Cresce il fatturato all’estero delle imprese italiane di costruzioni, con un aumento del 17,8% nell’anno 2016 che segna così il valore più alto di crescita negli ultimi dieci anni. È quanto rileva un rapporto dell’Ance, l’associazione dei costruttori edili, sulla presenza delle aziende di costruzione italiane nel mondo presentato alla Farnesina.
Il trend positivo è in atto dal 2004: dai 3 miliardi di fatturato estero ottenuto in quell’anno dalle imprese italiane di costruzione si è giunti nel 2016 a superare quota 14 miliardi (+355%). I risultati positivi sono accompagnati per la prima volta anche da una leggera crescita del fatturato in Italia pari al +2,6%. Un dato, sottolinea però l’Ance, che non riduce la forbice che si è venuta a creare negli ultimi anni. Il peso dell’estero sull’attività delle imprese del settore è ormai “nettamente preponderante”, rappresentando circa il 73% del fatturato totale.
Sono 244 i nuovi lavori aggiudicati all’estero dalle imprese edili italiane per un valore di oltre 20 miliardi di euro, il massimo dal 2007. Complessivamente, i cantieri aperti nel mondo targati Italia raggiungono quota 686 per un valore che si aggira attorno ai 90 miliardi di euro.
Il 23,8% delle nuove commesse del 2016 è concentrato per la prima volta nel Nord America. La seconda e la terza area di espansione sono l’Africa sub-sahariana e il Medio Oriente con il 17,6% ciascuna. Il quarto continente è l’Asia con il 13,3%. Per la prima volta gli Stati Uniti con un valore di commesse pari a 4 miliardi sono al vertice dei primi dieci mercati nel 2016, che rappresentano il 71,5% del totale dei nuovi lavori.
Per quanto riguarda la tipologia di opere dominano le infrastrutture stradali e autostradali. Complessivamente, sono aperti 131 cantieri per un valore di 20 miliardi (21,9% del totale). A seguire ci sono le opere idrauliche con il 16,9% del portafoglio lavori, il settore ferroviario che pesa per il 16,1% del totale e la realizzazione di metropolitane con il 15,8%.
Cresce anche l’edilizia residenziale e non che rappresenta il 10% del portafoglio lavori (9,1 miliardi). In questo ambito le realizzazioni riguardano il settore ospedaliero e carcerario, business center, hotel, università e centri di ricerca, musei, parcheggi e infrastrutture legate alla logistica.
Secondo l’Ance il tema degli aiuti pubblici allo sviluppo è “oggi sempre più strategico alla luce, soprattutto, del problema dei flussi migratori incontrollati, per il quale gli Stati europei sono continuamente alla ricerca di soluzioni durature e sostenibili”.
L’Italia si trova “purtroppo” sottolineano i costruttori edili, all’ultimo posto nella graduatoria dei Paesi europei donatori. Solo recentemente il Governo italiano ha confermato la volontà di impegnarsi nell’attuare la nuova legge di cooperazione 125 del 2014, che prevede maggiori fondi da destinare ad aiuti pubblici allo sviluppo.
“Già oggi – aggiunge il rapporto dell’Ance – il livello di questi fondi è salito allo 0,27% del Pil contro lo 0,14% del 2014 e secondo la tabella di marcia dovrebbe raggiungere lo 0,30% nel 2020”. Nel confronto europeo l’Italia resta però nel gruppo di coda, distante dal partner tedesco da tempo sopra allo 0,40%, per non parlare della Svezia che dedica l’1% del Pil agli aiuti e allo sviluppo.
“Lunga è la strada per avvicinarci all’obiettivo dello , 0,7% suggerito dall’Onu e promesso da 40 anni da tutti i governo del G20, Italia inclusa – conclude il rapporto – ma abbiamo almeno recuperato in credibilità, annullando il precedente prolungato divario. Occorre quindi un disegno strategico europeo per investire in maniera unitaria nei Paesi di origine dei flussi migratori. In questo senso l’Ance ritiene estremamente importante il coinvolgimento delle imprese nella progettualità degli interventi di cooperazione e la realizzazione di grandi infrastrutture civili come strumento essenziale di uno sviluppo sostenibile e duraturo”.
E. M.