Mario Ricciardi – Docente di Relazioni Industriali all’Università di Bologna
1. L’ipotesi di accordo tra Aran e sindacati siglata il 25 luglio 2001 (e, per ora, in attesa della certificazione della Corte dei Conti: solo dopo averla ottenuta, infatti, si potrà procedere alla firma definitiva), costituisce, nel suo insieme, il recepimento nel comparto scuola dell’accordo quadro su conciliazione e arbitrato firmato, in via definitiva, il 23 gennaio di quest’anno.
Occorre ricordare che il contratto-quadro in questione, per struttura e contenuti, è immediatamente applicabile in tutti i comparti del pubblico impiego, e come tale non avrebbe avuto bisogno di accordi applicativi. Tuttavia, la stipula dell’accordo del 25 luglio si è resa necessaria per due ragioni, una d’opportunità e una di merito. Quella d’opportunità sta nel fatto che non sempre le amministrazioni e i lavoratori, soprattutto a livello periferico, hanno l’esatta percezione del complesso castello normativo costruito in questi anni dalla contrattazione collettiva nel lavoro pubblico. E’ più volte accaduto, in questo quadriennio, che materie che la contrattazione collettiva di comparto aveva consegnato a specifiche sequenze contrattuali (è il caso dei rapporti di lavoro flessibili, e, appunto, dell’arbitrato) siano state poi disciplinate da accordi-quadro immediatamente applicativi, con il risultato d’ingenerare forse qualche incertezza a livello decentrato: incertezza che l’esplicito recepimento della normativa-quadro nei contratti di comparto può sicuramente dissolvere.
La ragione di merito è che le parti, in considerazione della complessità e delle specificità del contenzioso esistente nel comparto scuola, hanno voluto aggiungere,alle procedure esistenti, un ulteriore marchingegno normativo valido soltanto per i lavoratori della scuola.
2. Il tema della conciliazione e dell’arbitrato ha rappresentato e tuttora rappresenta, per molti aspetti , una delle ‘sfide’ più importanti di una legislatura (la 13^) e un quadriennio contrattuale, quello che sta per chiudersi, caratterizzati da un elevato grado di innovazione un po’ in tutte le materie del lavoro pubblico. Uno dei passaggi più importanti della riforma delineata dal d.lgs. 29/93, era infatti rappresentata dal passaggio della giurisdizione sui dipendenti pubblici dal giudice amministrativo a quello ordinario. Tale passaggio, se costituisce un indispensabile completamento della cosiddetta ‘privatizzazione’ del pubblico impiego, presenta tuttavia incognite di non poco conto. Spostare il contenzioso dei dipendenti pubblici sulla giustizia ordinaria significa infatti aggravarne ulteriormente lo stato di salute, non certo buono: già sul finire degli anni novanta era possibile osservare l’eccessiva lunghezza delle cause di lavoro (due anni in media, già in primo grado), e la scarsa attitudine della conciliazione obbligatoria a funzionare da filtro efficiente rispetto al ricorso al giudice.
Per queste ragioni le più recenti modifiche del decreto 29 hanno cercato di adottare adeguate contromisure, attraverso il potenziamento della conciliazione e la promozione di forme alternative di risoluzione delle controversie di lavoro in ambito pubblico. Così, gli artt. 65 e 66 (ex 69 e 69bis) del decreto 29 tracciano nuovi percorsi per la conciliazione: che può svolgersi ‘con le procedure previste dai contratti collettivi’, ovvero con le modalità previste dall’art. 66. Il collegio di conciliazione, istituito presso la direzione provinciale del lavoro a norma dell’art. ora citato, è presieduto dal direttore della Direzione stessa, e composto da un rappresentante del lavoratore e uno dell’amministrazione. La procedura è snella: entro trenta giorni dalla richiesta, l’amministrazione deposita presso la Direzione osservazioni scritte. Entro i dieci giorni successivi il presidente fissa la data della comparizione delle parti. Se il tentativo riesce, si redige apposito verbale, che costituisce titolo esecutivo. Se non riesce, il collegio formula una proposta, e di tale proposta, e delle posizioni delle parti, deve restare comunque memoria scritta.
