“Purtroppo continua a permanere l’equivoco che la forzata delocalizzazione presso la propria abitazione delle mansioni lavorative individuali precedentemente svolte negli uffici aziendali o statali si configuri come smart work”. E’ quanto ha scritto Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp, in un intervento pubblicato su Milano Finanza.
“Si è anche affacciata l’ipotesi che in molti casi questo lavoro da remoto costituisca una sorta di vacanza pagata, come pure l’ipotesi contraria di uno straripamento incontrollato degli orari di lavoro a scapito dei tempi di riposo – ha spiegato il presidente dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche – tutto questo, e altro, può succedere se lo smart work viene semplicemente identificato con il telelavoro; ma bisogna abbandonare questa confusione. Lavoro smart significa lavoro intelligente e tale può diventare se riflette un nuovo modo di utilizzare il lavoro nella produzione di beni e servizi”.
Per Fadda in particolare “lo smart work consiste quindi nell`innestare la prestazione lavorativa in processi produttivi ridisegnati con l`utilizzazione di queste nuove tecnologie in modo da ottenere la combinazione di diverse modalità di lavoro, secondo funzioni gestite in presenza e funzioni gestite a distanza, nell`ambito di sistemi produttivi complessi e fortemente interconnessi”.
Il presidente dell’Inapp indica quali sono alcune caratteristiche essenziali che si devono realizzare per un vero smart work: ristrutturazione dei tempi, revisione dei contenuti del lavoro, grande capacità del management di adottare tecnologie innovative e una grande flessibilità nell`uso dei luoghi e degli spazi.
TN