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Home - Approfondimenti - Analisi - Riflessioni sull’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco

Riflessioni sull’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco

di Tiziano Treu
5 Maggio 2025
in Analisi
Papa Francesco, Confartigianato: ha indicato l’essenza dei valori dell’artigianato

PAPA FRANCESCO JORGE MARIO BERGOGLIO

  1. Un’Enciclica ecologica e sociale

Nei giorni della malattia e poi della morte di Papa Francesco ho pensato spesso alla sua persona e ai suoi insegnamenti, a quello che hanno significato per il mondo intero. Sono andato a rileggere i suoi scritti, che conoscevo, ma che ora mi sollecitavano a riflettere con maggiore attenzione e con più intenso coinvolgimento

Mi ha colpito fra tutte la Enciclica Laudato Si’, e ho pensato di svolgere per iscritto queste considerazioni per cercare di coglierne i tanti significati, e per continuare a ricordarlo anche così.

Si è detto che questa è una enciclica ecologica; certo i suoi contenuti approfondiscono tutte le implicazioni della emergenza climatica che minaccia il mondo intero e che colpisce in particolare le future generazioni. Ma non è solo questo.

Anzi è significativo che nelle citazioni comuni la Laudato si’ è indicata come enciclica sociale. In essa infatti temi ambientali e temi sociali sono entrambi presenti e fra loro strettamente legati, come risulta già dalle prime righe del testo e nella stessa indicazione del Pontefice.

Questo legame dell’ecologia con la questione sociale e più a fondo con gli assetti economici e con gli stessi principi fondamentali dello sviluppo umano e dell’etica ritorna frequente negli scritti di papa Francesco sin dalla Apostolica Evangelii Gaudium e poi nella Laudate Deum.

“La nostra casa comune è come una sorella” che “protesta per il male che le provochiamo a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei […]. Per questo fra i poveri più abbandonati c’è la nostra oppressa e devastata terra” (p.3).

Subito dopo, rifacendosi al Santo da cui il Pontefice ha preso il nome, lo indica come “esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale” che ha manifestato “una attenzione particolare verso la creazione di Dio e verso i più poveri e abbandonati”. “In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno per la società e la pace interiore” (p.11).

Per questo “la povertà e la austerità di San Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore ma qualcosa di più radicale, una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio” (p.13).

E il Pontefice aggiunge un appello ai giovani, tema che ritorna nel corso della enciclica: “i giovani esigono un cambiamento e si domandano come è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alla sofferenza degli esclusi”.

  1. Richiamo a colmare deficit storici delle politiche del lavoro

L’appello riguarda tutti, politici, operatori e intellettuali, e tocca in profondità i cultori delle discipline e delle politiche del lavoro, perché tratta di due temi che noi abbiamo trascurato e spesso rimosso.

La lettura della enciclica ci ha richiamato fortemente a colmare questo deficit storico, e io mi sono sentito interpellato direttamente come non mai prima.

La crisi climatica mette in discussione l’approccio storico di queste politiche che si sono occupate di proteggere i lavoratori nei luoghi di lavoro, senza considerare l’impatto sull’ambiente delle attività produttive in cui il lavoro si svolgeva (cfr. T. Treu, Il diritto del lavoro alla prova dell’emergenza climatica, Quaderni ASVIS, n.12, 2024).

Inoltre il diritto e le politiche del lavoro si sono concentrate storicamente sul nucleo centrale dell’economia e della occupazione, sottovalutando i temi delle diseguaglianze e della povertà, e mettendo in ombra il carattere necessariamente universale dei diritti umani e sociali.

Questo insegnamento dell’enciclica è oggi particolarmente importante a fronte delle tensioni internazionali e delle spinte a rimettere in discussione le scelte in materia di tutela ambientale e sociale. Dovrebbe servire da monito anche alle istituzioni europee affinché non regrediscano dalle decisioni assunte di recente in queste materie dalle ultime direttive.

Per sostenere il cambiamento l’enciclica sollecita a “rinnovare il dialogo sul modo con cui stiamo costruendo il futuro del pianeta “un dialogo che unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo e le sue radici umane ci riguardano e toccano tutti”.

