La guerra dei rider ormai può dare punti perfino a quella di Troia, quanto a durata e intensità. Il 30 marzo l’ennesima puntata, ovvero lo sciopero dei rider che vogliono restare lavoratori autonomi, contrapposti a coloro che, al contrario, aspirano a un contratto da dipendenti, e che a sostegno delle loro istanze hanno per l’appunto scioperato la scorsa settimana. Lo sciopero del 30, con tanto di manifestazione di protesta davanti a Montecitorio, è organizzato dalla Ugl, al momento unica organizzazione sindacale firmataria di un contratto dedicato per i rider. Contratto contestatissimo dalle altre organizzazioni confederali, Cgil Cisl e Uil, che premono perché i ciclofattorini siano inseriti invece nel contratto della logistica. Lo slogan della manifestazione Ugl, o meglio l’hastag, è ”Io Resto Autonomo”, ribadendo il concetto di non voler affatto un contratto da dipendenti. Una risposta diretta, come abbiamo visto, allo sciopero gemello dichiarato il 26 marzo scorso dalla rete Rider X, di cui fanno parte le organizzazioni dei rider che si riconoscono in Cgil, Cisl e Uil.
“Potrebbe apparire insolito rifiutare un contratto subordinato – ammette Vincenzo Abbrescia, segretario della Ugl Rider-tuttavia questo lavoro, nato per la consegna di cibo a domicilio, ha delle dinamiche e delle esigenze differenti. I Rider svolgono, infatti, una professione totalmente innovativa e in quanto tale non può essere ancorata alla rigidità di vecchi schemi contrattuali o a un rapporto di lavoro subordinato”. Insomma, pensare che la soluzione per i Rider possa essere un lavoro subordinato, significa, per Abbrescia, “danneggiare la natura stessa di questo lavoro. Mi riferisco alla incondizionata flessibilità, orario di lavoro di 10 ore settimanali, obbligo a rigidi turni di lavoro e assoggettamento al potere disciplinare, ma soprattutto una paga che è limitata a qualche centinaio di euro al mese”.
Se fin qui è facile seguire, diciamo, la vicenda e le sue parti in contrapposizione, molto più complicato è orientarsi nel dedalo delle vicende giudiziarie che hanno al centro sempre i rider, e che sono ormai una serie di botta e risposta tra procure e società del delivery sempre più numerose. La più celebre, in ordine di tempo e di grandezza, è quella che vede protagonista la procura di Milano. Un mese fa, la procura ha annunciato una azione penale nei confronti delle quattro Big del settore delivery, Glovo, Just Eat, Deliveroo e Uber Eats, comminando una multa complessiva da oltre 700 milioni di euro per una serie di inadempienze su salute e sicurezza. Ma soprattutto, la procura ha sostanzialmente ordinato alle varie società di applicare ai 60 mila rider censiti dai magistrati milanesi le stesse tutele dei lavoratori subordinati: e questo, altra chicca che vale la pena di sottolineare, proprio in base a un articolo del Jobs Act (si, quello di Matteo Renzi, contestato da Cgil, Cisl e Uil,), trasformandoli da lavoratori autonomi a parasubordinati, cioè in co.co.co.
Al di là di quelle che saranno le reali conseguenze dell’ordinanza della Procura (molti giuslavoristi dubitano sia applicabile) lascia perplessi il dato di 60 mila: i rider in attività nel nostro paese sembrerebbero infatti essere meno della metà, una cifra che oscilla tra i 20 e i 30 mila. La spiegazione è che per arrivare a quel numero la procura ha preso dalle varie aziende i dati grezzi, diciamo così, ovvero i nominativi di tutti i rider che negli anni tra il 2016 e il 2020 hanno prestato servizio, anche per poche ore. Il punto è esattamente questo: i rider che esercitano il ”mestiere” in modo continuativo e duraturo sono una percentuale minima, rispetto alle decine di migliaia che magari si prestano alle consegne di cibo un paio di giorni a settimana e per periodi molto brevi. Proprio sulla base di questa considerazione nasceva, ormai un paio di anni fa, l’associazione dei ”veri rider” (così si erano battezzati), un gruppo di ciclofattorini a tempo pieno che contestavano agli ”altri” di svolgere una occupazione solo saltuaria, e dunque di non poter parlare a nome di tutta la categoria. I rider ”veri” rivendicavano il diritto a lavorare come liberi prestatori d’opera, sostenendo di guadagnare in questo modo cifre più che ragiovevoli, quando non decisamente elevate, e non volevano sentir parlare di assunzioni.
Radunati sotto l’ombrello dell’Anar, associazione fondata da Nicolò Montesi, venticinquenne romano e rider a tempo pieno, i rider ”veri” avevano tuttavia dovuto fare i conti con la difficoltà di essere riconosciuti come una organizzazione rappresentativa. A risolvere il problema è scesa in campo l’Ugl, che in pratica ha assorbito l’Anar, dando vita alla categoria sindacale Ugl Rider. E a questo punto, facendo capo a una organizzazione sindacale riconosciuta, ha avuto accesso alle trattative ministeriali con gli altri sindacati e ha potuto, soprattutto, definire un proprio contratto di lavoro per la categoria. Il nuovo contratto Ugl Rider è stato sottoscritto a ottobre 2020 assieme ad Assodelivery, l’associazione che rappresenta le principali aziende del settore. Ma è stato preso malissimo sia dagli altri sindacati che dallo stesso ministero del Lavoro (epoca Nunzia Catalfo), che hanno subito definito ”illegale” l’accordo. Tuttavia, mancando le pezze d’appoggio per cancellarlo (l’Ugl è un sindacato confederale a pieno titolo, firmatario di tutti gli altri contratti nazionali delle diverse categorie) il contratto Ugl per i Rider è rimasto in vita, e viene regolarmente applicato dalle tre grandi aziende che lo hanno sottoscritto, Glovo, Deliveroo e Uber Eats.
