Il 2020 si chiude con oltre 4 milioni di iscritti per la Cisl. I patronati e le reti di assistenza fiscale sono stati un punto di riferimento costante per i tesserati e non solo. È questo lo stato di salute della confederazione descritto da Daniela Fumarola, segretaria confederale della Cisl. Il sindacato, spiega, ha saputo mitigare un malessere sociale che altrimenti sarebbe esploso con maggior violenza, facendosi portavoce dei bisogni delle persone davanti alla politica
Qual è lo stato di salute del sindacato dopo oltre un anno di pandemia?
Nonostante la pandemia, la Cisl ha tenuto botta in questi mesi difficili, chiudendo il 2020 con oltre 4 milioni di iscritti. In alcune categorie, soprattutto nel pubblico impiego, come la sanità, nella scuola, nei trasporti, nel commercio e servizi abbiamo registrato un incremento di migliaia di associati. Dobbiamo, purtroppo, registrare la perdita di 10mila tesserati, tra i quali tanti venuti a mancare a causa del covid.
La pandemia ha, gioco forza, imposto un cambiamento nel modo di relazionarvi con la vostra base. Quali soluzioni avete adottato e come hanno risposto gli iscritti?
Abbiamo dovuto adottare soluzioni nuove, soprattutto nella comunicazione. Video call, social, WhatsApp sono diventati all’ordine del giorno. Devo dire che c’è stata una risposta molto buona da parte dei nostri iscritti. Il sindacato ha comunque bisogno di stare in mezzo alla gente, e per questo le nostre sedi sindacali, del patronato, le reti fiscali e molti altri uffici sono rimasti aperti, nel rispetto delle norme covid.
Anche persone non iscritte hanno usufruito della vostra rete?
Certamente, perché hanno visto il sindacato come un punto di riferimento nel territorio, dai pensionati, ai lavoratori che volevano avere informazioni. Un presidio di democrazia, e una realtà con la quale semplicemente poter parlare, condividere i propri timori e uscire dalla solitudine imposta dal virus.
Il rapporto con il mondo delle aziende come è mutato?
Siamo riusciti a entrare in contatto anche con le aziende più piccole, meno strutturate, con un tasso di sindacalizzazione inferiore, che magari avevano bisogno di un supporto per accedere alla cassa covid. Un passo in avanti importante, che deve poi essere alimentato.
La relazione che i vostri iscritti hanno con la politica è cambiata? Che cosa si aspettano dalle istituzioni?
L’appartenenza politica dei nostri tesserati è molto variegata, e per noi è un valore. Le incertezze, sociali ed economiche, acuite dalla pandemia, hanno accresciuto il bisogno di avere risposte certe da parte della politica. La Cisl si è fatta portavoce di questo malessere, instaurando, fin da subito, un confronto serrato con le istituzioni. All’inizio, con il governo Conte, abbiamo firmato con Cgil e Uil, i protocolli per la sicurezza, che hanno evitato la paralisi del paese. Poi questo clima di dialogo è venuto meno.
C’è stato un miglioramento con il governo Draghi?
Il cambio di passo c’è stato. La firma del Patto sul pubblico impiego, l’aggiornamento del protocollo per la sicurezza e la nuova intesa sulla vaccinazione nei luoghi di lavoro sono stati passi importanti, che ora vanno trasformati in un vero cammino concertato. Ora chiediamo la stessa collegialità che questo esecutivo – e i vari ministeri, come quello del Lavoro, delle Infrastrutture e del Sud – ha instaurato all’inizio del suo mandato con le parti sociali anche per il Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Pensa che ci possano essere le condizioni per un grande patto sociale come nel ’93?
Naturalmente rispetto al 92-93 le condizioni sono diverse, così come è diversa la crisi che stiamo vivendo. Certamente ci deve essere la stessa corresponsabilità di tutti gli attori coinvolti, come avvenne in quel momento della storia del nostro paese.
Nella politica permangono tentazioni invasive del campo della contrattazione, come la definizione di un salario minimo per legge. Cosa ne pensa?
Che la contrattazione rimane per noi lo strumento principale di regolazione lavoristica: organizzazione del lavoro, salari, turni, rappresentanza, causali, smart working sono tutti elementi che devono rimanere dentro il perimetro di relazioni industriali costruttive, responsabili, partecipative.
Che ruolo avrà il sindacato nella ricostruzione post pandemica?
Il ruolo del sindacato può e deve essere centrale. Siamo stati il catalizzatore dei bisogni delle persone, offrendo garanzie e tutele in termini di servizi, tutele e flessibilità contrattuali, bilateralità e welfare negoziato. Penso al grande lavoro di pressing istituzionale fatto sulla cassa covid, o sulla proroga del blocco dei licenziamenti, che chiediamo di procrastinare fino a ottobre: provvedimenti che hanno arginato un malessere sociale che altrimenti sarebbe esploso con molta più violenza. Le categorie e le realtà sulle quali intervenire sono molte. Il Sud deve essere posto al centro della ricostruzione del Paese. Servono politiche per il lavoro e di conciliazione per donne e giovani. Nello scorso mese di dicembre, su 101mila posti di lavoro persi, 99mila erano donne.
In che cosa dovete cambiare?
Questa pandemia cambierà radicalmente il volto del lavoro e delle nostre società, e anche il sindacato, se vuole essere ancora rappresentativo, dovrà cambiare. Dobbiamo aprirci sempre di più al lavoro digitale e su piattaforma; costruire nuovi e sfidanti contenuti contrattuali e bilaterali, con sinergie sempre più forti tra federazioni, mondo dei servizi, strutture confederali, a partire dai territori. Ci sono alcuni rituali che dovremo superare. Quello che non muterà saranno i nostri valori, come porre al centro la persona umana e la testimonianza.
Un tema che attraversa anche l’ultima enciclica di Papa Francesco.
La centralità del valore della persona è un cardine dell’enciclica di papa Francesco, Fratelli tutti, che la Cisl condivide appieno. Si può uscire da questa crisi ripartendo proprio dalla persona, cercando di contrastare le diseguaglianze e la crescente povertà.
Il sindacato può essere un argine contro la povertà?
Assolutamente sì. In questi mesi abbiamo avviato molti programmi inclusivi nelle periferie delle nostre città, lavorando in rete anche con l’associazionismo e il volontariato del territorio, consapevoli che con la pandemia le periferie non sono solo quelle fisiche ma, soprattutto, esistenziali.
Tommaso Nutarelli