Fin qui, la legge. Com’ è noto, però, la contrattazione collettiva, raccogliendo gli spunti e le aperture provenienti proprio dal legislatore, si è spinta assai oltre, fino a disegnare un vero e proprio sistema alternativo e ‘privato’ di composizione delle controversie di lavoro, con il già ricordato accordo quadro del 23 gennaio 2001, che introduce, in prima assoluta per il nostro ordinamento, l’istituto dell’arbitrato nelle controversie di lavoro. L’accordo è abbastanza complesso, e in questa sede non si può che rinviare ai numerosi commenti subito apparsi, in merito, nella stampa e nelle riviste specializzate.
In sintesi, le idee guida che hanno ispirato gli autori dell’accordo sono state le seguenti: rapidità e semplicità delle procedure, minimo possibile di orpellli burocratici, convenienza economica a ricorrere all’arbitro, sia per i lavoratori che per le amministrazioni, rispetto delle norme dei contratti collettivi, gestione congiunta, tra Aran e sindacati, delle principali decisioni riguardanti la gestione post-accordo della materia.
L’accordo del 23 gennaio prevede, com’è noto, che le controversie di lavoro possano svolgersi, per volontaria decisione delle parti, davanti ad un arbitro scelto di comune accordo, o, qualora manchi l’accordo sul nome, estratto a sorte da una lista di esperti, predisposta presso ogni direzione regionale del lavoro. La procedura arbitrale è assai semplice, rapida e poco costosa. Tutte condizioni, queste, necessarie per renderla per dir così competitiva , quanto ai tempi e ai costi, anche se doverosamente non meno seria ed affidabile, rispetto al ricorso al giudice. Un aspetto fortemente innovativo dell’accordo è che, al fine di rendere più spedita la procedura, ma anche di rafforzare l’istituto della conciliazione, questa si svolge, quando le parti abbiano scelto di rivolgersi all’arbitro, davanti all’arbitro stesso, e non con le già menzionate procedure di legge. Ciò configura, in sostanza, un percorso interamente gestito in una logica privatistica e consensuale, alternativo, dunque, a quello burocratico/giudiziario,.
3. Per risolvere i problemi del contenzioso che li riguarda, i lavoratori della scuola dispongono, dunque, come tutti i lavoratori pubblici, delle due opzioni (quella ‘pubblica’ e quella ‘privata’) cui abbiamo finora accennato. Va detto, però, che per molti aspetti la situazione del contenzioso è qui assai più aggrovigliata che negli altri settori.
Le cronache più recenti, soffermandosi sulle complicate vicende riguardanti il reclutamento degli insegnanti, e gli sforzi per portare a compimento le nomine entro l’inizio delle lezioni, hanno mostrato a tutti alcune caratteristiche della ‘macchina scolastica’ italiana: una ‘macchina’ che mette insieme dimensioni gigantesche ed inveterate abitudini centraliste, e vive oggi una forte contraddizione tra l’aspirazione al decentramento ed all’autonomia, e il sopravvivere di regole pre-moderne. Appare evidente il legame tra i problemi dell’assetto organizzativo e il formarsi del contenzioso: la sua deflazione (almeno per quanto riguarda assunzioni e mobilità), dipende infatti anche dalla realizzazione di una politica del personale che lasci più spazio all’autonomia delle istituzioni scolastiche, e dalla creazione di un sistema di carriere e di incentivi capaci di modificare, in direzione più ‘verticale’, e meno ‘orizzontale’, più flessibile e meno burocraticamente garantista, le dinamiche del mercato del lavoro interne al settore.
Il compito di modernizzare il sistema, già iniziato nella 13^ legislatura, appare difficile quanto indispensabile: l’accordo sulla conciliazione non può ovviamente presumere di risolvere i problemi alla radice, ma solo dare un piccolo contributo in questa direzione.
Tralasciando di commentare gli artt. 3 e 4 dell’intesa, che si limitano a richiamare sinteticamente gli aspetti principali del già menzionato accordo quadro su conciliazione e arbitrato, peraltro integralmente recepito nella norma finale, la parte più interessante dell’ ipotesi di accordo risiede nell’art. 1 che delinea una ‘terza via’ (oltre a quella prevista dalla legge, e quella prevista dall’accordo sull’arbitrato) per la conciliazione delle controversie di lavoro.
