Oggi, 11 aprile, è stata finalmente pubblicata la sentenza del Consiglio d’Europa che afferma che lo Stato italiano viola la Carta sociale Europea: il nostro paese non fa abbastanza per evitare che l’obiezione di coscienza dei medici anti aborto, garantita dalla legge 194 del 1978; che non abbia conseguenze negative riguardo ai diritti alla salute e alla non discriminazione delle donne che vogliono interrompere la propria gravidanza. La decisione del Comitato europeo dei Diritti sociali risponde ad un ricorso presentato dalla Cgil circa tre anni fa e che era arrivato a sentenza lo scorso 12 ottobre 2015 ma è stato possibile renderlo noto soltanto oggi a causa dell’embargo che è scaduto proprio oggi.
Il Comitato ha constatato innanzitutto, all’unanimità, una violazione dell’art. 11 della Carta per quanto riguarda i “rischi considerevoli” per la salute e il benessere delle donne che possono incontrare quando l’accesso ai servizi ospedalieri per l’interruzione volontaria della gravidanza è reso difficile dalla carenza di personale, causata dalla non disponibilità dei medici e di altri addetti obiettori, e dalla mancanza di misure adeguate di compensazione, che non sempre le autorità regionali competenti non garantiscono in modo soddisfacente.
In secondo luogo, con 9 voti contro 2, il Comitato ha rilevato una “differenza di trattamento”, contraria all’art. 11 della Carta, fra le donne incinte che hanno più facilmente accesso all’aborto autorizzato e quelle che, per ragioni geografiche o socio-economiche, si trovano più in difficoltà, a volte fino al punto di dover a volte rinunciare; inoltre, esiste anche una discriminazione fondata sul genere e lo stato di salute, fra le donne che vogliono accedere ai servizi per l’interruzione volontaria della gravidanza e gli uomini o altre donne che ricorrono ai servizi sanitari per altre ragioni, senza riscontrare alcuna restrizione.
Il terzo punto non riguarda le pazienti, ma la differenza di trattamento fra il personale obiettore e quello non obiettore. La Cgil aveva prodotto una serie di elementi per provare che il personale medico non obiettore subisce una serie di svantaggi rispetto agli obiettori, in termini di maggior carico di lavoro, ripartizione dei compiti e anche di possibilità di carriera. In questo caso la violazione consiste in una discriminazione contraria all’art.1 (par.2) della Carta sociale europea, ed è stata constatata da una maggioranza risicata del Comitato, 6 voti contro 5. Anche il quarto punto riguarda i medici, e in particolare le accuse di “mobbing” nei confronti dei non obiettori, sottoposti, secondo le accuse, a pressioni sistematiche fino a vere e proprie molestie psicologiche nell’ambiente di lavoro da parte del personale obiettore. Il Comitato ha considerato che gli elementi forniti dai ricorrenti sono insufficienti a constare una violazione della Carta sociale riguardo alla fattispecie del “mobbing”, ma con 7 voti contro 4 ha comunque concluso che il governo non ha preso alcun provvedimento preventivo, in termini formazione e sensibilizzazione del personale, per assicurare la tutela dei medici non obiettori, violando l’art. 26 (par.2) della Carta.
“Una sentenza importante – ha commentato il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso – perché ribadisce l’obbligo della corretta applicazione della legge 194, che non può restare soltanto sulla carta. Il sistema sanitario nazionale, deve poter garantire un servizio medico uniforme su tutto il territorio nazionale, evitando che la legittima richiesta della donna rischi di essere inascoltata. Questa decisione del Consiglio d’Europa riconferma che lo Stato deve essere garante del diritto all’interruzione di gravidanza libero e gratuito affinché le donne possano scegliere liberamente di diventare madri e senza discriminazioni, a seconda delle condizioni personali di ognuna.”