Cosa si intende per “contrattazione di prossimità”, termine fin qui sconosciuto? E’ la vecchia contrattazione aziendale o territoriale, con significative novità:
1) i soggetti sottoscrittori sono da un lato le associazioni sindacali (da notare che sono precedute dalla preposizione semplice “da” e non da quella articolata “dalle”, a perdurante conferma del favore del legislatore per intese separate); ma la cosa interessante sono le rappresentanze aziendali, definite così senza ulteriore qualificazione. Ciò sta a significare che sia un sindacato non rappresentativo (ad es. firmatario di un CCNL pirata), sia un soggetto esclusivamente aziendale assurgono a soggetti firmatari di intese che prescindono, potenzialmente, dalle disposizioni di legge e/o di CCNL.
2) non esiste più alcun legame gerarchico tra questa contrattazione e il CCNL (e la legge, come si vedrà). Per come è scritta la norma si può leggere anche in senso migliorativo, oltreché derogatorio: a riprova della follia ideologica dell’estensore, l’unica certezza è la confusione, il che è l’esatto contrario di quanto asseriscono i sostenitori della norma. Al contrario di quanto previsto dall’intesa del 28 giugno, in cui la gerarchia delle fonti era confermata (punti 2 e 3), e solo in via transitoria (punto 7) si prevedeva che le intese raggiunte in azienda, con l’esplicita presenza e adesione di tutte le sigle sindacali territoriali oltre alle RSA/RSU, potessero modificare le previsioni contrattuali (mai di legge) in essere con le procedure di validazione ivi previste e ulteriormente specificate nell’intesa endosindacale che la accompagna.
3) su quali materie è esercitabile la “contrattazione di prossimità” così definita? L’elenco (art.8, comma 2) è interessante, perché esplicita la filosofia dello “Statuto dei lavori”, creatura mai esplicitamente esistita ma sempre aleggiante nelle azioni del Ministro del Lavoro. In esso si sosteneva potersi individuare una bipartizione delle normative lavoristiche, identificabili in un nucleo di diritti e norme inderogabili, e il restante da rimettere alla libera contrattazione delle parti, esercitabile senza alcuna gerarchia tra le fonti. Miracolosamente, il legislatore nell’articolo 8 non si misura con la prima parte, forse sembrandogli compito superfluo, mentre indica cosa sia nella disponibilità delle parti: ebbene, scorrete l’elenco e trovate cosa ne è escluso:
“Materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione incluse quelle relative [ergo non solo quelle, ma certamente quelle]:
a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; vuol dire poter derogare all’art. 4 e 9 dello Statuto, e rendere almeno più debole la facoltà della contrattazione di incidere sugli aspetti legati alla privacy e alla dignità del lavoratore, il riferimento all’introduzione di nuove tecnologie equivale ad una delega in bianco per ogni cambiamento organizzativo;
b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; si pensi alle conseguenze che potranno aversi sui sistemi di classificazione, o sulla trasferibilità/riconoscimento delle competenze del lavoratore in caso di cambio d’impresa, in assenza di un quadro generale cui attenersi per eventualmente adeguarlo alla realtà specifica. E come si regolerà la competizione tra imprese se ognuna potrà congegnarsi il sistema d’inquadramento più adatto?
c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; vedi sopra; senza criteri generali, da adattare certamente alle singole realtà produttive, ciò che predominerà sarà la ricerca, continua e senza fine, del costo minore per prestazioni analoghe, con deroghe che immediatamente diventano la norma da cui derogare ulteriormente;
d) alla disciplina dell’orario di lavoro; anche qui, ha senso derogare dalla durata massima peraltro alla cui definizione legislativa rinvia un preciso articolo della Costituzione?
e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio; si faccia attenzione al termine “disciplina”, sottolineato sopra: non esiste argomento che esuli dal concetto di “disciplina del rapporto di lavoro”, il che significa, al termine di questa brevissima analisi, che non esiste più alcuna riserva di legge o di contrattazione collettiva nazionale che sia al riparo dall’azione derogatoria dei soggetti definiti al comma 1, salvo il licenziamento discriminatorio (di solito provabile con estrema difficoltà) o quello della lavoratrice in concomitanza con il matrimonio (anche qui si è scelta la versione più restrittiva). Che poi si condisca il tutto con la, possibile, inclusione di forme di lavoro tuttora considerate autonome nell’ambito di applicazione dei “contratti di prossimità” rende solo più ipocrita la riduzione di tutele per il lavoro datoché se si fa rientrare la disciplina del ricorso alle collaborazioni nella titolarità della contrattazione allora si dovrebbe concludere per la generalizzazione a tutti, a prescindere dalla forma giuridica, delle tutele previste per il lavoro subordinato ( a partire dalla giustificazione del recesso e sua sanzionabilità in base all’art.18 St.Lav., per finire agli ammortizzatori sociali), il che è l’esatto contrario di quanto inteso dal Ministro! Ergo lo Statuto dei lavori per come lo si vorrebbe realizzare con il DL138/11 si traduce nell’infinita derogabilità aziendale di ogni norma di tutela, a partire ma non limitatamente all’articolo 18 St.Lav., in contrasto evidente con il dettato costituzionale (artt. 1, 3, 35 e sg. Cost.), ad opera di soggetti privi di alcuna legittimazione.
A questo punto le domande sono semplici:
• che senso ha l’inclusione di queste norme che non portano alcun beneficio alla finanza pubblica (lo dice la Relazione Tecnica al provvedimento, non noi)?
• Come si può giustificare questo intervento definendolo un “sostegno alla contrattazione” quando stravolge l’esito dell’intesa del 28 giugno tra le parti, e dopoché le parti stesse avevano rivendicato nei confronti del governo la loro esclusiva titolarità per queste materie? Al riguardo sarebbe interessante che questa affermazione, fatta a nome di tutti dalla Presidente di Confindustria prima dell’emanazione del decreto, fosse riconfermata anche dopo da parte degli stessi attori sociali, invece che stigmatizzare il comportamento coerente della Cgil;
• Che senso può avere un sistema di relazioni dove tutto è il risultato dei rapporti di forza, e la contrattazione può derogare in modo competitivo su diritti e tutele? Che fine fa il requisito di eguaglianza che dovrebbe stare a cuore anche ai cosiddetti liberali?
• Infine, che parabola ha compiuto la cosiddetta “legislazione di sostegno all’attività sindacale” se ora la si vorrebbe finalizzare alla riduzione dei diritti quale “attrattiva per gli investimenti e la crescita occupazionale”?
4) Il resto delle misure, dalla copertura retroattiva delle intese separate di Mirafiori e Pomigliano, alla possibilità per le imprese o i gruppi d’impresa di istituire “reparti confino per disabili” sono ulteriori vergogne che uno studente di legge del 1° anno non arrischierebbe neppure di sostenere.
5) Infine, ma non per importanza, l’art.11 interviene su materie, come i tirocini, che lo stesso Ministro, nel Testo Unico dell’apprendistato, aveva riservato ad un tavolo congiunto con Governo, Regioni e parti sociali, di fatto rendendolo superfluo. Altro bell’esempio di rispetto per l’autonomia delle parti.
Ne consegue, da quanto ho tentato di dire, che l’unica cosa possibile è di chiedere la soppressione degli articoli 8 e 9.
Claudio Treves
Cgil nazionale

