Il dialogo serve “per cercare soluzioni concrete che sono ostacolate, anche fra i credenti, “non solo dal rifiuto dei potenti, ma dal disinteresse degli altri, dalla indifferenza, alla rassegnazione comoda alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche” (p.15).

Questo per Francesco non fa venire meno la speranza, perché “dopo un tempo di fiducia irrazionale nel progresso si avverte una crescente sensibilità per l’ambiente e per la cura della natura”.

Il Pontefice invita allora a fare un percorso comune “attraverso quelle questioni che provocano inquietudine e che ora non si possono più nascondere sotto il tappeto”; di queste occorre “prendere dolorosa coscienza e trasformare in sofferenza personale quel che accade e così riconoscere quale è il contributo che ciascuno può offrire” (p.20).

La introduzione al testo si chiude con la indicazione del programma della enciclica, “di dialogo e di azione” … “che coinvolga sia ognuno di noi, sia la politica internazionale, …perché sono convinto che ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo”.

Il programma è sintetizzato al paragrafo 16, dove si indicano “gli assi portanti che attraversano tutta l’enciclica, per esempio: l’intima relazione fra i poveri e la fragilità del pianeta, la convinzione che tutti nel mondo e intimamente connesso, la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia, l’invito a cercare altri modi di intendere l‘ economia e il progresso, il valore proprio di ogni creatura, il senso umano dell’ ecologia, la necessità di dibattiti sinceri e onesti, la grave responsabilità della politica internazionale e locale, la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita”.

Difficile esprimere con più efficacia i temi di indagine e di azione che sono necessari per “arrivare alle radici della situazione attuale in modo da cogliere non solo i sintomi ma anche le cause più profonde” p.16.

  1. Le radici umane della crisi ecologica

Lo svolgimento dei temi nei vari capitoli è fondato sui contributi dei predecessori di Francesco, i quali “raccolgono la riflessione di innumerevoli scienziati, filosofi e teologi che hanno arricchito il pensiero della Chiesa”; ma si avvale anche delle riflessioni sviluppate al di fuori della Chiesa cattolica, da altre chiese e religioni, e si richiama ai “migliori frutti della ricerca scientifica oggi disponibile” al fine di dare “maggiore coerenza al nostro impegno per l’ambiente” (p.16).

Secondo questo programma l’enciclica si sofferma sull’ analisi delle radici della crisi ecologica, che non sono contingenti né marginali ma di carattere strutturale.

Anzi l’analisi dell’ecologia integrale e le misure per promuoverla richiedono categorie che travalicano il linguaggio delle scienze esatte, in quanto “si collegano con l’essenza dell’umanità”. Questo perché “il clima è un bene comune di tutti e per tutti … a livello globale è un sistema complesso in relazione con molte condizioni essenziali per la vita umana”. La stessa concezione di ambiente non può prescindere “da una particolare relazione: quella fra la natura e la società che la abita”.

Per questo non possono darsi soluzioni semplicistiche e indipendenti per ogni singola parte del problema. “È fondamentale cercare soluzioni integrali che considerino le interazioni dei sistemi naturali fra loro e con i sistemi sociali” (p. 128).

Una causa profonda del degrado ambientale risale infatti alle distorsioni dei modelli di crescita che sono prevalsi nell’ epoca recente.

Qui le parole e la denuncia di Francesco sono particolarmente severe. Agli allarmi ripetuti dalla comunità scientifica, dai movimenti ecologisti e dai molteplici vertici mondiali sull’ ambiente, “la politica e l’industria rispondono con lentezza, lontane dall’essere all’altezza delle sfide mondiali”; talché “l’umanità del periodo postindustriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia” e perché “i progressi sono deplorevolmente molto scarsi” (p. 152).

Ma il Pontefice incoraggia a perseverare con fiducia. C’è da augurarsi che le discussioni internazionali con i principi enunciati in quei vertici “trovino vie efficaci e agili di realizzazione, cosicché l’ umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità” (p. 152).

