Il recente accordo FCA /PSA suggerisce due considerazioni.
La prima riguarda, per usare un basilare concetto di Marx, la concentrazione; la tendenza intrinseca del mercato alla concentrazione oligopolistica, concentrazione in poche mani, che fa apparire la concorrenza, valore fondante della ideologia mercatista, come un fervorino adatto a catechizzare gli studenti alle prime armi di Economia Uno.
La seconda, la cosiddetta funzione sociale dell’impresa, ridotta ad annegare strumentalmente nella logica monarchica dell’impresa, una qualsiasi autonomia del lavoro: da qui la presenza simbolica dei lavoratori nei Consigli di Amministrazione.
Vi ricordate una grande intervista di Marchionne, primo leader della Fiat Mondiale? Marchionne -parce sepulto- si definiva un metalmeccanico. Un metalmeccanico, alla guerra della mondializzazione dei Mercati. Alla Felpa Fiom di Landini, la divisa da metalmeccanico di Marchionne.
Metalmeccanico come l’ultimo dei fanti della Fiat. Tutti votati a tale guerra di sopravvivenza, guerra all’ultimo sangue.
In tale tipo di guerra assume rilevanza decisiva la tenuta del fronte interno, il consenso senza problemi in primo luogo dei lavoratori.
Da questa esigenza strategica, deriva la prima scelta: l’uscita dai vincoli dei contratti nazionali, cioè i lavoratori Fiat si costituiscono come un corpo a sé, abbandonando il resto dei lavoratori al loro destino; una seconda scelta, una ulteriore immedesimazione nelle scelte della Direzione Strategica con la simbolica presenza nel Consiglio di Amministrazione; una terza scelta -si accettano scommesse- sarà la distribuzione in qualche forma privilegiata di azioni ai dipendenti.
Terza scelta che l’altra nostra impresa mondiale, la Luxottica, sta già praticando. Alla chiusura del cerchio avremo una piena Aziendalizzazione dei lavoratori e del Sindacato. Un Sindacato su Misura, un Sindacato Embedded, al seguito, come devono essere i fantaccini in tutte le guerre.
Tanto poi, se la guerra si perderà, l’alibi è già pronto: la scarsa combattività cioè produttività della truppa.
Come faceva Cadorna.
Ma perché tanti sindacalisti esultano? Come è possibile scambiare una operazione egemonica dell’Impresa, nella apertura di un avanzamento della cosiddetta strategia della Partecipazione, della Democrazia Economica?
Il doppio cervello del Sindacalista. Più o meno consapevolmente, in questi anni si è realizzata, nella testa del sindacalista, una forma particolare di mutazione: un doppio cervello.
La ragione strutturale a cui ricondurre tale mutazione sta in un cambiamento- ancora non indagato a sufficienza-, della struttura della contrattazione, attività primaria del sindacato: l’affermarsi cioè nella pratica empirica della contrattazione del fenomeno sempre più diffuso dei Fondi.
Fondi previdenziali, Fondi Sanitari, nazionali, aziendali, di categoria, di territorio ecc.
Tali Fondi, sono diventati di fatto, parte costituente, essenziale della strategia senza riflessione strategica della vita quotidiana del Sindacato.
I fondi assorbono buona parte delle risorse contrattuali (scarse per via della stessa mondializzazione dei mercati), e poggiano su due elementi:
a) una forma essenziale di facilitazione fiscale, con il fisco che viene a svolgere una funzione regressiva, (chi paga le tasse, anche se sta peggio (e non può farsi il fondo) sostiene i fondi anche di chi sta meglio, anche nel mondo del lavoro.
(Gabanelli sostiene che con le varie forme di sostegno ai fondi sanitari esentasse-con risorse pubbliche di cui esistono solo stime approssimative, ma in crescendo, paradossalmente si destruttura la Sanità pubblica, vengono cioè meno al Fondo Nazionale sanitario già vari miliardi di entrate allo Stato);
b) la necessità imperiosa per il Sindacato di gestire in termini vantaggiosi tali fondi, diventati sempre più consistenti.
Essendo la natura di tali fondi naturalmente finanziaria, la gestione di un prodotto finanziario richiede una forma mentis speculativa. Speculativa non in senso filosofico ma finanziario.
Sindacalmente si tratta di una metamorfosi, di una trasformazione profonda, in primo luogo di una cultura sindacale: sinteticamente, avanza nei fatti una forma/sindacato nuova, ma di sapore antico, il ritorno delle Gilde al posto del Sindacato Confederale.
Una forma-sindacato, che in controtendenza rispetto al procedere della rivoluzione informatica- rivoluzione che erode quotidianamente per via tecnologica i confini della antica categoria professionale fissati merceologicamente,- fa perno sul corpo eroso quotidianamente della vecchia categoria, dotandola di ulteriori attribuzioni e benefici contrattuali; fa capolino, come compimento di pratica dei Fondi, la rivendicazione della esenzione fiscale degli aumenti contrattuali.
Le conseguenze materiali di tale fenomeno -se non contrastato e invertito politicamente- sono inevitabili: il sindacato, baluardo confederale contro le diseguaglianze, si trasforma esso stesso a livello di azienda e di categoria in agente propagatore, per sua logica interna, della diseguaglianza. Una forma di protezionismo del lavoro più forte. Una nuova specie di “aristocrazia operaia”.
La questione della Democrazia Economica, della socializzazione delle decisioni di investimento, come sosteneva Keynes negli anni trenta, è diventato un tema oggettivamente centrale.
Sia la rivoluzione informatica che l’esplosione della crisi del 2007 sono a riproporcelo quotidianamente, attraverso sia le grandi questioni delle delocalizzazioni ,del modello di sviluppo, che del senso e della alienazione del lavoro e dei modelli e forme occupativi a livello di impresa.
Le esperienze più avanzate in Occidente della Democrazia economica, sono state i Consigli di Gestione del dopoguerra, la Proprietà Pubblica delle Imprese, le PPSS; la Mitbestimmung tedesca; il piano Meidner svedese, la prima parte dei contratti del sessantotto italiano; il piano di impresa di B.Trentin.
Riprendere l’offensiva su tale tema è assolutamente urgente, proprio mentre lo stesso Governo -premuto anche da vicende concretissime come Ilva, Autostrade, Alitalia, Unicredit, ecc promette un suo rilancio politico-programmatico.
Tra tutte queste esperienze, una esperienza da studiare è rappresentata certamente dalla Mittbestimmung tedesca, se non altro per la sua vigenza concreta in un grande paese europeo come la Germania.
Fermarsi alla presenza, per giunta simbolica, dei lavoratori nei Consigli di Amministrazione fa un po’ sorridere: non solo perché a proposito della democrazia delle Società per Azioni torna a mente la celebre battuta di Enrico Cuccia -Le azioni si contano ma soprattutto si pesano-, ma perché mentre perfino negli Stati Uniti il Socialismo è diventato tema di attualità politica, in Italia qualcuno può pensare di far rientrare nel grande questione della Democrazia Economica uno dei più banali strumenti della ideologia della subalternità del lavoro del capitalismo americano, anglosassone?
Per di più in ritardo di un’epoca.
Luigi Agostini