Carlo Marignani, responsabile delle relazioni industriali di Legacoop, avete tenuto da poco il vostro congresso nazionale. Quale ne è stata la sostanza?
Abbiamo indicato a noi stessi e a tutti i cooperatori l’orizzonte del futuro del nostro Paese, e affermato di voler essere protagonisti di questo futuro.
Obiettivo ambizioso. In concreto, cosa significa?
Tre elementi, tre scelte racchiudono il senso del congresso. Il primo riguarda il nostro impegno per l’economia e la società italiana. Il movimento cooperativo deve contribuire ad una crescita che garantisca quattro condizioni: competitività, qualità, equità, sostenibilità.
Il che pone alle cooperative alcuni problemi.
Ineludibili ormai anche per noi, e qui veniamo al secondo elemento. Ci misureremo sempre più con la dimensione internazionale dei mercati, con l’esigenza di una forte innovazione tecnologica, con la necessità di incrementare la dimensione aziendale. A tutto questo dovremo adeguare la nostra realtà.
E mantenere comunque ferma l’identità. Siete aziende, ma non come le altre.
E’ il terzo elemento. Rimanere tenacemente fedeli alla nostra natura originaria di imprenditori non proprietari, di gestori associati della propria impresa. Restare ancorati alla mutualità, alla partecipazione, alla democrazia.
Non sarà semplice nella situazione presente del mercato.
Ne siamo consapevoli. Abbiamo bisogno di un mercato pluralista, dove la concorrenza sia sana, le regole non solo dichiarate ma praticate, dove si restringano gli spazi del monopolio e del dominio. Daremo il nostro contributo perché questo avvenga.
A proposito di identità, avete avuto in un passato non lontano alcune disavventure, chiamiamole così. Hanno lasciato tracce nel congresso?
Sì, non avrebbe potuto né dovuto essere diversamente. Si è discusso di governance, se ne sono ridefiniti i sistemi. In sede associativa verranno stabiliti codici di autoregolamentazione che rendano impossibile il ripetersi di certi fatti.
Quali sono i vostri rapporti con il movimento sindacale?
Intanto, come è noto, antichissimi. Sono rapporti di amicizia, di vicinanza. Ciò non vuol dire che non esistano questioni sulle quali dobbiamo discutere, e lo stiamo facendo. Da tempo è aperto un tavolo di confronto fra le centrali cooperative e le confederazioni.
Gli argomenti in discussione?
Due sono i più seri. La figura del socio lavoratore ed i contratti pirata.
Perché il primo?
Quella del socio lavoratore è una figura bifronte. Cogestore, a tutti gli effetti, dell’impresa in cui lavora, ma anche, appunto, lavoratore. Libero naturalmente, in tale veste, di svolgere attività sindacale. Ma deve essere chiaro, ed esplicito, che per tutto quanto riguarda la gestione della cooperativa egli deve rispondere unicamente al suo ruolo di socio. Per noi è un problema reale, che va risolto.
E l’altro problema?
Si tratta di fenomeni di vero e proprio dumping contrattuale. Associazioni datoriali di insignificante rappresentatività sottoscrivono con sindacati altrettanto non rappresentativi contratti al ribasso, nei quali, per esempio, il costo del lavoro scende del 35/40 per cento. La lotta contro una simile pratica deve essere condotta insieme dalle organizzazioni cooperative e dai sindacati confederali.
Leopoldo Meneghelli