Dal Recovery Fund alla riforma degli ammortizzatori sociali, passando per la crisi che sta attanagliando il mondo del lavoro. Il futuro e il rilancio del paese si giocherà su molti fronti. Ne è convinto Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil. Bombardieri sottolinea l’urgenza di pensare l’Italia dopo la pandemia. Sul tavolo c’è anche il confronto con la nuova Confindustria targata Carlo Bonomi che, in questi primi mesi del suo mandato, si è posto con un atteggiamento muscolare nei confronti del sindacato.
Bombardieri, il futuro per l’Italia si chiama Recovery Fund, con i suoi oltre 200 miliardi, 20 dei quali il governo vorrebbe già utilizzare nella prossima Legge di Bilancio. C’è stato un confronto con il governo su come spenderli?
Nel mese di agosto non abbiamo avuto con il governo nessun tipo di dialogo su come utilizzare al meglio le risorse del Recovery Fund. Allo stesso modo dobbiamo capire anche come saranno impiegati i denari del Fondo Sure, e se saranno dirottati per gli ammortizzatori sociali. Naturalmente noi, assieme a Cgil e Cisl, faremo sentire la nostra voce, come già accaduto a fine luglio con la Notte del lavoro, e lo faremo anche a settembre, con la manifestazione del 18. Siamo pronti a fare la nostra parte per scrivere il futuro del paese, che deve essere costruito sul rispetto della vita, della salute e sicurezza e sulla riduzione delle diseguaglianze.
Quali sono le priorità da affrontare?
Serve una visione di ampio respiro per il paese. Questa deve tradursi nella definizione di una precisa politica e strategia industriale, in investimenti nelle infrastrutture, sia fisiche che digitali. Durante il lockdown è emerso, con lo smart working e la didattica a distanza, tutto il gap tecnologico di certe aree del paese. C’è poi il capitolo della sanità. In piena pandemia medici e infermieri sono stati definiti degli eroi, ma sappiamo che il tema della salute non è stato sempre in cima alle priorità della politica. E non bisogna dimenticare la pubblica amministrazione, che necessita di un forte ammodernamento tecnologico. Queste sono per noi le priorità da affrontare.
È favorevole all’uso del Mes?
Assolutamente sì, il Mes deve essere utilizzato.
Venendo alla situazione economica, proroga degli ammortizzatori sociali e stop ai licenziamenti sono stati i due strumenti principali per gestire la fase più acuta della pandemia, e gli ultimi dati dell’Istat sul Pil e l’occupazione descrivono una situazione ancora fragile. Oltre a questi due strumenti, cosa serve per uscire da questo pantano?
Mi faccia prima spendere due parole sugli ultimi dati Istat.
Certamente.
Lo shock causato dal lockdown è stato così forte che le stime sul Pil e l’occupazione non potevano che essere negative. Uno scenario diverso era impensabile. Detto questo ci siamo trovati in una situazione emergenziale imprevedibile e mai vista, che ha richiesto e richiede degli interventi altrettanto eccezionali. L’estensione degli ammortizzatori sociali e del blocco dei licenziamenti rispondono proprio a questa eccezionalità. È chiaro che per rimettere in moto il mondo del lavoro non possiamo pensare che bastino questi due strumenti. Per questo stiamo sollecitando con urgenza il governo affinché indichi delle linee strategiche di sviluppo per far uscire l’economia da questo pantano.
La ministra Catalfo ha convocato a luglio un tavolo per avviare una riforma degli ammortizzatori sociali. Una priorità anche per Confindustria. Per voi come deve essere impostata?
La priorità è la tutela del lavoro. Questa deve essere la cornice entro la quale impostare una riforma degli ammortizzatori sociali. Dobbiamo, prima di tutto, ancorare i vari ammortizzatori sociali alle politiche attive e alla formazione. Al momento questi due aspetti sono slegati. Dobbiamo poi pensare i nuovi ammortizzatori sociali anche in relazione alle specificità dei vari settori e alle condizioni delle diverse realtà industriali. Vanno, inoltre, velocizzate le procedure di erogazione. Un processo di riforma nel quale dobbiamo coinvolgere i fondi interprofessionali e le risorse del reddito di cittadinanza.
Sempre in tema di lavoro, con la pandemia le numerose vertenze aperte, dall’ex-Ilva, ad Alitalia e Whirlpool, solo per citarne alcune, non sono scomparse, anzi. Cosa rimprovera al governo nella gestione di queste crisi?