  1. Integrare il valore del lavoro

Il testo riprende varie volte il rapporto fra questione ecologica e questione sociale.

“In qualunque impostazione di ecologia integrale, … è indispensabile integrare il valore di lavoro”, perché “l’ intervento umano che favorisce il prudente sviluppo del creato è il modo più adeguato di prendersene cura” (p.114).

Qui il richiamo è all’insegnamento delle recenti encicliche, da ultimo la Laborem exercens di Giovanni Paolo II, e alla tradizione monastica con la “introduzione del lavoro manuale intriso di senso spirituale che si rivelò rivoluzionaria”. Una “tale maniera di vivere il lavoro ci rende più capaci di cura e di rispetto verso l’ambiente, impregna di sobrietà la nostra relazione col mondo” (p.115).

A queste indicazioni di principio fanno seguito implicazioni precise: se “il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra…non si deve cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il progresso tecnologico: così facendo la umanità distruggerebbe sé stessa”.

“In questo senso aiutare i poveri con il denaro deve essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze”.

Inoltre la riduzione dei posti di lavoro “ha anche un impatto negativo sul piano economico attraverso la progressiva erosione del capitale sociale”, perché “rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggiore profitto immediato è un pessimo affare per la società” (p.117).

Queste indicazioni conducono a una riflessione generale di evidente radicalità: “la realtà sociale del mondo di oggi, al di là degli interessi limitati delle imprese e di una discutibile razionalità economica esige che si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro” (p. 116, citazione dall’enciclica Caritas in veritate).

Nella concezione dell’enciclica, la crisi ecologica è una “manifestazione esterna della crisi etica, culturale e spirituale della modernità” (p.110), di un “eccesso antropocentrico”, per cui l’ essere umano si dichiara “autonomo dalla realtà e si costituisce dominatore assoluto” (p.108).

Questo “antropocentrismo deviato” conduce l’ essere umano “a dare priorità assoluta a i suoi interessi contingenti e tutto il resto diventa relativo …. dà luogo a uno stile di vita deviato”. È la stessa “patologia” che spinge una persona ad approfittare di un’altra, a trattarla come un mero oggetto … a sfruttarla”.

Più in generale è anche la logica di chi “afferma: lasciamo che le forze invisibili del mercato regolino l’economia perché i loro effetti sulla società e sulla natura sono danni inevitabili … È la stessa logica “usa e getta” che produce tanti rifiuti solo per il desiderio disordinato di consumare”.

“Allora non possiamo pensare che basteranno i programmi politici o la forza della legge a evitare i comportamenti che colpiscono l’ambiente… perché quando … non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare” (p.113).

  1. L’urgenza di un cambio di passo nelle relazioni internazionali

Queste indicazioni sono offerte con chiarezza e piena coscienza delle implicazioni sul piano delle scelte sociali e politiche.

Francesco ribadisce ancora una volta che la Chiesa “non pretende di definire le questioni scientifiche né di sostituirsi alla politica, “ma con le proprie indicazioni vuole fornire l’“invito ad un dibattito onesto e trasparente”, (p. 169) e “delineare dei grandi percorsi di dialogo che aiutino ad uscire dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando” (p.149).

Ma l’invito e i percorsi di dialogo contengono sollecitazioni circa le direzioni di marcia e richiami alla urgenza di un cambio di passo non privi di forte radicalità.
Nella parte finale della enciclica tali richiami si fanno più precisi e intervengono a interloquire direttamente con il dibattito pubblico sulle questioni essenziali, riguardo alle quali, come si riconosce esplicitamente, “è difficile raggiungere un consenso” (p.169).
Un primo richiamo riguarda la dimensione necessariamente globale dell’ azione, perché la interdipendenza del mondo attuale “obbliga a un solo mondo e a un progetto comune” (p.150).

“Così come la vita e il mondo sono dinamici, la cura del mondo deve essere flessibile e dinamica”; e le soluzioni non possono essere meramente tecniche né forzatamente calate in logiche di omogeneizzazione, perché “devono assumere la prospettive dei popoli e delle culture” (p. 134).

