Il Pil italiano in volume è cresciuto dello 0,9% nel 2016, consolidando il processo di ripresa iniziato l’anno precedente. Il risultato è stato trainato dalla domanda interna. Gli indicatori qualitativi segnalano la prosecuzione di un recupero della crescita dell’economia anche nel 2017, ma a “ritmi moderati”. È quanto rileva il rapporto annuale dell’Istat.
L’attuale fase espansiva, segnala l’istituto di statistica, è caratterizzata da una “difficoltà di consolidamento”, che si manifesta in una elevata volatilità dei principali indicatori congiunturali e in un recupero del settore manifatturiero, a fronte di una espansione molto contenuta dei servizi.
La “prolungata crisi economica”, sottolinea l’Istat, ha provocato un ridimensionamento del sistema produttivo italiano, favorendo tuttavia un processo di selezione che ha prodotto una ricomposizione del tessuto di imprese a favore di quelle finanziariamente più solide e più esposte sui mercati internazionali.
La “modesta performance” italiana nel corso degli anni Duemila (il Pil è cresciuto meno che negli altri Paesi europei) è da ricercare in una “prolungata stagnazione della produttività”. Il ritardo che l’Italia ha accumulato su entrambi i terreni è ampio: nel periodo 2000-2014 la produttività totale dei fattori è diminuita del 6,2%, il Pil procapite del 7,1%.
Sulla base di un indicatore sintetico di solidità economico-finanziaria delle società di capitale italiane, aggiunge l’Istat, durante la seconda recessione si osserva un maggiore aumento della quota di unità esportatrici “in salute” e un contemporaneo e più rapido riassorbimento della fascia di imprese “a rischio”.
Nel periodo 2014-16, caratterizzato da un rallentamento della domanda internazionale, i casi di aumento dell’export sono stati più diffusi tra le imprese a maggiore sostenibilità economico-finanziaria. Inoltre, all’aumentare del numero di aree di sbocco delle esportazioni si è associato un netto miglioramento dello stato di salute economico-finanziaria, mentre questa relazione è molto meno marcata rispetto all’aumento dei prodotti esportati.
Le unità internazionalizzate sono poco più di 240mila alla fine della seconda recessione, impiegano quasi 5 milioni di addetti e producono oltre 360 miliardi di valore aggiunto.