L’Italia crea meno posti di lavoro degli altri Paesi europei. Negli ultimi dieci anni (2007-2017) il numero di occupati è diminuito dello 0,3%. È invece aumentato in Germania (+8,2%), Regno Unito (+7,6%), Francia (+4,1%) e nella media dell’Unione europea (+2,5%). Nel Sud il tasso di occupazione è pari al 34,3% (2,9 punti percentuali in meno di differenza rispetto al 2007), al Centro è al 47,4% (lo 0,4% in meno), nel Nord-Ovest al 49,7% (l’1,1% in meno), nel Nord-Est al 51,1% (l’1,3% in meno). Sono i principali risultati del secondo rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, realizzato in collaborazione con Credem, Edison, Michelin e Snam, presentato in Senato da Francesco Maietta, responsabile dell’area politiche sociali del Censis.
Non solo l’Italia crea meno lavoro degli altri Paesi, ma ne distrugge di più proprio dove ce n’è di meno: il Mezzogiorno. E per i giovani c’è il paradosso tutto italiano di un futuro da camerieri o commessi. Vent’anni fa, nel 1997, i giovani di 15-34 anni rappresentavano il 39,6% degli occupati. Nel 2017 sono scesi al 22,1%. Le persone con 55 anni e oltre erano il 10,8%. Ora sono il 20,4%. I lavoratori anziani hanno un’alta presenza nella pubblica amministrazione (il 31,6% del totale, con una differenza di 13,5 punti percentuali in più rispetto al 2011) e nei settori istruzione, sanità e servizi sociali (il 29,6%, il 7,4% in più).
I millennial invece sono più presenti nel settore alberghi e ristoranti (39%) e nel commercio (27,7%). Rispetto al 1998, nel 2016 il reddito individuale da lavoro dipendente degli operai è diminuito del 2,7% e quello degli impiegati si è ridotto del 2,6%, mentre quello dei dirigenti è aumentato del 9,4%. Nel 1998 il reddito da lavoro dipendente di un operaio era pari al 45,9% di quello di un dirigente ed è diminuito al 40,9% nel 2016. Quello di un impiegato era il 59,9% di quello di un dirigente e si è ridotto al 53,4% nel 2016. Le retribuzioni da lavoro dipendente degli impiegati sono sempre più schiacciate su quelle degli operai e sempre più distanti da quelle dei dirigenti.
Il 50,6% dei lavoratori afferma che negli ultimi anni si lavora di più, con orari più lunghi e con maggiore intensità. Sono 2,1 milioni i lavoratori dipendenti che svolgono turni di notte, 4 milioni lavorano di domenica e nei giorni festivi, 4,1 milioni lavorano da casa oltre l’orario di lavoro con e-mail e altri strumenti digitali, 4,8 milioni lavorano oltre l’orario senza il pagamento degli straordinari.
Gli effetti patologici dell’intensificazione del lavoro sono rilevanti. A causa del lavoro, 5,3 milioni di lavoratori dipendenti provano i sintomi dello stress (spossatezza, mal di testa, insonnia, ansia, attacchi di panico, depressione), 4,5 milioni non hanno tempo da dedicare a se stessi (per gli hobby, lo svago, il riposo), 2,4 milioni vivono contrasti in famiglia perché lavorano troppo.
La riduzione del benessere dei lavoratori trova una risposta nel welfare aziendale. Da una indagine su 7.000 lavoratori che beneficiano di prestazioni di welfare aziendale risulta che l’80% ha espresso una valutazione positiva, di cui il 56% ottima e il 24% buona. Tra i desideri dei lavoratori, al primo posto c’è la tutela della salute con iniziative di prevenzione e assistenza (42,5%), seguono i servizi di supporto per la famiglia (servizi per i figli e per i familiari anziani) (37,8%), le misure di integrazione del potere d’acquisto (34,5%), i servizi per il tempo libero (banca delle ore e viaggi) (27,3%), i servizi per gestire meglio il proprio tempo (soluzioni per risolvere incombenze burocratiche e il disbrigo delle commissioni) (26,5%), infine la consulenza e il supporto per lo smart working (23,3%).
A.P.