Dopo dieci anni di stallo è stato firmato il contratto dell’area funzioni centrali. L’intesa riguarda i circa 6.700 dirigenti pubblici e professionisti delle amministrazioni centrali (ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici), che vedono rinnovato il proprio contratto dopo un lungo periodo di sospensione dell’attività negoziale. Nel campo di applicazione del contratto, sono compresi anche i dirigenti sanitari del Ministero della Salute e dell’Aifa e i professionisti medici degli enti previdenziali. Giorgio Rembado, presidente della funzione pubblica della Cida, e Roberto Caruso, presiedente delle funzioni centrali della Cida, in questa intervista a due voci con Il Diario del Lavoro spiegano le linee guida generali e gli elementi distintivi del nuovo contratto. Un contratto che i due dirigenti definiscono innovativo e complesso, capace di ascoltare le specificità di tutte le categorie all’interno di un perimetro normativo comune.
Iniziamo da lei, Rembado: quali sono le linee guida del nuovo contratto?
Il contratto è ampio e complesso, e arriva dopo 10 anni di vacanza contrattuale. L’ampiezza e la complessità derivano dal fatto che tiene insieme categorie diverse: dirigenti, medici manager e professionisti. Il lavoro che abbiamo fatto è stato quello di rispettare e valorizzare le specificità di ogni categoria all’interno di una cornice contrattuale e normativa comune.
Questo ha comportato delle difficoltà nella stesura del contratto?
Un problema che abbiamo dovuto affrontare è stato quello della perequazione economica. Nel contratto, infatti, ci sono diverse tabelle retributive, ognuna specifica per la singola categoria. Quando parliamo di pluralità di soggetti non dobbiamo pensare solo ai lavoratori, ma anche alla parte datoriale.
Un punto per voi importante è la tutela dell’autonomia del dirigente. Mi spieghi meglio in cosa consiste.
Nel contratto abbiamo inserito una clausola di salvaguardia economica che rappresenta un sostegno per quei dirigenti che subiscono un declassamento. Questo declassamento può avvenire a seguito di una riorganizzazione dell’amministrazione pubblica, per il quale un dirigente può non ricoprire piu’ un determinato incarico, oppure quando gli viene conferito un incarico con una retribuzione inferiore. Inoltre, in molte occasioni, il dirigente non ha libertà nei confronti del decisore politico.
Un ulteriore elemento di rilievo è infatti il diritto all’incarico. Di che cosa si tratta?
È uno strumento antimobbing. Quello che noi chiediamo con il contratto è che un dirigente, all’interno di un’amministrazione pubblica, non venga messo “in panchina” a causa di contrasti nella gestione di un incarico con il datore di lavoro politico. Con questo strumento non solo si tutelano gli interessi del dirigente ma anche quelli della collettività. Infatti, non è giusto che la collettività paghi un dirigente pubblico che non svolge nessun ruolo. Inoltre, il dirigente pubblico deve rispondere all’interesse della collettività, e esercitare il suo ruolo nel modo più imparziale possibile. Cosa che la parte politica non fa.
Presidente Caruso, ora tocca a lei. Nel contratto si insiste molto sulla centralità delle relazioni industriali.
Certamente. Dopo dieci anni di stallo le relazioni industriali ritornano a essere nuovamente protagoniste con un impianto del tutto nuovo capace, come è stato detto, di coniugare le singolarità di tutte categorie rappresentate con un quadro di riferimento comune. In questo modo abbiamo messo a disposizione dei dirigenti e non solo strumenti di prim’ordine.
Oggi si parla molto di innovazione. Come viene affrontata nel contratto?
L’innovazione occupa un ruolo centrale. In questo senso il contratto istituisce un organismo paritetico specifico. Il dirigente non solo deve essere informato nei processi innovati che l’amministrazione pubblica vuole introdurre, ma anche pienamente coinvolto. Accanto a questo non bisogna dimenticare la formazione, indispensabile che per affrontare al meglio le nuove sfide.
Il contratto dà anche ampio spazio a temi di rilevanza sociale. È un’altra novità di rilievo.
Assolutamente sì, ne sono una prova le misure che tutelano le donne vittima di violenza o i lavoratori che devono assentarsi per sottoporsi a terapie salvavita o che devono assistere i figli. Occorre prendere atto che nei dieci anni trascorsi tra una firma e l’altra la società è molto cambiata, sono emerse nuove esigenze che nel contratto cerchiamo di accogliere, facendo ricorso a strumenti per una maggiore conciliazione tra vita e lavoro come lo smart working.
Tommaso Nutarelli