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Home - Approfondimenti - Interviste - Effetti della crisi ucraina: sacrificare i pomodori per salvare il grano. Intervista con Onofrio Rota (Fai Cisl)

Effetti della crisi ucraina: sacrificare i pomodori per salvare il grano. Intervista con Onofrio Rota (Fai Cisl)

di Emanuele Ghiani
1 Aprile 2022
in Interviste
Onofrio Rota Fai Cisl

Il diario del lavoro ha intervistato il segretario generale della Fai Cisl, Onofrio Rota, in merito ai cambiamenti che la recente guerra in Ucraina sta portando nel settore agricolo e agroalimentare. Per il segretario, è il periodo storico che è “straordinario”, e la guerra è l’ultimo tassello di svariate crisi che il nostro paese sta ancora affrontando. Al congresso, conclude Rota, il sindacato si inserirà in questi temi per essere un punto di riferimento nel mondo del lavoro, puntando invece che a una ripartenza, a una “rigenerazione” dei vari temi cari al sindacato, come la contrattazione, la partecipazione e la formazione dei lavoratori.

Rota, qual è la situazione del vostro settore, anche alla luce della guerra in Ucraina?

Noi prima della guerra pensavamo di uscire dalla pandemia e utilizzare lo strumento del Pnrr e non solo. È stata ritrovata una fiducia verso questa ripartenza. Infatti, durante la pandemia il settore manufatturiero si era dimostrato, anche con le sue criticità, capace di reggere il colpo. Oggi invece con la guerra in Ucraina si sono rimessi in discussione tutti i sistemi di produzione. Mentre con la pandemia ha pagato più il commercio e il canale della distribuzione tradizionale, adesso con la guerra il prezzo più alto lo paga il manufatturiero e non vale soltanto per il settore agroalimentare. Stesso discorso per gli altri settori, come la materia prima, necessaria per lavorare e garantire continuità ai processi produttivi.

Sul settore agroalimentare in particolare, qual è la situazione?

Il settore e tutta la sua filiera rappresenta un asset strategico sia per il paese che per l’export, che ha raggiunto nel 2021 circa i 52 miliardi di fatturato, ed è stato un record. La nostra industria di trasformazione non si alimenta solo con la nostra produzione nazionale ma anche da materie prime che giungono dall’estero. È chiaro che questa visione più protezionistica, generata dalla guerra, sta creando difficoltà nel settore produttivo, come il settore delle carni come quello lattiero-caseario. Ancora non abbiamo segnali evidenti di crisi, ma le aziende stanno già mettendo le mani avanti, annunciando che sia sulle materie prime che sul packaging, cioè il cartone, gli imballaggi e il vetro, potrebbero esserci delle ricadute importanti sui cicli produttivi. Quindi teniamo la massima allerta sull’industria alimentare.

Per quanto riguarda il settore agricolo?

Questa situazione ci impone di ripensare alla Pac, al piano strategico agricolo, che possono diventare strumenti per superare questa fase di criticità. C’è la questione del contenimento dei consumi. C’è un paese che sta intraprendendo quasi una economia di guerra, dove ci troviamo una ripartenza che ha prodotto un aumento di prezzi, che a loro volta hanno generato l’inflazione che ricade sulle tasche degli italiani, soprattutto sui più deboli. Quindi il consumo dei prodotti agroalimentari potrebbe avere un impatto da questi fenomeni. È vero che le persone risparmiano più sul vestiario e prodotti tecnologici piuttosto che sul mangiare, ma bisogna tenere alta l’attenzione.

Sul grano si parla di essere autosufficienti, è possibile?

