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Home - Approfondimenti - Analisi - Scuola-lavoro, come colmare il gap Italia-resto del mondo

Scuola-lavoro, come colmare il gap Italia-resto del mondo

di Alessandra Servidori
27 Giugno 2017
in Analisi
Scuola-lavoro, come colmare il gap Italia-resto del mondo


All’Universita’ di Modena una giornata di riflessione  per capire come mettere in sinergia il mondo dell’istruzione e della formazione con quello del lavoro. Tra gli interventi, quelli del ministro Fedeli, del presidente della Commissione Lavoro del Senato Sacconi e del rettore Andrisano.

Mettere in sinergia il mondo dell’ istruzione e formazione  e quello lavorativo, per arrivare a colmare il gap creatosi negli anni fra l’Italia e gli altri stati europei e per cogliere l’opportunità della stagione della digitalizzazione e dello sviluppo.  Questi gli obiettivi  del nuovo sistema di alternanza scuola-lavoro, delle nuove linee guida dei tirocini   introdotti  con la riforma della Buona scuola, al centro  di un incontro che ha visto protagonisti, presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Modena e Reggio  Emilia organizzato da Ceslar, il Senatore  Maurizio Sacconi, presidente della Commissione Lavoro del Senato, il ministro dell’istruzione Valeria Fedeli e il Rettore Angelo Andrisano.

L’Italia è il paese con il numero di giovani disoccupati o inattivi più alto d’Europa ed in particolare una disoccupazione giovanile che si attesta al 40%. Un trend che bisogna assolutamente invertire, anche grazie ad un approccio diverso da parte del mondo scolastico, universitario e il mondo delle imprese. L’incontro ha avuto il patrocinio di Arkigest, azienda italiana leader nell’offrire soluzioni per la gestione integrata delle risorse umane e consulenza organizzativa con ricerca e selezione dei talenti,gestione dei percorsi lavorativi,servizi per la sicurezza sul lavoro delle persone e delle aziende. Una convergenza di analisi e di proposte è il risultato dell’incontro, in estrema sintesi, che si è potuto cogliere dai contributi dei tre relatori. Dall’esigenza di puntare le risorse  e l’attenzione al territorio e a quelle che sono le ottime buone prassi che dall’Emilia Romagna e dal sistema istruzione/formazione/imprese che da entrambe le sedi accademiche di Modena e Reggio Emilia si colgono già nei fatti, alla rinnovata attenzione ai docenti per un impegno concreto per l’occupabilità dei propri studenti, realizzando una funzione ritenuta insostituibile: quella di facilitare il passaggio dall’ università al mondo del lavoro che già la legge Biagi aveva colto, coniugando flessibilità del lavoro  e  sistema universitario (e a quello scolastico più in generale), muovendo un ruolo chiave nella costruzione dei presupposti di un vero e proprio sistema dell’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro.

L’obiettivo è quello di concretizzare una leva strategica per ripensare l’intera offerta formativa degli atenei, responsabilizzando altresì i singoli docenti nell’orientamento dei giovani e nella valorizzazione dei loro talenti attraverso forme innovative di didattica, come il metodo dell’alternanza e l’apprendistato universitario. Sullo sfondo, l’idea di una formazione non più nozionistica e anche l’obiettivo di contribuire a superare il disallineamento tra le competenze richieste dalle imprese e quanto insegnato nelle aule delle nostre università con la proposta del Rettore Andrisano di sdoganare le lauree professionalizzanti, ora contrapposte ad altri percorsi formativi legati agli istituti professionali. 

Il ministro Fedeli e il Senatore Sacconi hanno condiviso l’obiettivo di  placement universitario  indispensabile non solo per far funzionare sportelli per gli studenti di incontro tra loro e il mondo delle imprese e dunque dei lavori, ma  come strumenti di occupabilità e  percorsi   di crescita e sviluppo integrale della persona che porta i giovani a essere padroni del loro destino in quanto attrezzati per le sfide del futuro: anche perché non formati su nozioni e  mestieri già evanescenti  non appena si affacceranno nel mercato del lavoro. Giovani occupabili perché preparati dai loro docenti a individuare e risolvere i problemi che via via incontreranno nella vita professionale forti di una consapevolezza di chi sono e di cosa vogliono, delle loro potenzialità e dei loro talenti così come dei lori limiti e delle lacune su cui migliorarsi. Una università dunque che offre ai propri studenti un percorso interdisciplinare molto innovativo alla base del quale ovviamente vi è anche la nuova formazione dei docenti.

Le nuove linee guida sui tirocini pongono serie perplessità,  poiché introducono  una generale liberalizzazione di percorsi di tirocinio per la durata di un anno e senza alcun collegamento sostanziale col mondo scolastico e universitario. Secondo le linee guida del 2013 e fino ad oggi il tirocinio di formazione e orientamento (rivolto ai giovani entro i primi 12 mesi dal conseguimento di un titolo di studio) aveva una durata massima di 6 mesi, oggi questo limite scompare e per tutte le tipologie di tirocinio si passa a un anno. Sarà possibile proporre ad un giovane neolaureato o neodiplomato un tirocinio di un anno intero ad un costo minimo di 300 euro per le imprese. Se consideriamo che spesso oggi i giovani sono costretti a svariati tirocini prima di poter firmare un vero contratto di lavoro, si coglie l’enorme rischio di questa disposizione che finisce con il penalizzare uno strumento importante, per le imprese e non solo per i giovani, come l’apprendistato che, a differenza dello stage, è un vero contratto di lavoro.

Sbagliata, dunque, l’impostazione che rischia di demotivare i nostri giovani talenti e un suggerimento alle regioni di modificare tramite i loro bandi di recepimento delle linee guida   ancora mantenendo  il limite di 6 mesi per i tirocini formativi spingendo semmai per potenziare i tirocini dentro i percorsi scolastici e universitari e non al loro termine. Per le imprese occorrono investimenti formativi adeguati per le persone per ottenere  produttività e capacità di innovazione ,poiché è la forza lavoro delle aziende il motore di nuovi processi economici. In ultima analisi, la convinzione di Fedeli e Sacconi è che solo un cambiamento delle parti sociali e dei corpi intermedi della società come le organizzazioni datoriali, sindacali  e associative nel rendersi corresponsabili del processo in atto di veloce rinnovamento, potrà sostenere questa stagione di innovazione.  Per uscire dalla strettoia causata dalla  esclusione dei corpi intermedi, da una parte, e dal loro impoverimento ideale, dall’altra, occorre il recupero della originale centralità della persona e il rafforzamento di un ruolo educativo nei confronti dei giovani . La grande sfida che i nuovi problemi sociali ed economici pongono alla persona è, prima di tutto, conoscitiva; occorre comprendere i problemi e le opportunità che nascono da una realtà in continua evoluzione e occorre intuire e progettare il contributo che “dal basso e dal territorio” può essere offerto. Da ciò può nascere una novità anche nell’azione delle realtà sociali: sostenere le persone nel continuo cambiamento e nella costruzione di risposte adeguate alle sfide del presente. Il problema dello sviluppo, dunque, non è costituito, innanzitutto, da norme e leggi, ma dall’educazione. Per uscire dalla ripetizione di promesse di una nuova scuola che sia veramente buona occorre ricostruire corpi intermedi basandosi sull’educazione della persona alla conoscenza, sulla correzione, sull’attenzione al bene comune.

Alessandra Servidori 

Direttore CESLAR-UNIMORE

 

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Tags: LavoroFormazioneScuola
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