presa per mano e accompagnata in un percorso fatto di operazioni fiscali, di investimenti, di piani industriali, con un’attenzione strategica che fin qui nessuno ha avuto. In fondo, è la banca che chiede all’impresa i requisiti per concederle un prestito ma, nello stesso momento, non ha la struttura adeguata per offrirle una consulenza finanziaria, affinché quella stessa impresa investa e si metta sul mercato globale. Allo stesso modo, una banca potrebbe attrezzarsi per offrire alla propria clientela non solo consulenze di carattere finanziario, ma anche di natura fiscale o legale.

Emanuele Ghiani

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Emanuele Ghiani

Emanuele Ghiani

Redattore de Il diario del lavoro.

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