Occorre ricordare che gran parte delle controversie che nascono nel comparto scuola riguardano i problemi della mobilità, cioè dei trasferimenti (per lo più volontari) tra le scuole di diverse province, o della stessa provincia. In questo campo, ogni anno si consumano vasti psicodrammi, attorno alle graduatorie che, venendo o meno incontro alle richieste di trasferimento degli insegnanti, erogano o negano uno dei pochi benefits di cui può godere una categoria priva, ancor oggi, di avanzamenti per merito e di sbocchi di carriera. Tutto questo si somma al sopravvivere di strumenti di soluzione del contenzioso per via burocratico amministrativa apparentemente garantisti, ma in realtà soggetti a lunge trafile burocratiche.
L’accordo del 25 luglio cerca di rendere più semplice e rapida la gestione del contenzioso che ne deriva. L’articolo uno dell’accordo prevede che il tentativo obbligatorio di conciliazione, oltre che con le due modalità sopra ricordate, possa svolgersi, in alternativa, presso appositi uffici istituiti presso le articolazioni territoriali del Ministero dell’istruzione, uffici cui spetta il compito di funzionare come segreteria tecnica per la conciliazione oltre che come luogo presso il quale sono resi pubblici, mediante l’iscrizione a un albo, gli atti della procedura. La conciliazione avviene, insomma, a livello decentrato, in sedi che hanno una consolidata esperienza di gestione dei problemi su cui verte il contenzioso.
La richiesta del tentativo di conciliazione deve essere depositata presso l’ufficio del contenzioso dell’amministrazione, e presso la segreteria tecnica, entro un termine che, per quanto riguarda mobilità e assunzioni, non deve superare i quindici giorni dalla pubblicazione o dalla notifica dell’atto che si ritiene lesivo. La richiesta deve indicare, tra l’altro la sommaria esposizione dei fatti, e delle ragioni del ricorrente, oltre all’eventuale indicazione di un rappresentante.
A questo punto, l’iniziativa passa all’amministrazione, che può, in una prima fase , accettare senz’altro le pretese del lavoratore. In caso contrario, l’amministrazione stessa deposita le proprie osservazioni presso la segreteria, e nomina contestualmente un suo rappresentante con potere di conciliare. L’ufficio di segreteria fissa, a questo punto, la data della comparizione delle parti entro i dieci giorni successivi, ed entro ulteriori cinque giorni il tentativo di conciliazione deve concludersi.
La procedura è, come si vede, semplice. Vi è tuttavia, nel caso in cui al controversia riguardi le materie della mobilità e delle assunzioni, un problema non marginale, quello dei terzi cointeressati. Per loro natura, le decisoni sulle materie predette non riguardano, infatti, quasi mai soltanto gli interessi del ricorrente, ma toccano direttamente altri soggetti collocati, ad esempio, nella stessa graduatoria. Si tratta di un problema complesso, che l’accordo affronta prevedendo che la richiesta di conciliazione resti pubblicata all’albo dell’ufficio di segreteria per dieci giorni, sì da permettere ai cointeressati di far pervenire all’amministrazione eventuali osservazioni. Ciò non esclude, naturalmente, possibili impugnazioni successive della decisione, ma dovrebbe consentire all’amministrazione (e al ricorrente) di verificare da subito quali e quanti interessi possono essere coinvolti, e cercare di ‘compensarli’, per dir così, già in sede di conciliazione.
Se il tentativo di conciliazione riesce, le parti sottoscriveranno un processo verbale, che sarà poi sottoposto al giudice del lavoro competente, per la dichiarazione di esecutività
In caso di mancato accordo, si stilerà un verbale di mancata conciliazione. Trattandosi di una procedura in cui manca il soggetto super partes previsto invece nelle altre procedure (arbitro unico, o collegio di conciliazione) non potrà esservi, in questo caso, alcuna proposta in extremis per la soluzione bonaria della vertenza, ma il verbale, siglato dalle parti, sarà senz’altro depositato presso la competente direzione provinciale del lavoro.