Secondo uno studio realizzato dalla Uil e dall’Eures, nei primi tre mesi dell’anno il numero dei morti sul lavoro torna nuovamente a crescere, registrando un aumento del 3,7% rispetto allo stesso periodo del 2022 (con 196 vittime contro 189). I dati mostrano un vero e proprio picco di crescita nel Nord-Ovest (+22,4%). Nel trimestre preso in analisi gli infortuni rilevano invece un riallineamento ai valori del 2021, con una flessione tendenziale del 25,5% rispetto allo stesso periodo del 2022. Lo scorso anno in Italia ci sono stati tre morti sul lavoro al giorno. I decessi registrati dall’Inail nel 2022 sono stati 1.090 (4,7 ogni 100mila occupati). Gli infortuni sono stati 697.773 (1.912 al giorno) in crescita del 25,7% sul 2021.
Nel 2022 il 16,8% degli infortuni nel 2022 è ancora legato al Covid-19 (erano l’8,8% nel 2021). Dopo il significativo calo degli infortuni legati al Covid nel 2021 (-67,2% rispetto al 2022, passando da 149.025 eventi a 48.876), la casistica torna a crescere nel 2022, quando si contano 117.154 eventi. La dinamica spiega tuttavia soltanto parzialmente la crescita complessiva degli infortuni rilevata nel 2022, visto il contestuale incremento del 14,7% di quelli non legati al Covid (da 506.360 unità nel 2021 a 580.619 nel 2022).
Gli infortuni sul lavoro, pur interessando in termini assoluti prevalentemente i lavoratori di sesso maschile (58,9% del totale contro il 41,1% delle donne), presentano nel 2022 un incremento tra le lavoratrici (+42,9%) pari ad oltre il doppio di quello rilevato tra gli uomini (+16%). Questa dinamica appare correlata sia al significativo incremento dell’occupazione femminile nel settore manifatturiero rilevato nel 2022 (+6,9%) che alla maggiore presenza di lavoratrici nei settori più colpiti dal Covid-19 (sanità e servizi di cura). A fronte della crescita osservata nel 2022, l’indice del rischio infortunistico sul lavoro risulta tra le donne (29,4 infortuni ogni 1.000 lavoratrici) soltanto di poco inferiore a quello registrato tra gli uomini (30,8), con una crescita di 8,3 punti percentuali rispetto ai 3,6 punti per i colleghi maschi.
Per quanto riguarda la disaggregazione per fascia d’età, i dati consolidati relativi al 2021 evidenziano come il rischio più alto (non considerando la fascia 15-24 anni, che include anche gli studenti), si riscontri per la fascia 25-34 anni (con 26 infortuni ogni 1.000 occupati), seguita da quella “55-64 anni” (22,5); soltanto di poco inferiori risultano tuttavia i valori relativi alle fasce “45-54 anni” (21,1 infortuni ogni 1.000 occupati), “35-44 anni” (con un indice pari a 20,1) e “65+ anni” (17,2%).
Nel rapporto si sottolinea la stretta connessione tra gli infortuni mortali sul lavoro e la precarietà: il rischio morte tra i lavoratori precari e irregolari è infatti quattro volte superiore a quello di chi ha un’occupazione stabile. Nel dettaglio, il rischio di infortunio mortale tra i lavoratori a termine si attesta a 10,2 decessi sul lavoro per 100mila occupati, a fronte di 5,7 tra i lavoratori autonomi e soprattutto di 3,3 tra i dipendenti a tempo indeterminato.
Nell’edilizia l rischio infortunistico è più alto tra i lavoratori stranieri. Nel 2021 (ultimo dato disponibile) complessivamente l’81,8% degli infortuni sul lavoro ha riguardato lavoratori italiani a fronte del 18,2% di lavoratori stranieri. Considerando l’indice di rischio, i lavoratori stranieri presentano un rischio doppio rispetto a quello degli italiani, con 45,5 infortuni denunciati ogni mille occupati contro i 22,7 dei secondi.
