Nel recente periodo il tema della disuguaglianza è tornato prepotentemente al centro del dibattito e della ricerca nelle scienze sociali. Alcuni autori e i loro testi in particolare sono diventati oggetto di importanti e approfondite riflessioni: Joseph E. Stigliz (The Price of Inequality. How Today’s Divided Society Endangers our Future, 2012), Thomas Piketty (Le capital au XXI siècle, 2013), Angus Deaton (The Great Escape. Health, Wealth, and the Origins of Inequality, 2013), Antony B. Atkinson (Inequality. What Can Be Done, 2015). A tali autori andrebbe aggiunto anche il contributo di Amartya Sen, che da molti anni, ovvero ben prima della grande recessione, si occupa del tema della disuguaglianza: già dal famoso saggio “Equality of What” del 1980, nelle Tanner Lectures on Human Values, fino a Inequality Reexamined del 1992, ma è tutto l’approccio delle capabilities a caratterizzare il pensiero di Sen su che cos’è uguaglianza.
Su questi cinque autori e sulle loro opere si sofferma il libro di Guido Baglioni. Ma non si tratta (solo) di una brillante e pur utilissima rassegna ragionata. Partire da tali contributi serve essenzialmente al nostro autore ad “ampliare il (suo) campo di osservazione” nell’ambito sociale. Come avverte nella presentazione al libro, “per oltre mezzo secolo” è stato infatti impegnato a studiare i problemi del lavoro salariato, del sindacato e delle relazioni industriali. La crisi economica ha avuto effetti significativi in tali ambiti, da qui le sollecitazioni ad approfondire un tema quale la disuguaglianza per rispondere ad alcuni interrogativi fondamentali per il mondo del lavoro.
In particolare, l’obiettivo di Baglioni è tentare di rispondere a due questioni particolarmente rilevanti per il sociologo. Innanzitutto, l’autore si chiede se “i grandi mutamenti in atto vanno complessivamente nella direzione di ridurre la disuguaglianza”. Gran parte della letteratura e della ricerca nelle scienze sociali è fortemente divisa sulla risposta a tale interrogativo. Approfondire tale letteratura appare però indispensabile anche per prendere posizione rispetto a eventuali “decisivi interventi pubblici” per combattere e ridurre la disuguaglianza. Questo è per Baglioni il primo criterio con il quale sono state affrontate, secondo un approccio propriamente sociologico, natura, manifestazioni e implicazioni della disuguaglianza. Da questo primo interrogativo discende la seconda questione se “la disuguaglianza appare ancora come il maggior difetto dei paesi ricchi sul piano dell’equità sociale ed esistenziale” e se come tale potrà essere davvero ridotta. In questo caso, si tratta di capire se la disuguaglianza possa essere ridotta grazie alla maggior crescita economica (secondo criterio).
Sulla base del primo criterio (marxiano?), la disuguaglianza appare un fenomeno sempre negativo, per il prevalere di una minoranza di privilegiati, che godono di grandi poteri e ricchezze e determinano conflitti, povertà generalizzata e divisioni (richiamo simbolico all’1% della popolazione). Il secondo criterio (weberiano?) tende invece a sottolineare la diversità e la necessità della disuguaglianza, dovuta alla struttura sociale fondata su “categorie e gruppi in scala”, favoriti dalla crescita, un’alta marea che alza tutti i battelli.
Per rispondere a questi interrogativi, Baglioni sostiene correttamente che occorre innanzitutto conoscere il fenomeno della disuguaglianza, non solo su quanto e come, ma anche sulle sue tendenze e diversità, oltre che sugli interventi e i rimedi possibili. Da qui l’esigenza di approfondire e valutare i contributi dei cinque autori citati, sui quali Baglioni peraltro aveva già scritto saggi pubblicati o inediti, che sono stati a volte presentati e discussi (anche da noi) in sede accademica.
Nel definire in maniera preliminare la disuguaglianza, Baglioni dà rilievo ad una considerazione che non sempre trova valore nella letteratura e nella ricerca delle scienze sociali. La disuguaglianza non è solo quella di tipo economica, per cui è importante parlare non di “disuguaglianza” ma di “disuguaglianze”, ovvero allargare l’ambito da redditi e ricchezza a salute, istruzione, informazioni, relazioni e capitale sociale, tempo di lavoro e tempo di vita, con particolare attenzione alle discriminazioni relative a età, sesso, provenienza, ecc. Il riferimento obbligato in questo caso è il contributo di Angus Deaton (premio Nobel per l’economia 2015) che considera le “disuguaglianze di salute” una delle ingiustizie più gravi nel mondo attuale. “La grande fuga”, il titolo del suo libro più famoso, è infatti “la fuga del genere umano dalla deprivazione e dalla morte precoce, l’insieme delle azioni e delle iniziative con cui gli esseri umani sono riusciti, generazione dopo generazione, a rendere le proprie esistenze meno aspre e dure, aprendo la strada a chi sarebbe venuto dopo”. In questo passaggio di analisi dalla disuguaglianza alle disuguaglianze Baglioni tende quindi a sottolineare che il problema sociale più rilevante nei paesi ricchi resta quello della “povertà”, ovvero quell’equità che significa di fatto “avere meno poveri” o comunque non troppi…
L’approccio dell’autore resta essenzialmente di tipi pragmatico, soprattutto quando osserva che nelle società storiche conosciute la disuguaglianza è sempre stata prevalente e che non si trovano casi noti o notevoli di società perfettamente ugualitarie o di società del tutto disuguali. Le società reali sono caratterizzate da “disuguaglianze e uguaglianze parziali”, ovvero da un intreccio di disuguaglianza e uguaglianza. Si affronta così il tema più articolato delle “differenze”, concetto diverso da quello di disuguaglianza ma ad esso strettamente connesso. Ci sono differenze di diverso tipo: da quelle relative a caratteristiche e comportamenti individuali (salute, bellezza, genere, età, intelligenza, istruzione, ambizione e capacità relazionali) a quelle appartenenti alla dimensione collettiva (luogo di provenienza, abitazione, professione, adesioni associative, stili di vita di gruppo, contesto), a quelle derivanti da ruoli di potere, autorità e responsabilità o reputazione. Queste differenze non fanno emergere necessariamente “un colpevole diretto”, sembrano infatti rispondere a situazioni oggettive. Il problema diventa complesso perché anche un fenomeno come la disoccupazione non è esclusivamente un fenomeno di disuguaglianza, ma deriva anche da differenze (condizioni locali del mercato del lavoro, mismatch tra domanda ed offerta di mestieri e professioni, ecc.).
