Tra il 2005 e il 2022 la pressione fiscale in Italia è cresciuta fino a raggiungere il 43,5% lo scorso anno, registrando una lieve flessione solo tra il 2016 e il 2018 (42,1%). E’ quanto rileva l’osservatorio della Cna sulla tassazione delle Pmi (“Comune che vai fisco che trovi”).
Il dato della pressione fiscale nazionale tuttavia non è rappresentativo del carico fiscale che grava sui redditi delle piccole imprese. Il report evidenzia che in Italia non esiste una pressione fiscale, ma tante pressioni fiscali a seconda della natura del soggetto che realizza il reddito (persona fisica, società di persone o di capitali), nonché della natura del reddito stesso (reddito di lavoro dipendente, reddito di lavoro autonomo o d`impresa). A seguito della spinta verso un federalismo fiscale più marcato, avvenuta tra il 2009 e il 2014, la pressione fiscale risulta variare di molto anche sulla base della localizzazione dell`attività produttiva.
Inoltre, secondo l’osservatorio tra il 2019 e il 2021 inizia a registrarsi una spinta verso il basso del Total Tax Rate (TTR) nella misura dello 0,4% passando dal 60,6% al 60,2% fino ad arrivare alla “rilevante riduzione” di ben 7,5 punti percentuali nel 2022. In particolare, la riduzione dell’ammontare delle tasse e dei contributi obbligatori che le imprese devono pagare, dopo aver conteggiato le deduzioni e le esenzioni consentite, è legata a una combinazione di fattori positivi quali tributi locali, conseguente alla decisione dei Comuni di applicare aliquote più basse al reddito complessivo su cui calcolare l`Irpef; della stessa Irpef dovuta al riconoscimento della deducibilità parziale dell`Imu dal reddito d`impresa, prevista per gli anni 2020 e 2021, nella misura del 60%.
Ben diverso l`andamento del TTR nel 2022 dove si registra una significativa riduzione di 7,5 punti percentuali ascrivibile all`intervento di modifica dell`Irpef, inserito nella legge di bilancio per il 2022, consistente in un`ampia revisione dell`imposta relativamente alle aliquote marginali legali, agli scaglioni, nonché all`incremento delle detrazioni; eliminazione dell`Irap per gli imprenditori individuali e gli autonomi; deducibilità dell`Imu dal reddito d`impresa nella misura del 100% rispetto al 60% di deducibilità applicabile per il 2021.
Infine, dal 2019 al 2021 mediamente la piccola impresa doveva lavorare per pagare le tasse fino al 7 agosto, con una differenza di soli 2 giorni rispetto all`iniziale data del Tax Free Day registrata al 9 agosto 2019. “Successivamente, nel 2022 – prosegue l’osservatorio – per effetto della totale deducibilità dell`Imu dal reddito d`impresa, con l`abolizione dell`Irap per le persone fisiche esercenti attività d`impresa nonché con la mini riforma Irpef, si è verificato un balzo del Tax Free Day di ben 28 giorni dall`ultima data del 7 agosto relativa al 2021 e di 30 giorni dalla data del 9 agosto inizialmente registrata nel 2019. Dunque un mese di lavoro in meno per assolvere all`onere tributario. “
E.G.