Confindustria è tornata prepotentemente sulla scena. Non nel modo migliore. Non perché ha ricucito il tessuto delle relazioni industriali, profondamente lacerato. Non perché ha ripreso un rapporto stretto e costruttivo con le altre organizzazioni imprenditoriali. Ma perché è stata attaccata da destra e sinistra, tutti a chiedere che sia sciolta, sia ridimensionata, cambi strada. Il che è un po’ paradossale, ma del resto in linea con un paese sull’orlo del default (nonostante sia economicamente molto forte) il cui presidente del consiglio, pressato da tutte le parti perché vari qualche provvedimento per la crescita, prima promette finalmente un “decreto sviluppo”, poi afferma che non è urgente e ci si può pensare con calma. Un paese che sembra aver smarrito non solo la più elementare strategia politica ed economica, ma perfino il buon senso.
Confindustria è stata attaccata perché, invece di stare buona in un angolo ad aspettare che fossero i grandi (cioè il governo e la maggioranza che lo sostiene) a decidere come resistere alla crisi economica, si è permessa di alzare la testa, chiedere a gran voce una qualche scelta di politica economica, dicendo che in assenza di queste decisioni il governo dovrebbe allora forse fare un passo indietro. Eppure non è un’eresia, è quanto stanno dicendo praticamente tutti in questo paese, e purtroppo anche fuori di questo. Ma Emma Marcegaglia non l’aveva mai detto finora, si era limitata a chiedere, senza minacciare più di tanto. Nel momento in cui ha passato il Rubicone, tutti si sono scagliati a reclamarne la testa.
E così in tanti sono arrivati a chiedere perfino l’uscita da Confindustria delle imprese pubbliche, quelle controllate dal ministero dell’Economia. Non è stata l’uscita estemporanea di pochi, per lo più poco istruiti, è stato un attacco concentrico ben organizzato, che è andato avanti, e sta andando avanti nonostante sembri e sia una vera sciocchezza. Si vuole rifare l’Intersind? C’è da rimanere interdetti. L’Intersind nacque dalla politica dopo la scelta degli industriali di ostacolare la nascita del centrosinistra. Ma allora c’erano state azioni precise degli industriali, appunto tutte politiche. I quali, riunendo attorno a loro gli agrari, gli artigiani e i commercianti, avevano formato la Confintesa, un’organizzazione politica precisa, che doveva combattere l’apertura ai partiti della sinistra, tanto che alla fine, prima della sua fine ingloriosa, presentò perfino dei candidati alle elezioni politiche per avere una sua voce in Parlamento (e non riuscì nemmeno ad averli). E comunque dietro la nascita dell’Intersind c’erano delle ragioni tecniche, perché nel campo delle relazioni industriali questa associazione doveva portare, e portò avanti una diversa linea di relazioni industriali, aperta al dialogo quando gli industriali privati erano su tutt’altra linea.
Qui non c’è nulla di tutto ciò. Non ci sono ambizioni politiche, non c’è motivazione tecnica di fondo, non c’è nulla. C’è solo la presidente Marcegaglia che si permette di dire che il governo deve governare, che l’Italia è priva di una politica economica. Si accusano gli industriali di non investire, ma si accusa la Confindustria del fatto che non esiste una vera politica industriale in questo paese da venticinque anni almeno, una politica capace di spingere gli imprenditori a investire: dimenticando che la politica industriale la devono fare il governo e il Parlamento, non gli industriali.
La Confindustria viene accusata di aver sottoscritto un accordo sulla contrattazione con la Cgil, causando per questo un danno alle aziende che vorrebbero invece andare per altre strade, come ha fatto la Fiat. Si dimentica che l’accordo con la Cgil è stato fatto perché questa confederazione ha aderito alle tesi della Confindustria sull’opportunità di spostare il baricentro delle relazioni industriali dal contratto nazionale a quello decentrato. Si dimentica che in questo modo si sono poste le basi per una vera pace sociale, che è uno dei primi presupposti per avere sviluppo e condivisione. Si dimentica che è stato il governo, con l’articolo 8 del decreto sulla manovra, a riaprire le ferite, perfino quella sull’articolo 18 dello Statuto, adducendo il pretesto di una richiesta esplicita della Bce, che, è emerso leggendo finalmente la famosa lettera Draghi-Trichet, non ha mai chiesto quello che il governo ha fatto o voleva fare.
Si chiede lo scioglimento di Confindustria, e quindi di tutti i corpi intermedi, scordando come questi siano indispensabili per la soluzione dei grandi problemi della società. Si indica al pubblico ludibrio la concertazione, scordando come sia servita a salvare il paese quando i partiti politici si erano dissolti, e come questa costituisca solo un sistema per meglio governare le società complesse.
Sembra si stia impazzendo, ma non c’è da stupirsi. Siamo davvero alla fine dell’impero, e, lo ripeto, i barbari sono già nelle stanze del potere.
Massimo Mascini