Patuanelli per mesi è scomparso e l’interlocuzione coi sindacati è venuta meno. Solo ora ha annunciato di voler incontrare nuovamente le parti sociali. Anche qui il grosso limite è la mancanza di una politica economica chiara da parte del governo. Pensiamo all’Ilva. Il governo ci deve dire se considera la produzione di acciaio un asset strategico per il paese o no. Allora ci si muove di conseguenza. Poi naturalmente c’è tutta la partita con ArcelorMittal, che si è presa gioco di accordi precedentemente sottoscritti. Questa incertezza da parte della maggioranza incide anche sulla vicenda Alitalia e tutte le altre vertenze, che in questi mesi non sono di certo scomparse.
Il prossimo lunedì incontrerete per la prima volta la Confindustria targata Bonomi. Come valuta il modo di porsi degli industriali e con quale spirito andate all’incontro?
È difficile dare un giudizio a priori su Confindustria, così come è difficile dire cosa possiamo aspettarci dal prossimo incontro del 7 settembre. Fino a questo momento le linee guida della nuova Confindustria di Carlo Bonomi le abbiamo apprese dai giornali, e di certo non sono rassicuranti.
C’è ancora da definire meglio il patto per il Paese, al quale si è fatto molto riferimento nelle settimane passate.
Credo che ora serva un forte senso di responsabilità collettivo per ridisegnare gli assetti futuri del paese. Ovviamente se per Confindustria questo vuol dire non rinnovare i contratti, come sta accadendo nel caso della sanità privata, dove il tavolo è saltato proprio a causa di un’organizzazione legata a Confindustria, o depotenziare il contratto nazionale o minarne la centralità, è chiaro che noi non possiamo percorrere e assecondare questa strada.
Il Patto per la Fabbrica potrebbe assolvere a questo compito, diventando un Patto per il Paese?
Sicuramente il Patto della Fabbrica è un punto di riferimento dal quale possiamo partire. È un documento che contiene quelle che sono le linee guida per la contrattazione. Se dovessimo pensare di renderlo un Patto per il Paese naturalmente andrebbe arricchito con altri contenuti.
In ballo c’è anche il futuro delle relazioni industriali.
È vero, e questo va pensato e attuato attraverso un continuo dialogo con tutte le rappresentanze, compresa Confindustria. Ma è anche vero che Confindustria non è la voce di tutte le imprese del nostro paese. Il confronto c’è quando ci sono le condizioni giuste.
Confindustria afferma la necessità di pensare in modo diverso il contratto nazionale, di rivoluzionarlo. Cosa ne pensa?
Guardi non so cosa voglia dire Confindustria quando parla di rivoluzionare l’impianto dei contratti nazionali. Una cosa già di per sé estremamente rivoluzionaria sarebbe dare i soldi ai lavoratori e rafforzarne i diritti. Questo per noi vuol dire rivoluzionare i contratti nazionali.
Tra pochi giorni si ritornerà sui banchi di scuola. Che giudizio da al governo e alla ministra Azzolina?
Il governo si è mosso tardivamente sulla scuola e con scelte non sempre giuste. Molti istituti scolastici non sono ancora a norma, mancano le sedi idonee, non ci sono i docenti e non si è fatta chiarezza sui precari. Alcune di queste criticità il comitato tecnico scientifico le aveva evidenziate già lo scorso maggio. Ma la ministra Azzolina continua solo ad attaccare il sindacato, non assumendosi le sue responsabilità.
C’è stato anche l’annuncio dell’avvio della creazione di una rete unica, tra Tim e Cassa Depositi e Prestiti. Siete soddisfatti di questa svolta?
La creazione della rete unica è un passo che noi sollecitavamo da tempo. È un tassello importante per lo sviluppo del paese. Inoltre reputiamo molto positiva la sinergia tra Tim e Cassa Depositi e Prestiti. Tim è l’unico operatore in grado di fare una mossa di questo tipo e di poterla gestire anche in futuro. La presenza di CDP certifica tutta una serie di garanzie pubbliche, che però non devono tradursi semplicemente come la presenza dello stato nell’economia.
Che clima dobbiamo aspettarci in autunno?
Il clima è molto pesante, e se il governo non metterà in campo scelte future e riforme coraggiose sarà ancora peggio. Se vogliamo fare un esempio prendiamo la riforma fiscale. Dobbiamo capire se questa vorrà aggredire veramente l’evasione oppure si limiterà a una serie di decontribuzioni a pioggia, senza nessuna logica.
Come stima sin qui l’operato del governo?
All’inizio dell’emergenza c’è stata un’interlocuzione continua con il governo. Siamo arrivati alla stesura di protocolli di sicurezza, che pochi paesi al mondo sono riusciti a realizzare. Poi con il passare dei mesi questo scambio si è allentato. Per il momento il giudizio è sospeso.
Tommaso Nutarelli