Nel 2014 la maggioranza delle donne (52,8%), rispetto ad appena un terzo degli uomini, percepisce redditi pensionistici mensili inferiori ai mille euro; il 15,3% percepisce invece redditi inferiori ai 500 euro. E’ quanto ha spiegato Linda Laura Sabbadini, direttore del Dipartimento per le statistiche sociali e ambientali dell’Istat, in un’audizione in commissione Lavoro della Camera, precisando che si tratta di dati provvisori.
Il 10,2% delle pensionate percepisce un reddito mensile pari o superiore ai duemila euro (rispetto al 23,9% dei pensionati). I redditi pensionistici maschili mostrano una disuguaglianza – misurata dal rapporto tra ultimo e primo decile – maggiore (6,6) di quella osservata per i redditi femminili (5,4).
Gli uomini percepiscono importi maggiori delle donne in tutte le classi di età, con differenze più elevate tra i 65 e i 69 anni.
Le ridotte differenze di genere che si osservano tra i pensionati con meno di 55 anni dipendono dall’elevata presenza di pensioni indennitarie (i cui importi medi sono più elevati per le donne) e di invalidità civile, i cui importi, fissati dalla normativa vigente, non prevedono differenze di trattamento tra uomini e donne.
Tra i pensionati con più di 80 anni, le differenze di genere si riducono invece a seguito del maggior cumulo di pensioni, anche di quelle indirette (reversibilità), che caratterizza le donne.
Le differenze di genere nei reddito da pensione sono presenti in tutto il territorio nazionale ma si presentano più marcate al Nord, dove le pensioni di natura previdenziale, in particolare quelle di vecchiaia, hanno una incidenza maggiore.
Le differenze si riducono nel Mezzogiorno, dove risultano più diffuse le pensioni assistenziali. Se si considerano gli importi medi dei trattamenti di vecchiaia, il differenziale è pari al 65,7% e si riduce al 40% nel caso si considerino l’insieme dei redditi pensionistici comprensivi di vecchiaia.
Nell’Ue27, nel 2012 i redditi pensionistici degli uomini superano di circa il 40% quelli delle donne (persone di 65-79 anni; fonte: Eu-Silc) , l’Italia si pone al di sotto con il 36%.
La normativa pensionistica vigente prevede due importanti forme di incremento dei redditi pensionistici più bassi: le integrazioni al minimo e le maggiorazioni sociali. Di entrambe le forme di integrazione dei redditi da pensione beneficiano le donne in maniera preponderante (rappresentano l’81,4% dei beneficiari dell’integrazione al minimo e il 75,4% delle maggiorazioni sociali).
Tra il 2004 e il 2013, si è osservata una progressiva riduzione delle differenze tra uomini e donne, sia per quanto riguarda i redditi pensionistici medi dei beneficiari di pensioni di vecchiaia, sia per quanto riguarda gli importi medi delle singole prestazioni di questa tipologia (grazie all’ingresso nello stato di pensionamento di coorti di donne con carriere lavorative più lunghe e regolari rispetto al passato): il differenziale di reddito pensionistico a sfavore delle donne è passato dal 44,9% del 2004 al 40% del 2013; se si considerano le prestazioni la differenza è scesa dal 72,4% al 65,7%.