Per affrontare questi problemi “urgono accordi internazionali che si realizzino, considerata la scarsa capacità delle istanze locali di intervenire in modo efficace”, (p.157)1.

In tale prospettiva “le relazioni fra Stati devono salvaguardare la sovranità di ciascuno, ma anche stabilire percorsi concordati per evitare catastrofi locali che finirebbero per danneggiare tutti”.

Un appello, già attuale nel 2015 al tempo della Enciclica Laudato Si’, e oggi più che mai urgente, richiama alla necessità di avere istituzioni internazionali più forti e “quadri regolatori che impediscano azioni inaccettabili come il fatto che imprese o paesi potenti scarichino su altri paesi rifiuti e industria altamente inquinanti” (p. 156).

Questi fattori istituzionali devono essere sostenuti da una “reazione globale più responsabile, che implica affrontare contemporaneamente la riduzione dell’inquinamento e lo sviluppo dei paesi e delle regioni povere”.

  1. Modificare le politiche e le strutture produttive

Anche qui la riflessione di Francesco accomuna la preoccupazione per l’ambiente e per le questioni sociali.

Una ulteriore implicazione delle premesse di principio indicate nel testo conduce a configurare la protezione dell’ambiente non come un obiettivo isolato, ma come parte integrante del processo di sviluppo e delle strategie aziendali.

Si tratta di una sottolineatura non formale, ma che comporta una radicale innovazione nelle logiche economiche dei paesi e negli orientamenti produttivi delle imprese.
Ciò implica, specifica la Enciclica, “favorire modalità di produzione industriale con massima efficienza energetica e minore utilizzo di materie prime togliendo dal mercato i prodotti poco efficaci dal punto di vista energetico o più inquinanti” ; e per altro verso promuovere la produzione e lo sviluppo di energie rinnovabili “anche in forma cooperativa che permettono la autosufficienza energetica e persino la vendita della produzione in eccesso”.

Sollecitazioni in tale senso si trovano nelle dichiarazioni internazionali sull’ ambiente, a cominciare da quelle del vertice di Rio del 1992.

Questi orientamenti sono ora autorevolmente avallati dai nuovi articoli 9 e 41 della nostra Costituzione, che costituzionalizzano la tutela dell’ambiente, come sottolineano le interpretazioni dei commentatori che ne hanno esplorato le implicazioni per le nostre politiche pubbliche e per i rapporti di lavoro individuali e collettivi 2.

La ricerca di nuove forme produttive deve essere orientata al rispetto dell’ambiente e dei diritti sociali. L’Enciclica interviene puntualmente ribadendo che tali ricerche devono procedere congiuntamente su ambedue gli obiettivi.

Allo stesso fine gli studi di impatto ambientale devono “essere connessi con l’analisi delle condizioni di lavoro e dei possibili effetti sulla salute fisica e mentale delle persone, sulla economia locale, sulla sicurezza” (p. 165).

Le decisioni conseguenti dovrebbero “esser basate su un confronto ipotizzabili tra rischi e benefici per ogni possibile scelta alternativa e orientate dal principio di precauzione” (p. 168). Si tratta di indicazioni di grande portata per il nostro futuro, ancora lungi dell’essere completamente esplorate e implementate.

Orientamenti simili hanno ispirato, qualche anno dopo la pubblicazione della Enciclica, le direttive della Unione Europea che hanno previsto obblighi stringenti di rendicontazione di sostenibilità e di due diligence alle imprese e alle loro catene di valore, diretti a responsabilizzare le aziende nei confronti del rispetto dei diritti umani, della sostenibilità ambientale e della lotta all’emergenza climatica CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive, 2022/2464) e Directive Due Diligence (2024/1760).

  1. Riflettere sulle finalità dell’economia e sui limiti della crescita

Queste analisi conducono a conseguenze generali sui nostri modelli economici e sociali su cui si stanno interrogando da tempo le istituzioni internazionali ed europee: sono interrogativi su come “cambiare il modello di sviluppo globale… “e riflettere responsabilmente sul senso della economia e sulla sua finalità, per correggere le disfunzioni e distorsioni”.

