In questa intervista al Diario del lavoro la vice segretaria generale della Cgil, Gianna Fracassi, fa il punto sulla manovra varata dal governo Meloni.
Segretaria Fracassi come giudica la manovra?
Penso manchino le misure necessarie e urgenti a contrastare l’aumento del costo della vita e dell’inflazione. Non si affronta strutturalmente l’emergenza salariale. Inoltre, la parte fiscale va nella direzione opposta a quella indicata dal sindacato, così come sulla precarietà si reintroducono i voucher, vale a dire sì mercifica il lavoro senza diritti e senza tutele. È chiaro che c’è un problema di reperimento delle risorse, e di questo bisogna tenerne conto, ma la limitata disponibilità economica non può essere un alibi e può essere risolta tassando, anche oltre il 50%, gli extra profitti e chiedendo un contributo di solidarietà a chi ha maggiore disponibilità.
Quindi è una bocciatura?
Abbiamo sempre detto che valuteremo il governo sulla base dei fatti, sul versante economico il decreto aiuti non ci ha minimamente soddisfatti e la manovra è profondamente sbagliata sia per le risposte mancate o addirittura penalizzanti su salari e pensioni e precarietà. Sbagliata anche perché non mette in campo nulla sul versante di una politica industriale ed energetica di lungo periodo o sulla transizione green e digitale che stanno già portando profonde trasformazioni nel mercato del lavoro. Sono cambiamenti che vanno governati e non subiti, grazie anche alle risorse del Pnrr. A lungo termine serve la definizione di una politica industriale governata con un ruolo protagonista e con l’istituzione di un’agenzia per lo sviluppo come proposto dalla Cgil.
Avete, in più occasioni, manifestato la vostra contrarietà alla flat tax. Come si deve ripensare il fisco secondo la Cgil?
L’impostazione che questo governo sta tenendo sul fisco è del tutto opposta a quelle che sono le nostre proposte. Si parla di aumento del tetto all’uso del contante, di pace fiscale, che non è altro che una serie di condoni mascherati, ma poco di lotta all’evasione. L’Italia ha 100 miliardi di evaso, nonostante negli anni si siano fatti molti progressi. Per noi la riforma fiscale deve essere il più possibile progressiva, rivedendo la base imponibile ed evitando la riduzione delle aliquote, come avvenuto con la scorsa legge di bilancio, perché in questo modo si avvantaggiano solo i redditi più alti.
Cosa ne pensa della decisione del governo di alzare a 3mila euro i fringe benefit?
Quello dei fringe benefit è uno strumento che non risponde al periodo di crisi che i lavoratori stanno vivendo. Questo non vuol dire che siamo per principio contrari, ma in una fase di aumento dell’inflazione e di possibile recessione non è così che si dà una risposta al caro vita. I fringe benefit interessano una platea limitata dei lavoratori, non in tutte le realtà è presente la contrattazione aziendale e non sono automatici.
Come si gestisce un’inflazione a doppia cifra e i bassi salari?
Quello del lavoro povero e dei bassi salari sono problemi che ci portiamo dietro ben prima della pandemia. Il balzo dell’inflazione e il caro energia li hanno drammaticamente accentuati. I dati ci dicono che l’85% dei lavoratori ha un reddito lordo inferiore ai 35mila euro annui, il 50% non arriva ai 20mila euro. Per far fronte all’aumento generale dei costi sono stati erogati, da aprile a ora, 350 euro per chi guadagna fino a 35mila. Misure che non riteniamo sufficienti. Il tema dei redditi bassi va affrontato anche attraverso strumenti di politica fiscale.
In che modo?
Bisognerebbe intervenire sulla decontribuzione, con un taglio del 5% questo vale soprattutto per quei soggetti che hanno stipendi molto bassi e quindi scarsa o nulla capienza fiscale o le partite Iva che non hanno scelto il regime forfettario e che non possono usufruire di ulteriori interventi. Si dovrebbe anche recuperare il fiscal drag, adeguando automaticamente le detrazioni all’inflazione vigente. Questa norma c’è già, si può ampliare utilizzando lo stesso meccanismo sulle aliquote.
Venendo al tema della povertà e del precariato, il governo ha avviato una profonda revisione del reddito di cittadinanza. Come la valuta?
Abbiamo sempre manifestato i nostri dubbi verso il tentativo di tenere assieme politiche attive e strumenti contro la povertà. Detto questo, pensare di togliere il RdC è profondamente sbagliato, magari utilizzando quelle risorse per finanziare la flat tax o per finanziare il taglio al cuneo fiscale, vorrebbe dire redistribuire le risorse tra chi ha già poco.
Tommaso Nutarelli