L’Europa ha già sbloccato un milione di ettari per le coltivazioni di grano; quindi, molti stanno pensando di convertire le coltivazioni dal pomodoro al grano. In Italia si parla si uno sblocco di terreni a riposo di circa 200mila ettari. Teniamo però conto che questo potrebbe avere delle ricadute occupazionali, dato che la produzione del grano, tolta la semina e i trattamenti vari, richiede meno manodopera rispetto al pomodoro. Inoltre, guardiamo al rapporto ISMEA del 28 marzo sulle derrate alimentari: i cerali segnano una produzione -9,6% a causa della siccità in Canada, in parte compensati dalla produzione italiana del 3,5%. Il prezzo mondiale del grano duro è passato da 305 euro a tonnellata a 511 euro a tonnellata, da luglio 2021 a gennaio 2022. Il grano tenero da 215 a tonnellata a 315 euro a tonnellata. Quindi già da gennaio c’è stata una impennata dei prezzi, poi immagini con questa economia di guerra e la chiusura dei mercati come andrà a finire. Inoltre, la Cina ha acquistato grandi quantità di materie prime nei mercati globali, soprattutto nei mercati dei cereali.

Sulla produzione alimentare siamo sempre stati così indietro rispetto agli altri paesi?

La situazione odierna è frutto di scelte del passato e fenomeni che non possiamo direttamente controllare. Ad esempio, la scelta che fece il nostro paese sulla barbabietola da zucchero, cioè di non potenziarla, portò alla chiusura di 19 zuccherifici su 21, quindi oggi importiamo da altri paesi come la Francia. Altro esempio, la carne: non soltanto la lavoriamo ma ne importiamo molta, e la Polonia è un grosso esportatore da di carne da consumo. In questi ultimi anni è cresciuta come reddito e capacità di spesa; oggi sta esportando meno carne e l’Italia ne importa molta meno dalla Polonia. Quindi oggi c’è non soltanto un cambio di assetti geopolitici ma un cambio di visione dei nuovi assetti alimentari, di produzioni delle derrate alimentari. Non dobbiamo soltanto chiederci come sfamare 8 miliardi di persone, ma chi le sfamerà, e questo punto diventerà centrale nell’economia del domani.

Quali altri comparti meriterebbero più attenzione?

Abbiamo molte filiere deboli nel nostro territorio, come le produzioni dell’olio, che avrebbero bisogno di filiere più strutturate. Il settore vitivinicolo invece si è qualificata e ha fatto un ottimo lavoro in tal senso. Cresce molto anche il settore ortofrutticolo, e stiamo scoprendo ad esempio che il mais può essere utilizzato non soltanto per l’alimentazione umana ma anche per la zootecnica. Si pensa ad un ripiantamento nel nostro territorio e questo darà molte opportunità.

Quando ci sarà una ripartenza del settore?

Noi abbiamo usato una bella parola “rigenerazione”, non ripartenza, che significa rigenerare nuovi concetti, strade, nuovi orientamenti e modalità sia sui temi legati alla persona nel nuovo contesto sociale, sia sui temi del lavoro. Abbiamo definito questo periodo storico “straordinario”. Questo secolo ci ha masso a dura prova da tanto tempo, con il 2001 con le torri gemelle, dal 2007 al 2014 c’è stata la crisi finanziaria, che a visto fallire banche, imprese e persona, poi la pandemia, prima sanitaria poi crisi economica, oggi la guerra e l’inflazione. In questo cambiamento epocale il nostro congresso si inserisce per essere un punto di riferimento al mondo del lavoro che rappresentiamo, cioè il mondo agricolo, la trasformazione alimentare, il mondo ambientale come i consorzi di bonifica e la tutela dei nostri territori, come i servizi forestali. Sapere interpretare questo tempo non è facile, ha bisogno di strumenti, come la contrattazione, partecipazione, di formazione dei lavoratori anche per acquisire e rafforzare le competenze. C’è bisognio di creare una rigenerazione anche nel campo del ricambio generazionale: la nostra categoria avrà nei prossimi anni un’alta età media. Sono tematiche che porteremo al congresso, temi che daranno speranza nell’azione che stiamo mettendo in campo e punto di riferimento per i lavoratori.

Emanuele Ghiani

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Redattore de Il diario del lavoro.

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