Il dialogo con Amartya Sen e Angus Deaton, in particolare sul peso relativo delle disuguaglianze economiche e delle disuguaglianze sociali e di salute, consente a Baglioni di esplicitare la sua tesi principale. I contenuti non economici della disuguaglianza sono certamente collegati alle condizioni economiche ma possono anche godere di una certa relativa autonomia. Vengono infatti citati cambiamenti che pur non essendo di natura economica hanno contribuito a ridurre la disuguaglianza, anche grazie all’azione del movimento sindacale: la riduzione di orario del lavoro salariato, l’aumento del tempo libero e delle interruzioni annuali per ferie e permessi, le informazioni diffuse, ecc. L’autore sostiene quindi che se la disuguaglianza economica tende ad esprimersi con maggiore continuità e prevalenza rispetto alle altre disuguaglianze (aspettativa di vita, sanità, istruzione, consumi, tempo libero), essa non risulta però sempre così incisiva per queste seconde “e, in più, il grado di soddisfazione delle persone o dei gruppi coinvolti è intrinseco in quel che fanno, un grado spesso elevato anche con poche risorse disponibili”. Pur essendo oggettivamente presente, la disuguaglianza può quindi non danneggiare o non essere percepita dagli attori sociali o comunque non essere un problema: “ci sono soddisfazioni pari o simili in una o in un’altra attività per attori con condizioni socio-economiche differenti, anche molto differenti”.
La disuguaglianza resta quindi un fenomeno molto problematico e complesso, come dimostra il fatto che non sempre viene considerata negativa anche da autori che pure chiedono interventi pubblici per la sua riduzione, come Atkinson e Piketty. Come suggerisce anche Sen, le istanze di uguaglianza non possono essere in contrasto con quelle di efficienza, per cui un certo grado controllato di disuguaglianza può essere anche socialmente utile. Il richiamo a Piketty e al problema della “legittimazione” della disuguaglianza risulta altrettanto rilevante. I processi di mobilità sociale, che secondo l’autore non sono scomparsi in Italia, almeno fino alla vigilia della grande recessione, continuano ad essere un correttivo intrinseco alla disuguaglianza, in un contesto di eguaglianza delle opportunità. Baglioni, non convinto della tesi della polarizzazione della struttura sociale e quindi della progressiva scomparsa dei ceti intermedi, fa riferimento soprattutto ai passaggi intergenerazionali segnalati anche nel nostro paese dalla ricerca sociologica: passaggi dai ceti medi ai professionisti; figli di operai diventati impiegati pubblici o privati; aumento degli addetti ai servizi, ecc.
Il titolo del libro suggerisce che il contributo di Baglioni non riguarda solo una riflessione su questa caratteristica, appunto problematica e complessa, della disuguaglianza, alla quale pure è dedicata buona parte del volume, ma anche il futuro del fenomeno, per tornare alle due questioni relative, da un lato, alla possibilità che i grandi mutamenti in corso vadano nel senso della riduzione della disuguaglianza e, dall’altro lato, alla eventuale impellente necessità di ridurre sensibilmente la disuguaglianza, in quanto maggior difetto dei paesi ricchi. La risposta dell’autore ad entrambi questi interrogativi è sostanzialmente negativa, come già peraltro anticipato in prefazione al volume, in quanto non ci sarebbero di fatto le condizioni per ridurre in maniera significativa la disuguaglianza economica, almeno nel breve e nel medio periodo, e inoltre la disuguaglianza non sembra essere il problema prioritario. Perché, da un lato, secondo la tesi principale sviluppata nel libro, la continua e pur prevalente disuguaglianza economica tende ad attenuarsi nelle altre disuguaglianze (aspettativa di vita, salute, istruzione, consumi, attività del tempo libero) e, dall’altro lato, sono il lavoro e la sua insicurezza ad essere al centro delle preoccupazioni soprattutto dei giovani e delle famiglie meno ricche o non benestanti. Per loro, “l’insicurezza riguarda l’amarezza di retrocedere rispetto al periodo precedente alla crisi e il timore di un futuro peggiore, soprattutto per l’avvenire dei figli”. Nella sostanza, questa risposta negativa trova molti argomenti nell’articolazione dei vari capitoli ma è nel capitolo finale sulla “improbabile riduzione della disuguaglianza economica” che l’autore riassume ed esprime in maniera esplicita la sua posizione e il suo punto di vista.
Serafino Negrelli