Considerando i soli infortuni in occasione di lavoro, sono i lavoratori dell’edilizia a presentare il rischio più elevato (con 24,6 infortuni ogni mille occupati nel settore), seguiti da quelli dell’industria in senso stretto (20,2 ogni mille occupati), con forti scarti rispetto ai servizi (11,9) e all’agricoltura (5,1 casi). Considerando invece la sola distribuzione percentuale, condizionata dal forte squilibrio occupazionale tra i diversi settori, il 46,7% degli infortuni avviene nei servizi (che in Italia assorbono complessivamente il 69,3% degli occupati), seguiti dall’industria con il 30,4% degli infortuni totali (8,8% nell’edilizia e 21,6% nell’industria in senso stretto) e dall’agricoltura con l’1,2% dei casi censiti.
In materia di ispettorato, il rapporto rileva che quasi sette aziende ogni dieci ispezionate presentano irregolarità. I lavoratori irregolari in sono crescita del 79,4%. Delle 117.608 attività di monitoraggio complessive effettuate (91.505) emerge una situazione “particolarmente allarmante”: prendendo in considerazione le sole ispezioni definite, pari nel 2021 a 62.710, risulta come il 62,3% delle imprese (39.052 in termini assoluti) presenti irregolarità. Sono proprio settori che assorbono il maggior numero di infortuni sul lavoro a mostrare tassi di irregolarità più rilevanti rispetto al valore medio: nel 2021 infatti l’indice di irregolarità si attesta al 63,7% per quanto riguarda l’edilizia e al 63,1% per il terziario. Segue l’industria con un tasso di irregolarità pari al 60,6%, mentre il valore scende al 54,3% nel comparto agricolo. La disaggregazione territoriale, inoltre, evidenzia come le regioni con il maggior tasso di irregolarità siano Marche (83,4%), Veneto (73,7%) e Molise (70,5%), laddove, sul fronte opposto, i valori minimi si segnalano in Basilicata (53,1%), Piemonte (54,6%) e Umbria (56,4%).
Questo tasso di irregolarità è prevedibilmente in crescita: i primi dati del 2022 (periodo da gennaio a settembre) rilevano infatti un tasso di irregolarità del 73,1%. Le ispezioni di Inl, Inps e Inail hanno riscontrato 480.199 casi (di cui 100.006 costituiscono illeciti senza conseguenze amministrative o penali), un valore significativamente in aumento rispetto al periodo precedente (+79,4%) quando erano stati rilevati 267.677 casi. Sul fronte opposto si osserva una leggera flessione per quanto riguarda i lavoratori totalmente in nero, che passano dai 22.366 del 2020 ai 20.571 del 2021 (-8%).
Criticità anche sul fronte della situazione amministrativa. Nonostante a fine 2021 l’Ispettorato nazionale del lavoro auspicasse un incremento del 65% del proprio personale entro l’anno successivo, al mese dicembre 2022 la consistenza del corpo ispettivo rimane “decisamente sottodimensionata”: sono infatti 3.983 gli ispettori potenzialmente adibiti alla vigilanza (2.412 dell’Inl, 884 dell’Inps, 210 dell’Inail e 477 dell’Arma dei Carabinieri). Vale a dire un ispettore ogni 1.511 imprese italiane registrate nel 2022, indice solo in lieve diminuzione rispetto al 2021 (un ispettore ogni 1.577 imprese).
La situazione peggiora se si considera il numero di ispettori effettivamente adibiti ad attività di vigilanza, quantificato dallo stesso Inl in 1.600 unità, uno ogni 3.762 imprese registrate. La carenza di personale si riflette sul numero di accessi (ispezioni, verifiche ed accertamenti di Inl, Inps e Inail): nel 2021 sono 117.608 le aziende controllate (di cui 91.505 esclusivamente dall’Inl a cui fa capo la vigilanza lavoro), cioè meno di due ogni cento registrate. Accessi che, seppur in aumento del 13,2% rispetto al 2020 (103.857 aziende controllate), restano comunque insufficienti a un controllo capillare. Inoltre dei 117.608 accessi il 75% (88.610) sono ispezioni sul campo, mentre il restante 25% (28.998) riguardano verifiche e accertamenti, in parte anche in modalità telematica.
e.m.