L’ enciclica contiene una avvertenza rivelatrice dell’approccio radicale del messaggio: “Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si tratta di ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore non può considerarsi progresso”.

Questi insegnamenti sono oggi di particolare importanza, a fronte delle tensioni internazionali e delle spinte a rimettere in discussione le scelte in materia di tutela ambientale e sociale. Il messaggio del Pontefice dovrebbe ammonire le istituzioni europee affinché non regrediscano dalle decisioni coraggiose assunte nelle recenti direttive sulla sostenibilità.

Sulla base di queste premesse, il Papa affronta il tema, irrisolto e di bruciante attualità, dei limiti e della qualità della crescita: “In alcuni casi lo sviluppo sostenibile comporterà nuove modalità per crescere, in altri casi difronte alla crescita avida e irresponsabile che si è prodotta per molti decenni occorre pensare pure a rallentare un po’ il passo a porre alcuni limiti ragionevoli e anche a ritornate indietro prima che sia troppo tardi” (p. 173-174).

E aggiunge “è arrivata l’ora di accettare un certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti”.
Si tratta di affermazioni che intervengono nel dibattito mondiale con posizioni nette, non poco controverse e distanti dagli orientamenti comuni. In ogni caso che impongono di guardare con più coraggio e meno ipocrisia al grande tema della cooperazione internazionale per lo sviluppo.

  1. Tutela dell’ambiente e interesse delle future generazioni

La nozione di ambiente come bene comune implica necessariamente. Il coinvolgimento delle generazioni future e ci ricorda che non si può parlare di sviluppo sostenibile senza solidarietà fra le generazioni.

Si tratta di una indicazione precisa che di recente è stata raccolta dalla nostra Costituzione con l’integrazione dell’art. 9 che dà rilievo costituzionale alla tutela dell’ambiente, anche nell’interesse delle future generazioni.

La direttiva costituzionale, al pari dell’appello del Pontefice, sollecita le istituzioni pubbliche e l’impegno delle parti sociali a correggere quell’insieme di politiche economiche e sociali che negli anni hanno favorito una divaricazione fra le condizioni di giovani e anziani di crescente gravità, tale da mettere a rischio il patto generazionale che fino a ieri ha tenuto insieme le nostre società 3.

L’ appello del Papa ha anche qui implicazioni generali, non limitate agli aspetti economici: perché “quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare ai bambini che stanno nascendo ci riferiamo non solo all’ambiente in modo isolato … ma ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, ai suoi valori” (p. 146).

9. Il ruolo della politica per il bene comune

Alla fine della Enciclica non poteva mancare una riflessione sul ruolo della politica, rispettoso ma ancora una volta espresso senza ambiguità.

Il testo è netto nel sottolineare la necessità di “una politica che pensi con una visione ampia e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi …” e aggiunge: “se la politica non è capace di rompere una logica perversa e inoltre resta inglobata in discorsi inconsistenti, continueremo a non affrontare i grandi problemi dell’umanità” (p. 177).

“La gravità della crisi ecologica esige da noi tutti di pensare al bene comune e di andare avanti sulla via del dialogo che richiede pazienza, ascesi e generosità, ricordando sempre che “la realtà è superiore all’ idea” (citazione da Evangelium gaudium).

Tiziano Treu

1 Sui limiti e sulla vitalità delle organizzazioni internazionali Papa Francesco si esprime anche nella Enciclica Fratelli tutti, p.175.

2 Cfr. A. Morrone, La Costituzione del lavoro e dell’ambiente. Per un nuovo contratto sociale, DLRI, 2022, p. 531 ss.; R. Bifulco, La legge costituzionale: problemi e prospettive, in AGE, 1/2022, p. 7 ss.

3 Cfr. T. Treu, Protezione sociale ed equilibrio intergenerazionale, Riv. Corte dei Conti, 2018, p. 324 ss.

Tiziano Treu

Tiziano Treu

Presidente CNEL

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