Roberto Mania, già inviato di Repubblica, ha dedicato una trentennale carriera da giornalista al lavoro e ai sindacati, divenendo una delle firme più autorevoli in materia, almeno fino a quando le organizzazioni sindacali hanno suscitato un minimo di interesse per l’opinione pubblica. Mania ha pubblicato un breve saggio insieme ad Andrea Garnero, economista dell’Ocse, su di un tema di grande attualità: ‘’La questione salariale’’ edito da Egea, sotto forma di dialogo tra i due autori. Né Garnero né tanto meno Mania possono essere accusati di nutrire orientamenti pregiudizialmente ostili nei confronti dei sindacati. Le loro osservazioni sono il frutto di culture, esperienze, capacità di analisi, conoscenza dei problemi che meritano di essere prese sul serio da parte dei dirigenti sindacali, soprattutto in quelle parti del saggio dove il dialogo arriva ai nodi strutturali della questione salariale legati alla struttura della contrattazione in un sistema produttivo dominato dalle PMI, al declino demografico e al mancato incremento della produttività. Roberto Mania, inoltre, sia pure con molto garbo, chiama in causa una singolare mutazione genetica che ha reso le confederazioni storiche (titolari dei contratti applicati al 97% dei lavoratori italiani) une e trine, nel senso che in ciascuna di esse (in particolare della Cgil e della Uil) agiscono tre differenti sindacati ‘’che convivono in uno solo’’. Il primo, secondo Mania, che va individuato, nelle strutture confederali, fa politica ormai in senso proprio. ‘’Si muove, insomma, nello stesso campo dei partiti politici. Li sfida, si allea, li sostiene’’. E’ un’azione che non aiuta molto l’attività più strettamente sindacale che continua ad essere svolta dalle categorie, che firmano i contratti, ‘’spesso in ritardo’’. Questo è un altro sindacato, espressione della tradizione e delle ragioni per cui i lavoratori vi aderiscono. Il terzo profilo è quello dei servizi (Patronati, Caaf, ecc.) che realizzano una forma di tutela quotidiana agli iscritti e ai cittadini e costituiscono una rete di presidi diffusi su tutto il territorio nazionale. Un sindacato tripartito in modo trasversale non può essere – secondo Mania –focalizzato sulla tutela reale dei lavoratori. Anche Andrea Garnero condivide questa critica, sottolineando che le categorie ‘’non hanno avuto la forza di opporsi al cambiamento in atto’’. Anche la questione salariale, fino a poco tempo fa, non avuto grandi attenzioni. Anzi ‘’sono stati convocati scioperi generali per le più svariate ragioni, ma mai frontalmente per la questione salariale’’. Magari, aggiungiamo noi, a questo tema venivano dedicate alcune righe all’interno di piattaforme vaghe ed onnicomprensive. Ma il problema non è questo, perché non avrebbe senso aprire una vertenza centralizzata per un miglioramento delle retribuzioni. Ma qualche riflessione autocritica merita di essere fatta. Nel corso del 2024, soprattutto nel secondo semestre, ha ripreso vigore la contrattazione collettiva nazionale: sono stati rinnovati contratti importanti, spesso dopo anni di vacanza. Attualmente sono in attesa dei rinnovi centinaia di migliaia di dipendenti pubblici, per motivi che dipendono anche da contrasti tra le confederazioni sindacali, perché, lo sappiamo bene, nel settore pubblico si continua a ‘’fare politica’’ con altri mezzi. Poi, c’è la più importante categoria dell’industria – i metalmeccanici – che sono ancora in mezzo al guado. Anzi sono stati spinti fino alla sponda da cui erano partiti. Evidentemente quel gruppo dirigente ha commesso degli errori visto che ha perso il tavolo del negoziato e sta proclamando iniziative di lotta per riconquistarlo (con rischio di dover ripartire a capo). Peraltro, secondo la Federmeccanica, gli scioperi non ottengono delle elevate partecipazioni. E le smentite sindacali non convincono. Ecco allora la domanda? Il movimento sindacale – con molte differenze al suo interno – è reduce da tre scioperi generali più inutili da decenni a questa parte. La Cgil è impegnata pancia a terra in quattro referendum abrogativi che rischiano il contraccolpo della mancanza del quorum, ma che – se anche avessero successo – cambierebbero di poco la condizione dei lavoratori e lascerebbero indenni la maggioranza ed il governo ai quali non gliene può fregar di meno dell’esito delle urne, perché il vero avversario di quei quesiti non è la destra ma la sinistra riformista. Non sarebbe il caso di mettere in cantiere – insieme alla Cisl – almeno uno sciopero generale dell’industria a sostegno della vertenza dei metalmeccanici? Ovvero chiamare i lavoratori a scioperare per qualcosa che vale? Una volta si faceva così. Il mio primo contatto con il sindacato (nei confronti del quale sono debitore dei trent’anni migliori della mia vita) avvenne quando da studente, insieme ad altri dell’UGI, partecipai ad una manifestazione nella mia città in occasione dello sciopero generale dell’industria che nel febbraio del 1963 concorse a sbloccare il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, incagliato per il rifiuto della Confindustria (che allora seguiva in prima persona quel negoziato; la Federmeccanica fu istituita all’inizio degli anni ’70) a riconoscere il diritto della contrattazione articolata. Certo quel rinnovo entrò nella storia e aprì la strada che portò all’autunno caldo del 1969 (dopo i rigori dell’inverno del 1966). Il rinnovo del contratto dei metalmeccanici oggi sarebbe figlio dei nostri tempi. Ma bisogna pur tirare avanti.
Giuliano Cazzola