Ma anche tra le società del settore c’è parecchio movimento, quasi quanto tra i sindacati. Una di esse, Just Eat, si è sfilata nei mesi scorsi da Assodelivery, annunciando l’intenzione di assumere i rider come lavoratori dipendenti, ricorrendo a una formula contrattuale che già applica in altri paesi. Per i sindacati Cgil, Cisl e Uil si trattava di un passo avanti, certo, ma fino a un certo punto: il contratto di cui parlava Just Eat, infatti, non era ancora quello della Logistica auspicato dalle tre confederazioni maggiori. E non è nemmeno detto che sarebbe stato davvero vantaggioso per i lavoratori assunti: i quali, in cambio dello status di dipendenti e di una retribuzione da circa 9 euro lordi l’ora cui si aggiunge una piccola percentuale sulle consegne effettuate, avrebbero avuto l’obbligo di esclusiva (attualmente, possono mettersi a disposizione di qualunque piattaforma, lavorando un po’ per una un po’ per l’altra). Inoltre, il contratto di Just Eat prevedeva orari prestabiliti dal datore di lavoro, per un pacchetto di ore lavorative abbastanza ridotto, da 10 a 20 ore. Tradotto in cifre, significa uno scarso guadagno: ”Molto meno del reddito di cittadinanza”, ha subito osservato la Ugl Rider, ribadendo come il loro contratto sia ben più remunerativo. Sia come sia, Cgil, Cisl e Uil, alla fine, hanno vinto la battaglia, convincendo Just Eat ad applicare il sospirato contratto nazionale del Trasporto merci e logistica; sia pure, come è precisato dalla stessa azienda, “articolando le diverse clausole e la necessità di maggiore flessibilità organizzativa attraverso un accordo aziendale”.
In pratica, i rider di Just Eat dovrebbero diventare a questo punto lavoratori subordinati, dipendenti a cui saranno garantiti paga base, legata ai minimi contrattuali e non alle consegne, TFR, previdenza, integrazione salariale in caso di malattia, infortunio, maternità/paternità, ferie, orario di lavoro minimo garantito, maggiorazioni per il lavoro supplementare, straordinario, festivo e notturno, rimborso spese per uso mezzo proprio, diritti sindacali. È previsto, inoltre, un “premio di valorizzazione”, in base alle consegne effettuate, che non potranno essere comunque più di 4 ogni ora, “al fine di ridurre al minimo il rischio per la salute e la sicurezza dei rider”. Detto così, sembra il migliore dei mondi possibili, in effetti. Ma l’Ugl ribatte che è una pia illusione: “un rider assunto con questa nuova formula rischia in realtà di ritrovarsi con un contratto completamente stravolto rispetto a quello che si aspettava, di guadagnare poche centinaia di euro, e di poter essere comunque licenziato in qualunque momento”. Quanto alle tutele, garantiscono, ”sono le stesse già presenti nel Ccnl UglRider, che a differenza dell’altro contratto lascia ai lavoratori la massima libertà”.
Se a questo punto avete perso il filo, sappiate che è normale: la vicenda è davvero una delle più intricate che si siano viste sul fronte sindacale da anni. E per raccontarla davvero, tutta, fino in fondo, servirebbe forse più tempo e applicazione che per scrivere l’Iliade. Dove alla fine, il succo era solo una donna contesa. Qui, invece, la contesa coinvolge, oltre ai diretti interessati, innumerevoli sindacati, magistrati, giuslavoristi, esperti di diritto, e per di più, essendo quello dei ciclofattorini un fenomeno internazionale, di molte nazioni diverse, ciascuna con una sua logica, un suo pensiero, un suo codice civile, una sua sensibilità ai diritti e ai doveri. Per esempio, proprio in questi giorni il governo spagnolo e le parti sociali hanno raggiunto un accordo per introdurre nel codice del lavoro una “presunzione di lavoro salariato” per le persone che consegnano pasti a domicilio, e che a questo punto saranno considerati dipendenti. Non solo: impone anche alle aziende di comunicare ai sindacati i meccanismi alla base degli algoritmi che decidono l’affidamento delle mansioni.
Il testo di legge spagnolo è composto di un solo articolo, e per ottenerlo sono bastati cinque mesi di negoziato. In Italia, invece, era l’estate del 2018 quando l’allora ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, annunciava che la questione dei rider sarebbe stata la prima emergenza che il suo ministero avrebbe affrontato e risolto. Affrontato forse si, risolto certo no: a quasi tre anni di distanza, dopo tre diversi governi e altrettanti titolari del dicastero di Via Veneto, dopo fiumi di inchiostro sui giornali, servizi tv, inchieste, e ormai perfino romanzi dedicati al tema, la verità è che sui rider siamo ancora in alto mare, con troppe contese, troppe diverse formulazioni, punti di vista, contratti. Vedremo se anche le altre aziende si uniformeranno al contratto della logistica sottoscritto da Just Eat con Cgil, Cisl e Uil. O se preferiranno mantenere quello che hanno già sottoscritto con Ugl. E vedremo, soprattutto, cosa ne pensano i rider stessi. Certo, in un mondo ideale, sarebbe perfetto se ciascuno potesse scegliere la formula preferita: autonomo o dipendente, in base ai propri desideri, alle proprie esigenze e aspettative.
Nunzia Penelope